L’Europa ci appartiene e noi apparteniamo all’Europa. Queste terre sono la nostra casa; non ne abbiamo altra. Le ragioni per cui l’Europa ci è cara superano la nostra capacità di spiegare o di giustificare la nostra lealtà verso di essa. Sono storie, speranze e affetti condivisi. Usanze consolidate, e momenti di pathos e di dolore. Esperienze entusiasmanti di riconciliazione e la promessa di un futuro condiviso. Scenari ed eventi comuni si caricano di significato speciale: per noi, ma non per altri. La casa è un luogo dove le cose sono familiari e dove veniamo riconosciuti, per quanto lontano abbiamo vagato. Questa è l’Europa vera, la nostra civiltà preziosa e insostituibile. L’Europa è la nostra casa.
L’Europa, in tutta la sua ricchezza e la sua grandezza, è minacciata da una falsa concezione di sé stessa. Questa falsa Europa immagina di essere la realizzazione della nostra civiltà, ma in verità sta confiscando la nostra casa. Fa appello a esagerazioni e distorsioni delle autentiche virtù dell’Europa, e resta cieca di fronte ai propri vizi. Smerciando con condiscendenza caricature a senso unico della nostra storia, questa falsa Europa nutre un pregiudizio invincibile contro il passato. I suoi fautori sono orfani per scelta e danno per scontato che essere orfani - essere senza casa - sia una nobile conquista. In questo modo, la falsa Europa incensa se stessa descrivendosi come l’anticipatrice di una comunità universale che però non è né universale né una comunità. Una falsa Europa ci minaccia.
La nostra terra
La vera Europa si aspetta e incoraggia la partecipazione attiva al progetto di una vita politica e culturale comuni. Quello europeo è un ideale di solidarietà basato sull’assenso a un corpo di leggi che si applica a tutti, ma che è limitato nelle sue pretese. Questo assenso non ha sempre assunto la forma della democrazia rappresentativa. Ma le nostre tradizioni di lealtà civica riflettono un assenso fondamentale alle nostre tradizioni politiche e culturali, quali che ne siano le forme. Nel passato, gli europei hanno combattuto per rendere i propri sistemi politici più aperti alla partecipazione popolare e di questa storia andiamo giustamente orgogliosi. Pur facendolo, talora con modi apertamente ribelli, hanno vigorosamente affermato come, malgrado le ingiustizie e le manchevolezze, le tradizioni dei popoli di questo continente sono le nostre. Tale impegno riformatore rende l’Europa un luogo alla costante ricerca di una giustizia sempre maggiore. Questo spirito di progresso è nato dall’amore e dalla lealtà verso le nostre patrie. La solidarietà e la lealtà civica incoraggiano la partecipazione attiva.
Uno spirito europeo di unità ci permette di fidarci nella pubblica piazza gli uni degli altri, anche tra stranieri. Sono i parchi pubblici, le piazze centrali e i grandi viali delle città e dei borghi europei a esprimere lo spirito politico europeo: noi condividiamo una vita e una res publica comuni. Riteniamo nostro dovere assumerci la responsabilità del futuro delle nostre società. Non siamo soggetti passivi sottoposti al dominio di poteri dispotici, siano essi confessionali o laici. E non ci prostriamo davanti all’implacabilità delle forze storiche. Essere europei significa possedere la facoltà di agire nella politica e nella storia. Siamo noi gli autori del nostro destino condiviso. Non siamo soggetti passivi.
un’idea fallace
I padrini della falsa Europa sono stregati dalle superstizioni dell’inevitabilità del progresso. Credono che la Storia stia dalla loro parte, e questa fede li rende altezzosi e sprezzanti, incapaci di riconoscere i difetti del mondo post-nazionale e post-culturale che stanno costruendo. Per di più, ignorano quali siano le fonti vere del decoro autenticamente umano cui peraltro tengono caramente essi stessi, proprio come vi teniamo noi. Ignorano, anzi ripudiano le radici cristiane dell’Europa. Allo stesso tempo, fanno molta attenzione a non offendere i musulmani, immaginando che questi ne abbracceranno con gioia la mentalità laicista e multiculturalista. Affogata nel pregiudizio, nella superstizione e nell’ignoranza, oltre che accecata dalle prospettive vane e autocompiaciute di un futuro utopistico, per riflesso condizionato la falsa Europa soffoca il dissenso. Tutto ovviamente in nome della libertà e della tolleranza. La falsa Europa è utopica e tirannica.
Stiamo raggiungendo un vicolo cieco. La minaccia maggiore per il futuro dell’Europa non è né l’avventurismo russo né l’immigrazione musulmana. La vera Europa è a rischio a causa della stretta asfissiante che la falsa Europa esercita sulla nostra capacità d’immaginare prospettive. Le nostre Nazioni e la cultura che condividiamo vengono svuotate da illusioni e autoinganni su ciò che l’Europa è e deve essere. Noi c’impegniamo dunque a resistere a questa minaccia diretta contro il nostro futuro. Noi difenderemo, sosterremmo e promuoveremo la vera Europa, l’Europa a cui in verità noi tutti apparteniamo. Dobbiamo difendere la vera Europa.
senso unico
La falsa Europa si gloria di un impegno senza precedenti a favore della libertà umana. Questa libertà, però, è esclusivamente a senso unico. Si propone come la liberazione da ogni freno: libertà sessuale, libertà di espressione di sé, libertà di «essere sé stessi». La generazione del 1968 considera queste libertà come vittorie preziose su quello che un tempo era un regime culturale onnipotente e oppressivo. I sessantottini si considerano grandi liberatori, e le loro trasgressioni vengono acclamate come nobili conquiste morali per le quali il mondo intero dovrebbe essere loro grato. Sta prevalendo una falsa libertà. [...] E mentre ascoltiamo i vanti di questa libertà senza precedenti, la vita dell’Europa si fa sempre più globalmente regolamentata. Ci sono regole - spesso predisposte da tecnocrati senza volto collusi con dei poteri forti - che governano le nostre relazioni professionali, le nostre decisioni nel campo degli affari, i nostri titoli di studio, i nostri mezzi d’informazione e d’intrattenimento, la nostra stampa. E ora l’Europa cerca di restringere ancora di più la libertà di parola, una libertà che è stata europea sin dal principio e che equivale alla manifestazione della libertà di coscienza. Ma gli obiettivi di queste restrizioni non sono le oscenità o altri atti contrari alla pubblica decenza. Al contrario, la classe dirigente europea vuole palesemente restringere la libertà di parola. Gli esponenti politici che danno voce a certe verità sconvenienti sull’islam e sull’immigrazione vengono trascinati in tribunale. Il politicamente corretto impone tabù così forti da rendere impensabile qualsiasi tentativo di sfidare lo status quo. In realtà, la falsa Europa non incoraggia la cultura della libertà. Promuove una cultura dell’omologazione e del conformismo guidata da logiche di mercato e politiche. Siamo regolati e gestiti.
La scuola dell’odio
In Europa, i ceti intellettuali sono, purtroppo, fra i principali complici ideologici delle fallacie della falsa Europa. Senza dubbio, le nostre università sono una delle glorie della civiltà europea. Ma laddove un tempo esse cercavano di trasmettere a ogni nuova generazione la sapienza delle epoche passate, oggi per i più il pensiero critico equivale alla semplicistica ricusazione del passato. La stella polare dello spirito europeo è stata la rigorosa disciplina dell’onestà e dell’obiettività intellettuali. Ma da due generazioni questo nobile ideale è stato trasformato. L’ascetismo che un tempo cercava di liberare la mente dalla tirannia dell’opinione dominante si è mutata in un’animosità spesso compiaciuta e irriflessiva contro tutto ciò che ci appartiene. Questo atteggiamento di ripudio culturale è un modo semplice e a buon mercato per atteggiarsi a «critici». Nell’arco dell’ultima generazione, ciò è stato ripetuto infinite volte nelle aule universitarie, diventando una dottrina, un dogma. E l’unirsi a questo credo viene preso come segno di elezione spirituale all’essere «consapevoli». Di conseguenza, le nostre università sono diventate agenti attivi della distruzione culturale. Si è sviluppata una cultura dell’odio di sé.
assimilazione
Riconoscendo il carattere particolare delle Nazioni europee e la loro impronta cristiana, non dobbiamo lasciarci confondere dalle affermazioni pretestuose dei multiculturalisti. L’immigrazione senza assimilazione è solo una colonizzazione, e dev’essere respinta. Ci attendiamo giustamente che chi migra nelle nostre terre divenga parte dei nostri Paesi, adottando le nostre usanze. Questa aspettativa deve però essere sostenuta da una politica solida. Il linguaggio del multiculturalismo è stato importato dagli Stati Uniti d’America. Ma l’età d’oro dell’immigrazione negli Stati Uniti è stata all’inizio del secolo XX, un periodo di crescita economica notevolmente rapida in un Paese sostanzialmente privo di stato sociale e caratterizzato da un forte senso d’identità nazionale che ci si attendeva gli immigrati assimilassero. Dopo avere accolto numeri enormi d’immigrati, gli Stati Uniti hanno poi quasi completamente chiuso le proprie porte per due generazioni. L’Europa deve imparare da quell’esperienza americana invece che adottare le ideologie americane contemporanee.
Un’alternativa c’è
Rifiutiamo perché falsa la pretesa di dire che non esiste una alternativa responsabile alla solidarietà artificiale e senz’anima di un mercato unificato, di una burocrazia transnazionale e di un intrattenimento dozzinale. L’alternativa responsabile è la vera Europa. Il nostro futuro è l’Europa vera.
Al quarto scrutinio del Conclave la fumata bianca ha annunciato il 267°Papa della Chiesa Cattolica.
Robert Francis Prevost , da oggi Papa Leone XIV, è stato eletto Papa con la fumata bianca al quarto scrutinio del conclave. Il successore di Papa Francesco, cardinale statunitense dell'Ordine di Sant'Agostino, è nato il 14 settembre 1955 a Chicago. Fino ad oggi è stato Prefetto del Dicastero per i Vescovi e Presidente della Pontificia Commissione per l'America Latina. La sua carriera ecclesiastica è stata caratterizzata da una lunga esperienza missionaria in Perù e per diversi ruoli nella Curia.
Prevost è nato da una famiglia di origini italiane, francesi e spagnole. Ha frequentato il seminario minore degli Agostiniani, entrando nell'Ordine nel 1977. Ha emesso i voti solenni nel 1981 e ha conseguito un Bachelor in Matematica alla Villanova University. Ha ottenuto in seguito un Master of Divinity presso la Catholic Theological Union di Chicago e un dottorato in Diritto Canonico presso la Pontificia Università San Tommaso d'Aquino a Roma.
Ordinato sacerdote nel 1982, Prevost ha cominciato il suo ministero in Perù nel 1985, servendo come cancelliere della prelatura di Chulucanas. Dal 1988 al 1998 ha diretto il seminario agostiniano di Trujillo, insegnando diritto canonico e svolgendo ruoli come giudice ecclesiastico e parroco in aree periferiche. Nel 2015, è diventato cittadino peruviano naturalizzato.
Nel 1998, Prevost è stato eletto provinciale degli Agostiniani per la Provincia di Nostra Signora del Buon Consiglio a Chicago. Nel 2001, è stato eletto Priore Generale dell'Ordine di Sant'Agostino, ruolo che ha ricoperto per due mandati fino al 2013.
Papa Francesco lo ha nominato vescovo il 12 dicembre 2014. Ha anche servito come amministratore apostolico del Callao nel 2020. All'interno della Conferenza Episcopale Peruviana, è stato vicepresidente e presidente della Commissione per l'Educazione e la Cultura.
Il 30 gennaio 2023, Bergoglio ha nominato Prevost Prefetto del Dicastero per i Vescovi e Presidente della Pontificia Commissione per l'America Latina. In questo ruolo, ha avuto grande influenza nella nomina dei vescovi a livello mondiale. Il 6 febbraio 2025 è stato promosso all'ordine dei cardinali vescovi, ricevendo il titolo della sede suburbicaria di Albano. Dopo la morte di Papa Francesco nell'aprile 2025, Prevost è stato subito indicato come uno dei principali candidati al pontificato. Viene eletto Papa l’8 maggio 2025 al quarto scrutinio del Conclave.
Il suo motto episcopale è In illo uno unum ("In quell'unico, siamo uno solo).






