2022-11-26
I furbi delle coop hanno tutti lo stesso colore
Paolo Mieli (Imagoeconomica)
Secondo Paolo Mieli, il clamore sul caso Aboubakar Soumahoro sarebbe dovuto al razzismo. Ma è falso: sono anni che denunciamo quel business fatto da italiani. La pelle nera non deve generare odiose discriminazioni, ma non può nemmeno essere un salvacondotto.Razzismo? Davvero? Parliamo di Aboubakar Soumahoro solo perché ha «la pelle nera», come sostiene Paolo Mieli in tv? Davvero c’è contro di lui un «accanimento razzista»? Un «pregiudizio»? Davvero i magistrati indagano e soprattutto i giornali scrivono del suo caso soltanto perché è un immigrato africano? Davvero se fosse nato ad Aosta o a Cinisello Balsamo la sua vicenda sarebbe passata inosservata? Davvero nessuno si sarebbe interessato ai ragazzi maltrattati nelle cooperative o ai dipendenti non pagati per due anni consecutivi? Davvero, se sua moglie e sua suocera fossero state di Bolzano, nessuno avrebbe notato una certa discrepanza tra lo stile di vita da Lady Gucci e gli immigrati lasciati senza pane? Tra i lavoratori sfruttati e la villa comprata a Casalpalocco tra attori, calciatori e vip? Forse Paolo Mieli non ricorda Stefano Mugnaini della Mc Multicons di Montelupo Fiorentino. O Simone Borile di Ecofficina a Padova. O don Sergio Librizzi, responsabile del centro di Salinagrande e Badia Grande in Sicilia. O Paolo Di Donato di Malaventum (Benevento), con la sua Ferrari fiammante. Forse Paolo Mieli non ha mai sentito parlare di don Edoardo Scordio e di Leonardo Sacco delle Misericordie di Capo Rizzuto, centri su cui faceva affari sporchi il clan Arena. O di Stefano Fuso o dei fratelli Chiorazzo o di Alfonso De Martino con la sua Ala di Riserva o di Pasquale Cirella, ex installatore di impianti idraulici, che gestiva l’accoglienza in Campania con la preziosa collaborazione di Miss Paesi Vesuviani, già starlette di «Fette di Sole» su TeleCapri. Forse a Paolo Mieli sono sfuggiti questi e tanti altri nomi con cui ci si potrebbe anche scrivere un libro. Se il libro non l’avessimo già scritto quasi dieci anni fa. È da più di dieci anni, infatti, che denunciamo ciò che si nasconde dietro la maschera buonista dell’accoglienza. È da più di dieci anni che ci scagliamo contro l’ipocrisia di chi fa affari fingendo di far beneficenza. E, piaccia o no a Paolo Mieli, non abbiamo mai fatto caso al colore della pelle di nessuno. Non ci è mai interessato il luogo di nascita delle decine e decine di persone cui abbiamo fatto doverosamente le pulci. Né la loro nazionalità. Nessuno di quelli che abbiamo appena citato era nero, nessuno era africano, nessuno era immigrato. Tutti italianissimi. Epperò appena s’è sollevato qualche sospetto sul loro modo di gestire il fenomeno dell’immigrazione l’abbiamo raccontato, documentato, denunciato. Con tutti i particolari possibili. Perché sull’accoglienza si spendono soldi dei contribuenti e ci vuole rispetto. E poi perché non c’è niente di peggio che comportarsi da farabutti nascondendosi dietro la maschera della solidarietà. E ora dovremmo tacere perché i sospetti cadono su Sumahoro? E dovremmo tacere soltanto perché ha la pelle nera? Non so se Paolo Mieli se n’è accorto, ma sono stati proprio i finti buonisti a provocare i danni maggiori agli immigrati. Sono loro i peggiori razzisti. Perché hanno realizzato ingenti guadagni sulla pelle di chi ha la pelle nera. Le politiche dell’«avanti c’è posto», infatti, hanno fatto guadagnare tutti, tranne i cittadini perbene. Ci hanno guadagnato i trafficanti. Ci hanno guadagnato i caporali e gli sfruttatori del lavoro nero. Ci hanno guadagnato le classi dirigenti che, grazie alla manodopera a basso costo, hanno abbattuto i diritti dei lavoratori. E ci hanno guadagnato le cooperative che facevano soldi privando gli ospiti dei beni essenziali. Come, secondo la Procura di Latina, succedeva anche nei centri gestiti dalla famiglia Sumahoro. Il deputato della sinistra è stato il simbolo di questo sciagurato modello di accoglienza. Era quello che stava sulla copertina dell’Espresso accanto a Salvini con il titolo «Uomini e no». Sottinteso: chi si oppone a lui non può essere chiamato uomo. Ecco: noi abbiamo sempre criticato tutti coloro che hanno sguazzato in quel modello di accoglienza, e adesso dovremmo tacere quando il simbolo di tutto ciò viene investito dalle ombre (e che ombre) del sospetto? Sumahoro dovrebbe spiegare tante cose. Dovrebbe spiegare, fra l’altro, perché, lui simbolo della difesa degli immigrati, ha taciuto di fronte allo sfruttamento degli immigrati. Perché se sapeva, come ha dichiarato giovedì sera in tv, che nella cooperativa di sua moglie i dipendenti non venivano pagati non è intervenuto per ripristinare diritti e legalità. Perché ha fatto finta di nulla. Perché in un primo momento ha addirittura mentito dicendo che non ne era a conoscenza. Deve spiegare come ha potuto tollerare lo stile di vita di sua moglie che prendeva soldi dalla cooperativa mentre (e lui lo sapeva) i lavoratori non venivano pagati. Deve spiegare come ha fatto a comprare una villa a Casalpalocco con i proventi di un libro, considerato che non risulta che il suo libro abbia venduto come quelli di Ken Follet. Deve spiegare perché si faceva raccomandare per andare dal presidente della Camera a chiedere interventi contro il decreto Sicurezza senza dire, a chi lo raccomandava, che sua moglie e sua suocera gestivano cooperative di accoglienza ed erano ovviamente preoccupate dei tagli alle cooperative previsti dai medesimi decreti sicurezza. Deve spiegare tutto questo e tanto altro ancora. Deve spiegare tutto quello che abbiamo scritto e che continueremo a scrivere su questo giornale. E deve farlo senza permettere al circoletto dei benpensanti Paolo Mieli &Associati di tirare in ballo il colore della sua pelle. Il colore della sua pelle non c’entra nulla. Ma proprio nulla. Come non c’entrava per Mugnaini, Borile, don Librizzi, Di Donato, don Scordio, Sacco e tutti gli altri. Il colore della pelle è mai stata una discriminante per accusare qualcuno. Ma non può essere nemmeno una discriminante per difendersi. Perché se passasse l’idea mieliana che, con tutto quello che sta venendo fuori di concreto sulle cooperative di famiglia, Aboubakar Sumahoro viene attaccato soltanto perché è nero, beh, allora si fisserebbe il pericoloso principio che chi è nero non può essere mai criticato. Qualunque cosa faccia. Qualunque cosa dica. Ed è un po’ pericoloso perché essere neri non deve in nessun caso generare discriminazioni. Ma non può nemmeno generare il salvacondotto. O peggio l’eterna immunità.
Margherita Agnelli (Ansa)
L’europarlamentare del Pd Irene Tinagli (Imagoeconomica)
John Elkann (Getty Images)