2022-08-17
Ministro, adesso si lanci senza il paracadute
Roberto Speranza (Imagoeconomica)
L’inquilino di Lungotevere Ripa sarà catapultato come capolista in Campania. Troppo comodo incassare un seggio sicuro dopo tre anni di editti pandemici: se è stato tanto bravo, l’ex assessore rinunci alla vittoria a tavolino e misuri il suo consenso.Mentre si contano morti e feriti nella rissa sulle candidature, non resta che rivolgere una preghiera laica a Roberto Speranza. Il ministro della Salute verrà paracadutato come capolista a Napoli, dove vincerà il seggio a tavolino senza neanche giocare. Speranza finirà catapultato in Parlamento tramite la funicolare di Mergellina, senza nemmeno stringere la mano agli elettori. Proprio lui, nato a Potenza e tifoso della Roma, rappresenterà «anema e core» dei napoletani, tra cui il governatore Vincenzo De Luca, che lo definì «ministro inesistente e raccomandatore». Date queste premesse, la preghiera rivolta al ministro è molto semplice: rinunci. Rinunci al seggio napoletano regalato. Rinunci alla vittoria in carrozza. Prenda spunto da San Gennaro e faccia anche lei ’o miracolo: si cimenti in un collegio contendibile e giochi una partita pulita. Sono le prime elezioni politiche dopo la pandemia: vi pare giusto che l’eroico frontman dell’ortodossia sanitaria debba sgattaiolare di soppiatto giù per lo scivolo del collegio blindato? No: troppo comodo. Dopo tre anni così, gli italiani hanno pieno diritto di giudicare il ministro della Salute in carica, senza salvagenti di partito: promuovendolo o nel caso mandandolo a casa.Per questo la preghiamo, egregio ministro: rinunci alla scorciatoia partenopea. Prenda coraggio e se la giochi altrove. Non può cavarsela come un Luigi Di Maio qualsiasi: lei rappresenta molto di più. Prima veniva liquidato frettolosamente come portaborse di Pier Luigi Bersani: adesso, in tempi pandemici, è diventato il simbolo di un’epoca. Ha acquisito notorietà, è stato promosso capopartito, è sopravvissuto ai vari cambi di governo, incassando per giunta la stima di Mario Draghi. A voler ben vedere, rinunciare alla cadrega garantita è una scelta anche nel suo interesse. Dopo anni d’inferno al ministero, non sente il bisogno di soppesare il gradimento popolare intorno alle sue politiche? Non avverte la curiosità di misurare il suo consenso personale in un collegio uninominale? Non sarebbe bello raccogliere i frutti del suo lavoro scendendo nell’arena, in un collegio in bilico? Pensi la soddisfazione, a strappare un seggio alle destre dei «pieni poteri», come di recente le ha definite, proprio lei che ha avuto il potere di chiudere in casa un’intera nazione. Per questo la preghiamo: rinunci alla poltronissima di Posillipo. C’è ancora tempo, prima che chiudano le liste. Accetti la sfida, con la stessa tenacia con cui ha predicato la fermezza anti Covid. Lo faccia per le famiglie che a causa di quella fermezza sono state scaraventate dentro sfide ben più dure: chiusure, coprifuochi, ricatti morali, fallimenti economici, divieti di lavorare e fare sport. Pensi ad esempio agli adolescenti, ai quali è stato imposto, in ossequio alle sue direttive, il sacrificio della socialità e delle amicizie: non crede che stavolta tocchi a lei sacrificarsi, candidandosi senza rete, anche solo per riconoscenza? Per questo la preghiamo: rinunci. Come tutti i politici, anche lei avrà sostenitori e detrattori. Ma certamente le sue norme anti Covid hanno cambiato la vita di tutti, sono una pagina di storia su cui resterà stampato il suo volto. E adesso non può pensare di nascondere quel volto tra i fumi del Vesuvio. Sia detto col massimo rispetto: ma sarà mai possibile che in tutto il territorio nazionale, dal Brennero a Lampedusa, un leader di rango come Speranza non riesca a trovare uno straccio di collegio alla sua portata? Non vorremmo si diffondesse la diceria per cui il ministro più intoccabile della Repubblica, alla prova dell’urna, ha paura di perdere. Questa paura non si capisce da dove arrivi, se è vero, come ci è stato sempre raccontato, che l’ampia maggioranza degli italiani abbraccia con entusiasmo le dottrine sanitarie di Speranza. E allora delle due l’una: se le regole antivirus sono sacrosante, è giusto pretendere che il ministro ci metta la faccia (magari nei collegi della bergamasca ferita dal Covid). Se invece le regole di Speranza sono disastrose, allora perché candidarlo? In questo caso, non sarebbe meglio cedere il posto a quei validi colleghi progressisti e competenti - ce ne sono tanti - rimasti fuori dalle liste? Insomma, per dirla alla Roberto Burioni: se la scienza non è democratica, che almeno lo sia la rielezione di Speranza. Per questo preghiamo: perché il ministro della Salute non s’intrufoli in Parlamento dalla porta di servizio, nella penombra del proporzionale, per grazia ricevuta da Sant’Enrico Letta patrono dei paracadutisti. Quell’epilogo apparirebbe agli occhi di tutti come una fuga. Fuga dalle responsabilità, per correre a rinchiudersi nel palazzo. Proprio lui, che bollava come «disertori» i renitenti alla campagna vaccinale, farà la figura del «disertore» nella campagna elettorale. Ecco: onde scongiurare questo triste finale, noi ti preghiamo. Poi, sul fatto che qualcuno ci ascolti, non nutriamo grande Speranza.
Un appuntamento che, nelle parole del governatore, non è solo sportivo ma anche simbolico: «Come Lombardia abbiamo fortemente voluto le Olimpiadi – ha detto – perché rappresentano una vetrina mondiale straordinaria, capace di lasciare al territorio eredità fondamentali in termini di infrastrutture, servizi e impatto culturale».
Fontana ha voluto sottolineare come l’esperienza olimpica incarni a pieno il “modello Lombardia”, fondato sulla collaborazione tra pubblico e privato e sulla capacità di trasformare le idee in progetti concreti. «I Giochi – ha spiegato – sono un esempio di questo modello di sviluppo, che parte dall’ascolto dei territori e si traduce in risultati tangibili, grazie al pragmatismo che da sempre contraddistingue la nostra regione».
Investimenti e connessioni per i territori
Secondo il presidente, l’evento rappresenta un volano per rafforzare processi già in corso: «Le Olimpiadi invernali sono l’occasione per accelerare investimenti che migliorano le connessioni con le aree montane e l’area metropolitana milanese».
Fontana ha ricordato che l’80% delle opere è già avviato, e che Milano-Cortina 2026 «sarà un laboratorio di metodo per programmare, investire e amministrare», con l’obiettivo di «rispondere ai bisogni delle comunità» e garantire «risultati duraturi e non temporanei».
Un’occasione per il turismo e il Made in Italy
Ampio spazio anche al tema dell’attrattività turistica. L’appuntamento olimpico, ha spiegato Fontana, sarà «un’occasione per mostrare al mondo le bellezze della Lombardia». Le stime parlano di 3 milioni di pernottamenti aggiuntivi nei mesi di febbraio e marzo 2026, un incremento del 50% rispetto ai livelli registrati nel biennio 2024-2025. Crescerà anche la quota di turisti stranieri, che dovrebbe passare dal 60 al 75% del totale.
Per il governatore, si tratta di una «straordinaria opportunità per le eccellenze del Made in Italy lombardo, che potranno presentarsi sulla scena internazionale in una vetrina irripetibile».
Una Smart Land per i cittadini
Fontana ha infine richiamato il valore dell’eredità olimpica, destinata a superare l’evento sportivo: «Questo percorso valorizza il dialogo tra istituzioni e la governance condivisa tra pubblico e privato, tra montagna e metropoli. La Lombardia è una Smart Land, capace di unire visione strategica e prossimità alle persone».
E ha concluso con una promessa: «Andiamo avanti nella sfida di progettare, coordinare e realizzare, sempre pensando al bene dei cittadini lombardi».
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Francesco Zambon (Getty Images)
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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