2020-05-06
Spadafora spinge il pallone verso il baratro
C'è un piano per ridurre da 100 a 60 i club professionistici: sotto la Serie A ci sarebbe solo una B a 40 squadre e nessun altro livello. Il comitato tecnico scientifico tarda a esprimersi sulla ripresa del massimo campionato e la Figc, in polemica, annulla l'assemblea. Ci si sente catapultati nel mito della decrescita felice, con alte dosi di decrescita e basse di felicità. Condite da una situazione di stallo che ricorda le sfide a scacchi quando i giocatori non sanno (o fingono di non sapere) che pesci pigliare. La prima mossa arriverebbe dal ministro dello sport Vincenzo Spadafora. Secondo un'indiscrezione svelata dal canale televisivo Sport Italia, il calcio nazionale si troverebbe davanti a un bivio. È allo studio una riduzione del numero di club professionistici: dagli attuali 100 a 60. La suddivisione attuale nel professionismo del pallone in Italia prevede una Serie A formata da 20 squadre, lo stesso numero di club per il campionato di Serie B, e una serie C ripartita in tre gironi da altrettante 20 squadre, per un totale di 100 società professionistiche. L'idea che circola nelle stanze romane, non nuova in verità, come argine alla crisi da coronavirus, contemplerebbe una drastica diminuzione di leghe, squadre, costi e - danno collaterale - posti di lavoro. Nessuna variazione per la Serie A - rimarrebbe un campionato disputato da 20 club -, ma un cambiamento netto per la Serie B, che diventerebbe una sorta di superlega da due gironi con 20 squadre: la somma delle compagini dell'attuale serie cadetta senza retrocessioni, e di altre 20 pescate dalla serie C con criteri tutti da stabilire. In uno scenario del genere, la serie C muterebbe pelle, trasformandosi in un contenitore dilettantistico composto dalle rimanenti 40 partecipanti, più altre 20 prelevate dalla serie D. Proprio la Serie D tornerebbe ad assomigliare alla Interregionale di una volta, con 9 gironi da 18 squadre. Voci di corridoio darebbero una Figc niente affatto incline a stappare champagne per festeggiare tale pensata. Questione di forma, parrebbe. Soprattutto di sostanza politica e di tempestività nella sua attuazione. I malumori nascerebbero in primis da una decisione che, se imposta, avrebbe il sapore di presa di posizione poco sensibile alle prerogative di autonomia della federazione. Poi ci sarebbero i tempi. Il progetto non è originale, giace nei cassetti da parecchio e con ciclicità verrebbe preso in considerazione tra le tante opportunità di riforma del calcio italiano. Ma un conto è stabilire un cambiamento procedendo per gradi, annunciandolo oggi per metterlo in pratica nel corso degli anni, dando la possibilità alle società cadette di organizzarsi e innescando - perché no - un circolo virtuoso capace di salvaguardare il rapporto tra costi e benefici. Un altro è attuarlo in fretta, per esigenze contingenti, non solo di salvaguardia della salute degli addetti ai lavori in tempi di Covid-19. La partita è ampia, anche da una decisione sul futuro del calcio passa la sopravvivenza dell'esecutivo e accreditarsi come alfiere di uno stravolgimento epocale puntellerebbe la solidità del ministero. Il nodo per saggiare la praticabilità di una proposta di per sé già difficile da concretizzare sarebbe sempre lo stesso: che cosa fare con la stagione di Serie A in corso. Se il calendario venisse portato a termine e lo scudetto fosse assegnato, i danari dei diritti televisivi - allo stato attuale mancanti - verrebbero sbloccati, garantendo ossigeno alle leghe minori e tenuta per tutto il movimento, da quello dilettantistico alla miriade di sport minori che si reggono in piedi grazie al successo del calcio giocato. Se la Serie A chiudesse i battenti anzitempo, salutando il pubblico fino a settembre, le porte alla riduzione immediata dei team professionistici si aprirebbero con qualche spiraglio in più.Tutto chiaro? Nemmeno per sogno. La ripresa delle gare sembra piuttosto lontana. Il comitato tecnico scientifico non ha ancora formulato un responso ufficiale sulla ripartenza. Il prossimo consiglio federale della Figc, fissato in agenda per venerdì 8 maggio, sarebbe stato rinviato a data da destinarsi proprio in attesa di ascoltare quel responso. «Servono ulteriori approfondimenti sui temi dell'emergenza» è quanto trapela da fonti di via Allegri. Mentre le pay tv Sky, Dazn e Img chiedono alla Lega calcio uno sconto sui diritti. Sky avrebbe esposto diverse opzioni a seconda delle partite che si giocheranno ed entro quale data. Indicando, in caso di ripresa, una riduzione per i pagamenti della stagione in corso, pari a circa 120-140 milioni di euro, il 15-18% dei 790 milioni complessivi previsti per il 2020/21 (e uno sconto di 255 milioni in caso di stop definitivo). Sullo sfondo, l'interesse del colosso finanziario Cvc nel proporre alla Lega una trattativa sui diritti tv in grado di fornire un flusso di liquidità alle società per i prossimi 10 anni, creando una nuova compagnia dove confluirebbero i diritti venduti dal 2021, trattando direttamente con le emittenti per la loro rivendita.I giorni passano, temporeggiare sarebbe deleterio. La posta in gioco non riguarda soltanto le modalità con cui svariati giovanotti milionari in braghette si sfiderebbero rincorrendo un pallone. Il calcio è la settima industria nazionale. Bilancio integrato della Figc alla mano, con 4,7 miliardi di euro, ovvero l'ammontare del fatturato diretto generato dal settore, l'Italia produce il 12% del Pil del calcio mondiale. Sono 570.000 le partite ufficiali disputate ogni anno, di cui il 99% di livello dilettantistico e giovanile. Significa lavoro per magazzinieri a stipendio fisso, contabili, preparatori, medici, giardinieri. Gente che, in caso di declassamento repentino della propria società sportiva, si ritroverebbe in mezzo alla strada.