2022-01-01
«Scampato il pericolo referendum, ora serve una nuova legge sulla caccia»
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Paolo Sparvoli, presidente Associazione nazionale libera caccia
Paolo Sparvoli, presidente Associazione nazionale libera caccia: «Questo referendum ha dimostrato che gli italiani non sono ostili alla caccia, altrimenti avrebbero raccolto 5 milioni di firme, non 350.000. La 157/92 non va modificata, ma riscritta».Dal 1959 Anlc - Associazione nazionale libera caccia - è al servizio della caccia e dei cacciatori con 18 sedi regionali, 99 sedi provinciali e più di 5.000 sedi comunali sparse lungo tutto il territorio nazionale e oltre 85.000 iscritti. 63 anni con una mission ben precisa: promuovere la difesa della libertà di caccia, di pesca e delle attività connesse, così come rappresentare l’organizzazione dei cacciatori, dei pescatori e la tutela dei loro legittimi interessi, ma anche la gestione del territorio e della fauna selvatica finalizzata all’esercizio dell’attività venatoria. Attività venatoria che nell'ultimo periodo è stata messa a serio rischio a causa di un tentativo, non andato a buon fine in virtù delle sottoscrizioni ritenute non valide dalla Corte Costituzionale, di una raccolta firme che aveva come obiettivo quello di promuovere un referendum che abrogasse la legge 157/92. Con il presidente di Anlc Paolo Sparvoli abbiamo parlato di questo e altro, analizzando cosa non va e come può essere migliorato all'interno del settore caccia.Presidente, siamo a fine anno e come sempre è tempo di bilanci. Che anno è stato per voi il 2021?«Sa bene l'ultimo anno cosa abbiamo attraversato, è stato un anno particolare in cui abbiamo dovuto lottare su più fronti, dal referendum ai calendari stravolti. Ma nonostante tutto questo il 2021 è andato bene, abbiamo confermato la nostra consistenza e raggiunto le giuste soddisfazioni».Come avete affrontato la questione della raccolta firme?«Noi abbiamo messo in moto tutto quello che potevamo per fronteggiare l'eventuale successo di questa raccolta firme, Vorrei ricordare però che sono stati intentati 19 referendum contro la caccia, tutti persi. Questo sarebbe stato il ventesimo».In una nota sul vostro sito ha parlato di «prevedibile fallimento del referendum». Eravate tranquilli o temevate potesse andare a buon fine? «Ci hanno provato in tutti i modi. Ma è inutile che tentino di mescolare il referendum della caccia insieme a quello della giustizia, dell'eutanasia, della cannabis e tutti gli altri. Se veramente si vuole sapere qual è l'opinione dei cittadini italiani, maggiorenni, si fa una raccolta firme fatta bene. Firme certificate e raccolte davanti al segretario comunale, non in mezzo alle strade da persone il più delle volte senza titolo o addirittura online, e poi si fa il referendum soltanto su quella specificità. Poi vediamo se gli italiani vogliono o non vogliono la caccia. Quando abbiamo fatto ricorso alla Corte Costituzionale abbiamo verificato e segnalato gente che su Whatsapp ha votato per sé e per lo zio».In molti casi la realtà della caccia viene percepita in maniera distorta. Crede sia a causa di un'errata comunicazione? «Purtroppo i media si fanno un'opinione distorta della caccia. I promotori del referendum lo hanno pubblicizzato in tutti i modi, hanno cercato di mistificare le firme, hanno chiesto le proroghe, chiesto di tutto e di più, ma a fronte di 60 milioni di italiani hanno raccolto 350.000 firme buone. Probabilmente il popolo italiano non è così ostile alla caccia. Certo, la caccia deve avere le sue regole, rispettare l'ambiente e tutto, ma non deve essere presa di mira per giustificare tante altre cose, e questo referendum ha dimostrato che gli italiani non sono ostili alla caccia, altrimenti avrebbero raccolto 5 milioni di firme, non 350.000. Quindi l'italiano la caccia l'ha sempre amata e la ama».Scampato il pericolo referendum, crede che andrebbe rivista la legge 157/92?«Parole sante. Sono anni che lo dico e mi sento dire che non è il momento e che la 157 ha risolto i problemi e salvato la caccia. Ma non sono d'accordo».Perché?«Perché in 30 anni siamo passati da 1,8 milioni di cacciatori a 500.000. È una legge che divide e che ancora, dopo 30 anni, non è applicata. La 157 va riscritta, non modificata. E va fatto in maniera scientifica e non con tutte quelle paure che oggi abbiamo quando affrontiamo questo tema».Quali paure?«In questo momento, e lo capisco, c'è timore ad affrontare questa questione in Parlamento perché con l'attuale composizione e con questi numeri, con i parlamentari di 5 Stelle e Leu che ci vogliono morti a tutti i costi, questo non è il momento migliore e rappresenterebbe un pericolo per il nostro mondo. Ma dopo le prossime elezioni dobbiamo metterci all'opera per fare una legge che sia al passo con i tempi. Vogliamo una legge moderna per andare a caccia, con il rispetto dell'ambiente, della fauna ma anche del cacciatore».A proposito di ambiente, com'è il vostro rapporto con l'Ispra?«La mia battaglia con l'Ispra è risaputa. ma io non ce l'ho con l'Ispra in quanto organo scientifico, ma in quanto politico piuttosto. Perché oggi l'Ispra purtroppo è un organo politico asservito alla politica. Un organo che è portato dalla presidenza del consiglio al ministero dell'Ambiente non è superparters. La mia non è un'accusa all'Ispra, è un'accusa decisa alla politica italiana. Un organo scientifico che deve tutelare ambo le parti deve restare sotto la presidenza del Consiglio dei ministri e non sotto un ministero, perché quando è messo sotto un ministero non ha più le mani libere. Oltretutto il settore della caccia dovrebbe stare sotto il ministero dell'Agricoltura».Avete avuto molti problemi sui calendari quest'anno, perché?«Noi cerchiamo di difendere i calendari, diamo una mano a tutte le regioni per far sì che vengano stilati in maniera scientifica mettendo a disposizione i nostro tecnici e i dati che abbiamo. Abbiamo bisogno di calendari che siano difendibili e non attaccabili ai soliti ricorsi consueti del mondo animalista e ambientalista. Ricorsi che più delle volte sono strumentali, però ci sono e quindi dobbiamo prepararci per difenderci in maniera organica. Ormai questa è diventata una routine. Siamo molto arrabbiati e contestiamo in maniera pesante. Siamo sul piede di guerra perché se dovesse prolungarsi un modo di fare così disfattista verso la caccia scenderemo di nuovo in piazza come fatto altre volte. Sei anni fa a Roma siamo scesi in piazza da soli ed eravamo oltre 60.000».Anche perché a rimetterci sono i cacciatori.«È assurdo che un cittadino onesto, oltretutto il cacciatore oggi è controllato su una lente di ingrandimento enorme, che paga le tasse di concessione governative e regionali, l'assicurazione e tutto quello che serve, si trova il giorno dopo con il calendario stravolto. Questo non è ammissibile. Pertanto o l'Ispra dice una volta per tutte cosa vuol fare, perché è troppo semplice prima dare dei pareri e poi a fronte di ricorsi darne un altro alle istituzioni. Il parere deve essere univoco, i calendari devono essere stilati con dati scientifici dalle Regioni e una volta fatto deve rimanere quello, non può essere cambiato in corsa».Come vi ponete nei confronti della proposta della Commissione europea di vietare la caccia nel 10% del territorio Ue?«Aprissero un tavolo tecnico e parliamo di questi problemi. Non può essere il Parlamento europeo o la prima forza ambientalista o animalista che non parla in linguaggio scientifico ma usa linguaggio emozionale per chiudere e fermare l'attività venatoria. Se vogliamo che ci sia un equilibrio naturale bisogna che la caccia sia aperta in tutto il territorio nazionale, anche all'interno delle zone chiuse, non chiuderne altre».Per l'anno nuovo qual è l'auspicio?«Nel 2022, dopo la paura del referendum, spero ci sai un colpo di reni che ci possa far ricominciare a crescere».