2022-02-28
«Speranza ha concesso di abortire anche nei consultori familiari»
Roberto Speranza. Nel riquadro Assuntina Morresi (Ansa)
L’esperta di bioetica Assuntina Morresi: «La modifica delle procedure ha cambiato la legge 194 senza passare per il Parlamento. I farmaci non sono sicuri né liberanti, anzi provocano disturbi alle donne. Che non si rivolgono più ai dottori».Di fronte ai numeri, freddi e poco malleabili, i discorsi di solito cadono. Se non fosse che spesso i numeri, grazie alle interpretazioni, finiscono per alimentare narrazioni. Accade anche su un crinale come quello dell’aborto, talmente viscido che per qualcuno la «pillola del giorno dopo» è persino liberante. E sicurissima. In realtà il dramma di questo gesto è talmente complesso che i numeri finiscono solo per semplificarlo e perfino nascondere qualcosa. E la decisione del ministro Speranza dell’agosto 2020, ci dice la professoressa Assuntina Morresi, membro del Comitato nazionale per la bioetica, ha passato in breccia persino la legge 194. Secondo i dati, pubblicati recentemente anche da Repubblica, il numero di aborti farmacologici tramite Ru486 sta sfondando il 50% di tutti gli aborti praticati. Un aborto sempre più facile, ma c’è vigilanza sul fenomeno?«La vigilanza è quella che possiamo vedere dalle relazioni annuali al Parlamento sull’applicazione della legge 194. Siamo fra i Paesi con i dati più completi in questo ambito, ma la raccolta è storicamente costruita sugli aborti chirurgici, e non su quello farmacologico, che ha tempi e criticità diverse: soprattutto dopo le nuove linee di indirizzo del ministro Speranza, che consentono esplicitamente l’aborto al di fuori del ricovero ospedaliero, sarebbe necessario individuare una nuova serie di dati da raccogliere per poter monitorare cosa avviene effettivamente con la RU486». Di che cosa si tratta?«L’aborto farmacologico è di per sé incerto nei tempi e nei modi: il protocollo prevede che il primo giorno si prenda la RU486, che provoca la morte dell’embrione (o del feto, a seconda del tempo della gravidanza) e il terzo giorno le prostaglandine, che provocano le contrazioni espulsive. Si sa che la maggiore probabilità è di espellere nelle ore seguenti la seconda pillola, e la probabilità diminuisce man mano che passano i giorni, ma ci sono donne che abortiscono anche subito dopo la prima: non è possibile sapere prima la tempistica, e neppure che tipo di effetti collaterali ci potranno essere fra quelli più ricorrenti, per esempio non si può prevedere quanto sarà doloroso, quanto abbondante sarà l’emorragia e se sarà accompagnata da altri effetti come mal di testa, vomito, aumento temperatura, eccetera. Il metodo farmacologico richiede che sia la donna a gestirlo, a stabilire per esempio quando l’emorragia diventa troppo abbondante e diventa necessario andare in ospedale, se non è ricoverata». Quindi, cosa si dovrebbe fare per monitorare davvero la situazione?«Sarebbe necessario sapere per ogni donna quando e dove avviene la fase espulsiva, e che tipo di effetti collaterali si sono verificati: sono dati essenziali per poter effettivamente monitorare questa procedura abortiva, ma non vengono raccolti». La legge 194 che dovrebbe essere, stando agli intenti di chi l’ha voluta, una legge che in qualche modo dissuade da compiere questo gesto, viene paradossalmente disattesa dall’aborto farmacologico?«Perché la legge non sia disattesa è necessario il ricovero ospedaliero di tre giorni, come era previsto nelle vecchie linee di indirizzo: solo così l’aborto, cioè l’espulsione dell’embrione, avverrebbe nella struttura sanitaria, come chiede la legge, e non in casa o altrove, magari mentre si cammina per la strada». Quanto può aver inciso la decisione del ministro Speranza che nell’agosto 2020 ha permesso la somministrazione della pillola anche senza ricovero e fino a 9 settimane dal concepimento?«È stata decisiva: modificando le procedure ha di fatto modificato la 194 senza passare per il Parlamento. Ha messo nero su bianco la possibilità di abortire anche nei consultori, in violazione esplicita della stessa legge 194, che all’articolo 8 individua con precisione le strutture all’interno delle quali è possibile eseguire una interruzione di gravidanza: nell’elenco i consultori non ci sono. La legge, all’articolo 2, spiega le finalità dei consultori, e le pratiche abortive non sono contemplate. Ma ormai bypassare il Parlamento per via amministrativa non sembra fare più problema». Poi c’è l’utilizzo della cosiddetta pillola dei 5 giorni dopo, l’Ellaone, anche questo in costante crescita. Può essere assunta anche senza ricetta medica. Ma allora i dati sull’aborto che vengono registrati in costante diminuzione negli ultimi 30 anni non ci dicono tutta la verità sul fenomeno?«Gli aborti sono effettivamente e costantemente diminuiti negli ultimi 30 anni, il calo era già evidente fin da prima che fossero commercializzate le pillole dei giorni dopo - Norlevo ed Ellaone. Gli aborti sono sempre stati circa il 20% delle nascite, e quindi se le nascite calano, in parallelo diminuiscono anche gli aborti. Inoltre un elemento positivo della legge 194 è che non si guadagna facendo aborti: non è possibile abortire nel privato, a prezzo di mercato, come avviene per esempio nella fecondazione assistita. E quindi non c’è un incentivo economico per gli operatori. Al tempo stesso, però, sicuramente una parte delle “pillole del giorno dopo” ha avuto un effetto antinidatorio, cioè ha procurato un aborto precocissimo. Quindi una parte di aborti, anche se non possiamo sapere quanti, sfugge alle rilevazioni. Ricordo appunto che nell’ottobre 2020 Aifa ha eliminato l’obbligo di ricetta per le minorenni, che ora possono acquistare questo prodotto in totale autonomia, senza aver consultato un medico e senza che i genitori lo sappiano. Non è richiesta un’età minima per l’acquisto. Così non è neppure possibile sapere quante ragazzine ne fanno uso».Secondo Chelsea Clinton, la figlia di Bill e Hillary, che ha intervistato la direttrice di Planned parenthood Leana Wen, i pro-life dovrebbero essere definiti non come «pro vita», ma come «anti scelta». La scelta, secondo loro, sarebbe la vera opzione pro vita: è un cortocircuito della libertà?«Il tentativo di contrapporre scelta e vita è già stato fatto: in inglese si usa pro-choice, cioè a favore della scelta, in opposizione a pro-life. Ma essere a favore della vita ha una connotazione positiva che sollecita desideri e istinti profondamente radicati nell’essere umano: la scelta è un concetto “freddo”, concentrato solo sull’individuo, mentre essere pro-life implica l’apertura alla relazione, richiama l’emozione festosa di un bambino che viene al mondo ed è accolto con affetto e calore. Comunque essere pro-life non vuol dire obbligare le persone ad avere figli! Vuol dire invece essere davvero per la scelta, cioè mettere le coppie, in particolare le donne, nelle condizioni di poter veramente scegliere senza doversi per forza sacrificare, senza doversi destreggiare tra mille difficoltà lavorative ed economiche. Solo così si garantisce a chi vorrebbe essere madre di poter liberamente scegliere di diventarlo».
Jose Mourinho (Getty Images)