2021-10-11
Referendum, green pass e Ue puniscono la caccia italiana
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Il prossimo 20 ottobre scade la raccolta firme per chiedere l'abolizione dell'attività venatoria. E mentre il foglio verde è sempre più un limite, l'Europa vuole bandire il piombo nella produzione di munizioni.Stefano Fiocchi, presidente dell'omonima azienda leader nella produzione di armi e munizioni: «Non siamo venditori di morte, ma di un prodotto di altissima qualità, riferimento di tutto il mondo. In Italia si confonde spesso il prodotto con l'uso che se ne fa».Giovanni Ghini, presidente Anpam: «La caccia è una delle attività più dettagliatamente e severamente normate. Chi non rispetta queste regole non è un cacciatore, ma un bracconiere, categoria che non ha nulla a che vedere con quella dei cacciatori».Lo speciale contiene tre articoli.Mercoledì 20 ottobre scade il tempo per la raccolta firme per promuovere il referendum di iniziativa popolare affinché venga abolita la caccia in Italia. Per raggiungere le 500.000 sottoscrizioni necessarie ne mancano ancora poco più di 35.000. L'obiettivo del comitato «Sì aboliamo la caccia» è chiaro e preciso: «Vogliamo abolire definitivamente la caccia e non accettare restrizioni che continuerebbero a legalizzare questa brutale pratica».Una pratica che in Italia dà lavoro a migliaia di persone, quasi 100.000 se si considera tutto l'indotto, e che rappresenta più di mezzo punto del Pil. Un settore che prima della pandemia, come dimostrato da uno studio elaborato dall'Università Carlo Bo di Urbino del 2019, aveva un impatto sull'economia del nostro Paese di 7,9 miliardi, e che oggi deve fare i conti con minacce provenienti da più fronti. In primis, proprio l'imminente data del 20 ottobre 2021. La raccolta firme, presso i gazebo sparsi in varie piazze italiane e online, è cominciata lo scorso luglio con l'intento di abrogare alcune previsioni del testo di legge attualmente in vigore che regola l'attività venatoria. Entrando più nello specifico, si vogliono eliminare alcune disposizioni normative della legge contenuta al comma 2 dell'articolo 19 della legge 11 febbraio 1992, numero 157, secondo cui «l'esercizio dell'attività venatoria è consentito purché non contrasti con l'esigenza di conservazione della fauna selvatica e non arrechi danno effettivo alle produzioni agricole». C'è chi sostiene che l'iniziativa popolare del comitato «Sì aboliamo la caccia» sia mossa da motivazioni etiche e morali di tutto rispetto, ma c'è anche chi parla di tutela dell'ambiente e della fauna selvatica, non riconoscendo al cacciatore il ruolo di tutela dell'ambiente stesso e della biodiversità per il controllo di quella fauna selvatica, su tutti i cinghiali, che sta proliferando oltre ogni limite provocando ingenti danni all'agricoltura, incidenti stradali e rischi per l'incolumità delle persone. A sancire e ribadire questo concetto è intervenuta anche la Corte costituzionale che, con due sentenze emesse quest'anno, in particolare la numero 21 del 14 gennaio scorso, ha stabilito che in materia di controllo faunistico la figura del cacciatore presenta «elementi di qualificazione pubblicistica», ossia di pubblica utilità.E sempre per quanto riguarda la tematica legata all'ambiente, esiste poi il discorso relativo al piombo. È in corso un progetto europeo di messa a bando del piombo per quanto riguarda la produzione di munizioni. Un progetto che se dovesse andare in porto comporterebbe pesanti riduzioni all'intero comparto. Uno studio elaborato dall'Essf - European shooting sports forum - ha stimato che un cacciatore su quattro interromperebbe l'attività venatoria e che il 30% ne ridurrebbe drasticamente l'attività; mentre il 20% di chi pratica tiro sportivo si fermerebbe. Sempre secondo lo stesso studio, il 34% delle armi da caccia non sarebbe compatibile con munizioni prive di piombo, provocando un relativo costo di 14,5 miliardi e un impatto economico di 5,7 miliardi a livello europeo per tutto il comparto.Ed è in questo quadro che va ad aggiungersi la grana green pass, non solo per tutti i cacciatori, ma anche per chi intende e desidera partecipare a eventi, prove, esibizioni, raduni, assemblee, convegni e corsi d'addestramento promossi e organizzati dall'Enci, l'Ente nazionale cinofilia italiana che si occupa dell'organizzazione e della gestione degli eventi nazionali e internazionali di sport cinofili, e di chi pratica tutti gli sport dei vari tiro a volo, a piattello, poligono.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/caccia-2655223130.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="attenzione-a-non-confondere-l-uso-distorto-dell-arma-con-l-arma" data-post-id="2655223130" data-published-at="1633438870" data-use-pagination="False"> «Attenzione a non confondere l'uso distorto dell'arma con l'arma» Stefano Fiocchi (Ansa) Nel settore della produzione di munizioni di piccolo calibro la Fiocchi è un'azienda leader a livello mondiale da oltre un secolo. Fondata a Lecco nel 1876 da Giulio Fiocchi, apripista di una tradizione familiare tramandata di generazione in generazione, oggi giunta alla quinta. Noi della Verità abbiamo fatto visita a Stefano Fiocchi nello stabilimento lecchese. Con il presidente dell'azienda che impiega oltre 1000 dipendenti con un fatturato consolidato di circa 220 milioni di euro, abbiamo trattato gli argomenti attuali che riguardano la produzione di armi e di caccia. Ma non solo. Si è parlato anche di sport, visto che il prodotto Fiocchi è riconosciuto come eccellenza italiana in tutto il mondo non solo per il settore della difesa e industria, ma anche per quello sportivo. «A ogni Olimpiade armi e munizioni italiane vincono a mani basse grazie alla qualità» ci dice con un certo orgoglio Fiocchi mentre ci accompagna tra i sette reparti dell'azienda. «Il fatto che si esporti dall'80 al 90% dei nostri prodotti la dice molto lunga sul fatto della qualità che offriamo».Da chi è composta la vostra clientela?«La nostra clientela va dal tiratore del poligono al cacciatore fino all'appassionato di armi, ma anche alla difesa in ambito nazionale e alle forze dell'ordine estere. Anche se va detto che il nostro maggiore business è il settore civile».Quindi per voi è fondamentale l'export? «Assolutamente sì. Perché pur essendo un'azienda leader a livello nazionale, apparteniamo a un settore che è fortemente trainato dall'export. Come dicevo prima, per noi rappresenta l'80-90%. Il mercato nazionale non ci fa stare in piedi, ma posso dire con orgoglio che la Fiocchi è un'eccellenze a livello internazionale ed è riconosciuta come un riferimento».I vostri prodotti sono sempre protagonisti agli eventi sportivi di caratura mondiale. Otto medaglie agli ultima campionati del mondo e svariati podi a ogni Olimpiade. Cosa significa?«In tutte le competizioni internazionali il prodotto Fiocchi è un prodotto vincente, di qualità e di riferimento. Abbiamo tantissimi tiratori che sparano Fiocchi. C'è orgoglio, gioia, quando incroci i dipendenti tra i reparti che ti dicono "Stefano hai visto? I bossoli con cui è stata vinta la medaglia d'oro li abbiamo fatti noi" ed è una soddisfazione perché vedi come toccano con mano il frutto del proprio lavoro e questo dà prestigio».Le ultime Olimpiadi come sono andate?«La squadra italiana che è sempre stata tra le migliori al mondo quest'anno non ha brillato, tuttavia la Fiocchi ha avuto l'onore di fare il record mondiale di 125 piattelli su 125, prima volta al mondo, con le nostre cartucce».E il vostro rapporto come azienda con il mondo dello sport qual è?«La società segue molto da vicino tutti questi eventi. Oltre le Olimpiadi che hanno una eco mediatica rilevante, ci sono poi i campionati del mondo, eventi nazionali e locali e noi seguiamo tutta questa filiera avendo dei nostri tiratori, alcuni sponsorizzati, e vengono seguiti tutti perché è importante tenere alimentato il bacino dei tiratori. Se non c'è una base che va a sparare tutti i giorni con passione, che poi può crescere e passare a livello agonistico, tutto quello che c'è poi sopra si spegne. Con la Fitav (Federazione italiana tiro a volo, ndr) e l'Anpam (Associazione Nazionale Produttori Armi e Munizioni Sportive e Civili, ndr) c'è collaborazione per mantenere vivo questo sport anche nella base, nei vari tiri a volo dislocati per l'Italia».Passiamo alla caccia. In questi giorni si parla molto del referendum per abolirla. Lei che ne pensa?«Penso che è un diritto costituzionale chiederlo, ma ovviamente non lo condivido. L'attività venatoria in Italia è estremamente regolata. La popolazione faunistica è in aumento e questo significa che la legislazione dell'attività venatoria è corretta. Ma faccio io una domanda».Prego.«È giusto limitare o cancellare la mia attività regolata da controlli severi perché tu non la condividi? Purtroppo molta gente è a priori contro il settore senza conoscere il settore e quello che c'è dietro, senza sapere che ci sono attività pacifiche come può essere la caccia, ma anche il tiro a volo, il tiro a poligono o a carabina. È una diatriba insanabile, però quello che chiediamo noi è il rispetto del nostro mestiere e della nostra passione».E a chi dice che la caccia va abolita per salvaguardare l'ambiente, come risponde?«Tenendo conte che quest'anno si è espressa anche la Corte Costituzionale con due sentenze che riconoscono al cacciatore il ruolo, cosa che noi sosteniamo da sempre e ora finalmente è stata sancita, noi siamo convinti che il cacciatore sia il primo a voler tutelare l'ambiente, perché svolge la sua attività nell'ambiente e se lo distruggesse non potrebbe più svolgerla».Ma perché tanta gente ha questa percezione negativa attorno al vostro mondo?«Bella domanda. Ci sono tanti pregiudizi, molti anche sbagliati, con cui convivo fin da piccolo perché sono cresciuto in una famiglia di cacciatori. C'è un mondo di appassionati che sono pro, poi c'è una grossa percentuale di persone neutre e infine ci sono quelli che sono contro il nostro settore, dagli anti caccia agli animalisti a quelli contro le armi. È sempre stato così e sempre sarà così. Io rispetto l'opinione altrui, quello che io chiedo è che chi non è d'accordo con il nostro settore non deve distruggerlo, perché parliamo di un'eccellenza italiana che dà lavoro a migliaia di persone».Si sente spesso associare il vostro lavoro alle parole «venditori di morte». Cosa pensa?«Ce lo hanno detto un sacco di volte e me lo sento dire da quando sono nato che sono un fabbricante di morte. Ma se qualcuno la pensa così è liberi di farlo. L'importante che ci lasci lavorare».Ma voi come rispondete?«Rispondiamo che non siamo venditori di morte, ma venditori di un prodotto di altissima qualità, riferimento di tutto il mondo. In Italia si confonde spesso il prodotto con l'uso che se ne fa».In che senso?«Nel senso che se uno ammazza una persona non è colpa della munizione. Perché se la ammazza a bastonate cosa facciamo, eliminiamo tutti i bastoni? Quando c'è un uso distorto dell'arma si tende a incolpare il prodotto. Se uno si mette a sparare come un pazzo non è colpa dell'arma o della munizione. Forse bisognerebbe avere un sistema, che in Italia abbiamo ma che andrebbe perfezionato, che intercetta le persone che possono avere dei problemi psichici e verificare se possiedono un'arma. Inoltre ci sono dei dati raccolti dalle Nazioni unite che sfatano certi miti perché la percentuale di omicidi compiuti con un'arma da fuoco è molto più bassa di quanto si creda. Quello che ripeto è attenzione a non confondere l'uso distorto dell'arma con l'arma. Ci sono milioni di persone che possiedono legalmente un'arma, che hanno una passione e che vanno a sparare al poligono, è non è giusto privarli di questa libertà». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/caccia-2655223130.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="i-cacciatori-non-intaccano-la-sopravvivenza-delle-specie-ma-contribuiscono-alla-permanenza-delle-stesse" data-post-id="2655223130" data-published-at="1633438870" data-use-pagination="False"> «I cacciatori non intaccano la sopravvivenza delle specie, ma contribuiscono alla permanenza delle stesse» Giovanni Ghini, presidente Anpam Anpam è l'Associazione Nazionale Produttori Armi e Munizioni Sportive e Civili, aderente a Confindustria della quale fa parte sin dalla sua costituzione. Nata nel 1980 per volontà di un gruppo di imprenditori lungimiranti, in ormai oltre 40 anni di attività, è diventata il punto di riferimento per tutte le aziende produttrici di armi e munizioni ed esplosivi civili. Rappresenta inoltre un settore, quello armiero, che è un'eccellenza assoluta, con oltre 7 miliardi di valore diretto e indiretto, 2.334 imprese e 87.000 occupati, quasi mezzo punto di Pil di fatturato (dati di settore rinvenibili nella ricerca pubblicata dall'Università di Urbino). Con il presidente Giovanni Ghini abbiamo affrontato alcuni temi che riguardano tutto il settore delle armi.Sul mondo delle armi ci sono ancora troppi tabù e falsi miti da sfatare: perché la gente comune ha una percezione così negativa di questo mondo e cosa si può fare per sfatare questi falsi miti?«Ritengo che la percezione errata da parte della gente comune dipenda in larga parte da una informazione non corretta. Occorre sfatare alcuni tra i falsi miti più comuni».Per esempio quali?«Per esempio chi dice che è facile possedere un'arma in Italia».È davvero così?«Sinceramente questa è un po' una leggenda. Anzitutto il richiedente deve essere un soggetto che non solo ha la fedina penale pulita ma non deve nemmeno avere procedimenti in corso per reati violenti. Inoltre, l'iter previsto dalla legge è piuttosto complesso. Occorre infatti sottoporsi ad una visita medica presso un distretto sanitario delle unità sanitarie locali o presso una struttura sanitaria militare o della Polizia di Stato. Questa valutazione deve accertare che il soggetto possieda i requisiti fisici e mentali richiesti dal Ministero della Salute. In particolare, il richiedente non deve essere affetto da malattie mentali o da altri vizi che possano diminuirne la capacità d'intendere e di volere. Contestualmente a questi accertamenti, l'interessato dovrà produrre un certificato anamnestico del proprio medico di fiducia, di data non anteriore a tre mesi. Solo in caso di esito positivo, e dopo aver dimostrato con una prova pratica di saper maneggiare l'arma, verrà concesso il libretto di porto d'armi. Nel caso del porto d'armi necessario per svolgere l'attività venatoria è richiesto anche il superamento di un esame scritto ed orale presso una commissione provinciale».Una procedura piuttosto articolata.«Il 30 luglio scorso, inoltre, proprio con il fine di limitare quanto più possibile l'uso improprio di armi e fatti di sangue prevenibili, è diventato legge il provvedimento di buon senso che consente al sindaco di comunicare al Prefetto i nominativi di coloro che siano stati sottoposti a trattamenti sanitari obbligatori (Tso) per patologie che pregiudichino i requisiti psico-fisici per l'idoneità al porto d'armi, ai fini del ritiro delle armi in possesso di tali soggetti». Qualcuno crede che i cacciatori possano cacciare qualunque specie e con ogni mezzo. È vero?«Non è così. La caccia è estremamente regolamentata dalla legge. Direi anzi che è una delle attività più dettagliatamente e severamente normate. Chi non rispetta queste regole non è un cacciatore, ma un bracconiere, categoria che non ha nulla a che vedere con quella dei cacciatori. È come se si tacciasse tutti gli automobilisti di essere dei pirati della strada».E quale impatto ha la caccia sulla natura?«Qualcuno sostiene che sia negativo. Ma anche qui le evidenze dimostrano tutto il contrario. I cacciatori, non intaccano la sopravvivenza delle specie, ma contribuiscono alla permanenza delle stesse attraverso una regolamentazione ed una corretta gestione degli habitat. Sono numerosi gli esempi in Europa ed anche in Africa dove la caccia correttamente esercitata impedisce che sul territorio si pratichi il bracconaggio ed un abbattimento incontrollato. In Italia i calendari venatori regionali, emanati nel contesto delle leggi nazionali e delle direttive europee, determinano le specie in deroga per evitare problemi di sovrappopolamento e limiti quantitativi per tutte le specie in modo da preservare un habitat naturale equilibrato».E a livello di sostenibilità?«La caccia negli ultimi trent'anni si è trasformata anche culturalmente in un'attività pienamente sostenibile e compatibile con l'ecosistema. I veri problemi per gli animali vanno ora ricercati altrove: negli anticrittogamici; nell'abbandono del territorio appenninico; nella mancata manutenzione idrogeologica; nell'inquinamento e nell'eccessiva antropizzazione di alcuni territori che hanno portato ad esempio ad un cambiamento delle abitudini di alcune specie. Si pensi per tutte alla penetrazione nell'entroterra dei gabbiani».Tra i tanti pregiudizi c'è quello che chi produce armi e munizioni sia visto come un «venditore di morte» sottovalutando che chi ha cattive intenzioni le ha a prescindere dallo strumento che utilizza. Perché non è e non deve essere così?«È chiaro che si tratta di un pregiudizio: lo strumento non è mai buono o cattivo in sé ma "buono" o "cattivo" è l'uso che se ne fa. A prescindere dagli aspetti filosofici credo che il comparto soffra di notevoli pregiudizi: non si considera che il settore armiero è fortemente regolamentato, e l'Italia è uno dei paesi con un impianto normativo tra i più restrittivi in Europa e che si traduce in uno dei più bassi livelli di circolazione di armi del continente».Anche perché le vostre aziende forniscono tutto il settore sportivo, giusto?«Una gran parte della produzione del settore è dedicata all'attività sportiva in cui l'aspetto della sfida con se stessi e del leisure sono esclusivi rispetto a quello della capacità offensiva dello strumento. Basti pensare al successo planetario delle armi e munizioni prodotte dalle Aziende Anpam che hanno vinto anche quest'anno, come già nei giochi olimpici precedenti, la quasi totalità delle medaglie a Tokyo. In nessuno sport un'eccellenza produttiva italiana sale sul podio con questa frequenza e con questa costanza in tutte le olimpiadi».Parliamo di caccia: perché viene dipinta come una brutale pratica?«Perché come in tanti altri ambiti si va verso una banalizzazione dei concetti: l'attività venatoria è frutto di cultura e tradizione e, nell'epoca attuale, viene praticata secondo studi scientifici che ne certificano la sostenibilità ambientale. La caccia moderna, conservativa del territorio che lavora di concerto con gli Ambiti Territoriali di Caccia provvede a ripristinare e manutenere gli ecosistemi in salute e in equilibrio. I cacciatori si impegnano a svolgere attenti censimenti per poter attuare i piani di abbattimento, limitando la sovrappopolazione di specie che porta a malattie endemiche; a danni all'agricoltura e sempre più spesso, come ormai è sotto gli occhi di tutti, a incidenti stradali».Però nonostante ciò il cacciatore viene dipinto come un assassino di animali da chi predica etica e morale. Perché?«Il cacciatore oggi è un tutore, un paladino del territorio; non solo perché le tasse che paga per praticare l'attività venatoria vengono destinate alla cura dell'ambiente, ma perché è rimasta una delle poche figure che vive la natura nel suo aspetto più vero e reale. Inoltre, è un dato di fatto, il presidio del territorio consente la sua conservazione: si pensi anche solo, ad esempio, alla prevenzione degli incendi boschivi».Ci spieghi meglio il concetto.«Il prelievo venatorio di un animale nato e cresciuto in natura è il modo più etico e a minore impatto ambientale di procurarsi della carne di qualità. Dal punto di vista della genuinità e della sostenibilità, la selvaggina è infinitamente più etica e salubre della carne di allevamento, specie se intensivo: non subisce trattamenti farmacologici, garantisce una riduzione della produzione di CO2 e del consumo di terreno e di acqua; azzera l'impatto ambientale dovuto alle produzioni zootecniche».Ma che differenza c'è con gli allevamenti finalizzati alla vendita di carne animale nei supermercati?«Dagli studi che abbiamo fatto eseguire, è risultato evidente che la carne degli animali a vita libera presenta diversi pregi che la rendono estremamente interessante dal punto di vista organolettico, come ad esempio un basso contenuto di grassi. È poi povera di colesterolo e ricca di proteine, ferro, zinco, vitamina B12 oltre che di alcuni acidi grassi polinsaturi che ne caratterizzano l'aroma. Le basse percentuali di grassi dei ruminanti selvatici hanno inoltre un favorevole rapporto di Omega 3 e Omega 6».Crede che gli animalisti e gli ambientalisti siano mossi più da slogan politici, piuttosto che reali motivazioni oggettive?«Intanto credo che si debba distinguere. La parte meno raziocinante e più estremista del mondo animalista non ha una visione realistica ed oggettiva della natura e del mondo venatorio: da un lato prevale il pregiudizio; da un altro lato è inutile nasconderlo, vi sono forti interessi economici sottesi a queste sigle, e comunque si rivolgono a persone il cui contatto più prossimo con la natura è quello dello schermo HD di un televisore».E poi?«Esiste invece una parte di mondo ambientalista moderato, composta da persone che vivono la natura ed i suoi problemi di tutti i giorni; che sanno cosa significa l'ecosostenibilità, con cui condividiamo progetti (ad esempio quello della lotta alle agromafie) e visione strategica della funzione dell'uomo nell'ambiente naturale. Con tali associazioni, anche attraverso la Fondazione UNA (Uomo Natura e Ambiente) che ne costituisce un luogo permanente di sintesi, il dialogo è costante e fruttuoso per la natura e per l'ambiente».Voi come Anpam come avete vissuto il periodo pandemico?«Nel corso della pandemia alcune attività, come ad esempio il tiro a volo, hanno chiaramente sofferto come tutti gli sport al momento della chiusura totale. È chiaro però che trattandosi di sport e attività all'aria aperta e per definizione "distanziati", sono stati fra i primi a ripartire al 100% non appena è stato possibile».Come sta andando la ripresa e come sta andando il mercato delle armi e delle munizioni?«Le nostre aziende sono fortemente orientate verso l'export: basti pensare che la vendita all'estero delle armi sportive costituisce oltre il 90% della produzione e quello delle munizioni circa il 70%. Per questo motivo la crisi ha avuto un impatto minore sul comparto rispetto ad altri mercati orientati in misura maggiore verso la domanda domestica. Anche la ripresa è stata più rapida anche se come tutti i settori si comincia a scontare la difficoltà di approvvigionamento delle materie prime».
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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