2019-04-30
Spacciano per il trionfo dell’Europa un governicchio della «non sfiducia»
A Bruxelles si sentono fuori pericolo, ma le votazioni iberiche registrano la fine del bipolarismo della Madrid postfranchista. E il flop dei popolari porterà il Ppe dall'intesa con i socialdemocratici a quella con i sovranisti.I socialisti hanno vinto le elezioni ma non hanno i numeri per governare. Servirà un patto allargato anche ai baschi o un asse con Ciudadanos, all'ombra di George Soros.Nessun compromesso con i separatisti e linea dura sull'immigrazione, strizzando l'occhio a Donald Trump. Il partito di Santiago Abascal è balzato da zero a 10%, conquistando 24 seggi.Lo speciale contiene tre articoli«La maggioranza schiacciante degli spagnoli ha optato per partiti chiaramente pro europei», dice il portavoce della Commissione Ue, Margaritis Schinas. «Confidiamo che Sánchez formi un governo stabile e pro Ue».A Bruxelles tirano un sospiro di sollievo per l'esito delle elezioni in Spagna. Come già era successo dopo il ballottaggio del 2017 in Francia, gli eurocrati festeggiano: sono ancora vivi. Ma le loro prospettive di sopravvivenza sono appese a un filo, che rischia di spezzarsi il 26 maggio, quando si apriranno le urne per rinnovare il Parlamento europeo.È vero: Pedro Sánchez ha vinto. I socialisti hanno sfiorato il 29%, hanno ottenuto 123 seggi e sono tornati a brindare con la sangria dopo 11 anni dall'ultimo risultato positivo. Ma quello per il prossimo esecutivo è un percorso insidioso, soprattutto per gli europeisti, che suonano la lira mentre Bruxelles va in fiamme. Il Psoe sarà pure il primo partito, avrà inviato «un messaggio all'Europa e al resto mondo», si sarà convinto di poter formare un esecutivo pro Ue («se puede», ha detto Sánchez), ma intanto deve fare i conti con la morte del bipolarismo. Ovvero, del sistema che aveva caratterizzato la Spagna postfranchista, quella che si lasciava alle spalle la dittatura e abbracciava con convinzione il progetto europeo. Per avere una maggioranza sicura, il Psoe dovrebbe allearsi con Ciudadanos, il partito dei moderati che ha però escluso un'intesa. Il suo numero uno, Albert Rivera, ha anzi approfittato del capitombolo di popolari per accreditarsi come leader dell'opposizione. La seconda ipotesi era mettersi con Podemos. Lo schieramento di Pablo Iglesias, il cui grillismo di sinistra è uscito piuttosto ridimensionato dalle urne, si è detto disponibile a una trattativa. Ma per la maggioranza assoluta serviva il contributo dei nazionalisti baschi, canari, valenciani e cantabrici. La peggiore delle ipotesi sarebbe stato il matrimonio con gli indipendentisti catalani, con i quali i socialisti non hanno mai voluto il pugno di ferro e che nondimeno temono, considerandoli inaffidabili. Peraltro, è paradossale che per salvare l'Europa ci si debba rivolgere ai fan delle micropatrie, dei regionalismi, se non a quelli che vorrebbero lacerare l'unità del Paese e che l'Unione europea, ai tempi della fuga di Carles Puigdemont, aveva cordialmente scaricato, per il bene del fido esecutore dei suoi ordini, l'ex premier Mariano Rajoy. Alla fine, il Psoe ha confermato che punta a un monocolore. Siccome gli mancano 53 seggi, però, dovrà sperare in un appoggio esterno di qualche «responsabile». In parole povere, Sánchez ha fatto «vincere il futuro», però aspira a quella che ai tempi della prima Repubblica italiana chiamavamo la «non sfiducia». Il domani europeista avvinghiato a un governicchio alla Giulio Andreotti.Non bisogna dimenticare nemmeno che, in chiave europea, i risultati delle elezioni in Spagna sanciscono l'affermazione di movimenti distanti dalla grande coalizione che esprime l'attuale Commissione. Il Ppe, con la débâcle dei popolari, cui evidentemente non ha portato bene fare i Mario Monti in traje de luces, scontano l'ennesima emorragia di consensi, dopo quelle dalla Francia, dall'Italia e dalla Germania. E questo non fa che spingere i moderati tra le braccia dei sovranisti, ovvero di quell'intesa, propiziata da Viktor Orbán e Matteo Salvini, che spezzerebbe l'asse con il Pse dell'era Juncker-Merkel-Timmermans. I socialisti Ue, dal canto loro, si preparano a spagnolizzarsi. E questa è una pessima notizia per i piddini nostrani, che pure salutano con letizia il risultato del Psoe, dall'ammiccante «adelante Pedro» del tweet di Paolo Gentiloni, all'«alternativa a sovranisti, populisti e destre» celebrata da Nicola Zingaretti. L'ascesa di Sánchez relega i dem a un ruolo marginale nel Pse e archivia il ricordo del famoso 40%, che galvanizzò Matteo Renzi nel 2014. La sconfitta di «autoritarismo» e «involuzione» somiglia dunque al classico illusorio miglioramento del paziente moribondo. E se l'analisi post elezioni politiche è un profluvio di retorica europeista, quella post 26 maggio rischierà di svolgersi sul tavolo autoptico della vecchia Europa. Tanto più che, dopo la Francia, dove Marine Le Pen è oramai sdoganata e in crescita, pure la Spagna, sancendo il boom di Vox, dimostra di aver superato il tabù della destra radicale.A tutto ciò si aggiunge un altro parallelismo con l'esperienza di Emmanuel Macron: il galoppino dell'establishment era una delle tante figurine investite dell'ardua missione di salvare l'Europa, ma la sua presidenza, dagli immigrati alla politica estera, trabocca di sciovinismo. I suoi progetti di riforma dell'eurozona sono stati congelati dalla gelida accoglienza di Berlino. Pure il premier Sánchez aveva esordito facendo sbarcare a Valencia la nave Aquarius, respinta dall'Italia. Ma il nobile paladino iberico dell'Europa accogliente ha fatto presto a cambiare idea: a gennaio, per dire, l'Ong Open arms ha trovato chiuso il porto di Barcellona. La nave, peraltro non era in arrivo, ma partiva per raccogliere un po' di migranti in mare. La bontà del guapo Sánchez è durata da Natale a Santo Stefano. Per citare un famoso titolone di Time: può quest'uomo salvare l'Europa?Alessandro Rico<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/spacciano-per-il-trionfo-delleuropa-un-governicchio-della-non-sfiducia-2635870162.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="nessuna-svolta-a-sinistra-la-spagna-e-semplicemente-rimasta-ferma-a-sanchez" data-post-id="2635870162" data-published-at="1758064526" data-use-pagination="False"> Nessuna svolta a sinistra. La Spagna è semplicemente rimasta ferma a Sánchez I socialisti guidati da Pedro Sánchez hanno vinto le elezioni in Spagna. Come davano per certo tutti i sondaggi, il Psoe è risultato il primo partito con il 28,7% dei consensi (123 seggi), contro il 16,7% (66 seggi) del Partito popolare che aveva guidato il Paese dal 2011 al 2018. La sinistra di Pablo Iglesias (Unidas Podemos) si è fermata al 14,3 % (42 seggi), perdendo quasi 1,4 milioni di voti, il leader «arancione» di Ciudadanos, Albert Rivera, ha ottenuto il 15,9% (57 seggi) ma non è risultato decisivo nella coalizione di destra. Gli ultranazionalisti di Vox agitano orgogliosi il loro 10,3% che li fa entrare in Parlamento con 24 seggi. La Spagna che ieri si è risvegliata socialista, non ha però i numeri per governare e anche questo era già stato annunciato. Per arrivare alla maggioranza assoluta di 176 deputati servono accordi e malgrado Sánchez si affretti a ribadire che vuole «provarci da solo», alleati e oppositori sanno che adesso si apre la stagione dei compromessi. Anche bussando alla porta degli indipendentisti catalani, prospettiva nettamente rifiutata dalla base del Psoe. Gli spagnoli hanno votato numerosi, il 75,78%, un 10% in più rispetto alle politiche del 2016, ma più che elezioni questo è sembrato un referendum, come ha osservato Salvador Molina, presidente del Foro Ecofin, centro di ricerca economico e finanziario. «Non votare Pedro Sánchez significava votare la destra. Votare i tre partiti di destra avrebbe significato un ritorno al passato, al vecchio. Il voto al leader del Psoe ha finito per rappresentare un voto progressista e moderato», ha commentato l'analista. Il bipartitismo è così resuscitato negli ultimi venti giorni grazie alla campagna di comunicazione del Psoe, martellante nell'affermare che bisognava votare i socialisti contro i nemici del Pp, di Cs e di Vox. Contro i nemici della Spagna. Allo stesso modo, in Catalogna e nei Paesi Baschi l'appello alle urne per isolare la destra e i «nostalgici franchisti» ha rafforzato il numero dei seggi dei nazionalisti di Erc, JxCat, Pnv y Bildu. I voti non andavano dispersi nemmeno troppo a sinistra con Podemos, paradossalmente Sánchez si è presentato come l'unica alternativa «moderata» in grado di salvare il Paese dal populismo. Una campagna «mariana», l'hanno definita in molti, che sembrava rifarsi alle strategie elettorali di Mariano Rajoy, storico avversario di Pedro Sánchez. La risposta, anche emotiva degli elettori c'è stata. I popolari, da parte loro, fanno i conti con la presunzione e la scarsa incisività del giovane leader Pablo Casado, occupato a prendere le distanze da Vox e che oggi si è visto dimezzare il numero dei deputati. Una sconfitta per lo storico partito di destra, quasi superato dall'altra formazione, Ciudadanos, e con buona parte degli elettori che gli hanno preferito il carisma, la chiarezza e la concretezza di Santiago Abascal che ha saputo parlare agli spagnoli di unità nazionale, di famiglia, di lotta all'invasione extracomunitaria. Forse Vox avrebbe potuto raccogliere più consensi se la destra fosse risultata meno litigiosa, ma i suoi 24 deputati sono un grande risultato per chi prima non aveva rappresentanza in Parlamento. Messi insieme, i tre partiti che si oppongono alla sinistra non possono ottenere il numero di 176 seggi, si fermano a 149. Passato il momento dei sorrisi e del segnale che viene letto come «europeista», Sánchez dovrà dunque provare a governare. Con i seggi di Unidas Podemos (42), Compromís (1), Partido nacionalista Vasco (6), Coalición Canaria-Pnc (2) e Partido regionalista de Cantabria (1) metterebbe insieme solo 175 seggi. Diventano indispensabili quelli degli indipendentisti di Esquerra republicana (15), Junts per Catalunya, (7) ed Euskal herria bildu, coalizione di partiti nazionalisti baschi di sinistra (4), con i quali si arriverebbe a 199 deputati. Ma il prezzo da pagare sarebbe spiegare agli spagnoli che si fa un governo con i golpisti, magari scambiando l'appoggio al Psoe con l'indulto per i politici catalani in carcere. L'altra soluzione, un accordo con la destra moderata di Ciudadanos che porterebbe ad avere la maggioranza, viene decisamente rifiutata dai rispettivi leader, Sánchez e Rivera. Ma anche queste posizioni non convincono. Alcuni quotidiani spagnoli cattolici e di destra stanno riproponendo il legame Soros-Ciudadanos. Sul Correo de Madrid, l'avvocato esperto di diritto di famiglia Javier María Pérez-Roldán y Suanzes-Carpegna ieri scriveva che «Ciudadanos è il partito di Soros ed è infiltrato dalla massoneria. Alla fine non avrà problemi a comporre una maggioranza con i socialisti». La Tribuna de España titola che Soros è il vero vincitore delle elezioni. A marzo aveva rivelato un incontro segreto tra l'imprenditore Gorge Soros e Albert Rivera, dal quale sarebbe uscito l'ordine ben chiaro di non appoggiare le formazioni di destra. Un mese prima, il direttivo di Ciudadanos aveva invece votato la linea «nessun accordo con il Psoe dopo le elezioni» e Soros, che avrebbe in Ciudadanos un «suo uomo» nell'economista Luis Garicano, sarebbe intervenuto proprio per imporre la linea pro Sánchez. L'unica percorribile se non si vuole arrestare «l'invasione musulmana» della Spagna, come è nei disegni di Soros che nel suo odio per l'Europa, sempre secondo La Tribuna de España, «alimenterebbe pure il separatismo golpista catalano e la sinistra». Se l'accordo tra la destra di centro e il Psoe alla fine si farà, i giochi si scopriranno. Intanto ci sono le europee e Sánchez può prendere tempo. Patrizia Floder Ritter <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/spacciano-per-il-trionfo-delleuropa-un-governicchio-della-non-sfiducia-2635870162.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="la-nuova-destra-ha-alzato-la-vox" data-post-id="2635870162" data-published-at="1758064526" data-use-pagination="False"> La nuova destra ha alzato la Vox Vox, che alle elezioni spagnole ha conquistato 24 seggi parlamentari, è un partito di estrema destra come titolano i giornali? No. Il suo leader, indubbiamente carismatico, il quarantatreenne Santiago Abascal, si è formato politicamente nel Partito popolare e non ha mai frequentato i gruppuscoli dell'area neo franchista (tipo Fuerza nueva, che ha ispirato nel nome il gruppo italiano di Forza nuova). È un partito antisemita, come pure è stato scritto? Neppure: Vox vanta un forte legame con Israele e dichiara di sostenerlo «contro il terrorismo di Hamas». Ma allora perché questo partito emergente ha inquietato tanto l'establishment politico? Ha turbato la sinistra osando contestare gli slogan del politicamente corretto, ma nello stesso tempo ha mandato in tilt i conservatori con i suoi toni più grintosi. Abascal è l'altra faccia della Spagna. Se negli scorsi anni i separatisti si sono presi la scena politica e i partiti tradizionali hanno cercato di limitarli - e nello stesso tempo blandirli - il leader di Vox ha gridato forte che la Spagna è una e che le autonomie regionali devono essere praticamente azzerate. Solo unita la Spagna può affrontare l'altro grande pericolo: quello del terrorismo intrecciato all'immigrazione. I «verdi» (questo il colore sociale di Vox) chiedono che si alzi nelle enclavi spagnole di Ceuta e Melilla un muro «insurmountable» e - già che si è in zona - che si sollevi l'eterno problema della sovranità su Gibilterra. Dai commentatori politici non è stato sottolineato abbastanza come nella percezione dell'opinione pubblica i due temi del secessionismo e del terrorismo si siano intrecciati in maniera impressionante: i separatisti catalani, cercando con tutti i mezzi di frenare la presenza dello Stato centrale e delle sue forze di polizia, avevano aperto una falla nella sicurezza (che è diventata evidente con l'attentato sulle Ramblas del 2017); anche l'utilizzo pervasivo del catalano al posto dello spagnolo ha fatto in modo che la Catalogna si sia riempita di immigrati dal Nordafrica piuttosto che dei tanti latinos che arrivando dal Sudamerica hanno preferito stabilirsi nelle aree in cui si parla la lingua comune, lo spagnolo. Di fronte a queste dinamiche gli stessi popolari hanno mostrato una reazione che una buona parte degli elettori tradizionalmente di centrodestra ha considerato blanda, insufficiente. Vox ha avuto buon gioco nel chiedere un cambio netto di strategia. In campo economico Abascal vuole una flat tax al 21% e bilancia ragionamenti di tipo neoliberista con altre proposte che richiedono un certo intervento dello Stato in economia; guardando al di là dei confini della amata Spagna, esprime una forte simpatia per Donald Trump e nello stesso tempo si prepara a fare un gruppo unico al parlamento europeo insieme a Matteo Salvini. Ma la strada per Vox è ancor più in salita rispetto ad altri movimenti della galassia sovranista. Abascal riuscirà a entrare nell'arco costituzionale o i socialisti, in nome del politicamente corretto, riusciranno a emarginarlo dal gioco delle alleanze? Intanto, si gode l'unico vero successo netto di questa tornata elettorale. Alfonso Piscitelli