Il decreto elimina la possibilità di cessioni illimitate del credito di imposta, già negate a Industria 4.0. In questo modo, la misura sarà di fatto inapplicabile: rischiano di saltare decine di aziende. E come al solito dietro c’è lo zampino di Bruxelles.
Il decreto elimina la possibilità di cessioni illimitate del credito di imposta, già negate a Industria 4.0. In questo modo, la misura sarà di fatto inapplicabile: rischiano di saltare decine di aziende. E come al solito dietro c’è lo zampino di Bruxelles.Quando ieri mattina è stato finalmente possibile leggere il testo definitivo del decreto legge cosiddetto Sostegni ter, sono cadute le residue e flebili speranze di un passo indietro dell’ultimo minuto da parte del governo. Con il testo pubblicato in Gazzetta Ufficiale è stata confermata la scelta di voler sostanzialmente affossare il Superbonus 110%, per mezzo del divieto di cessione illimitata del relativo credito di imposta.Da oggi sarà possibile una sola cessione da parte dell’impresa fornitrice dei lavori o da parte del beneficiario originario, rispettivamente per i casi di sconto in fattura o cessione del credito. Dopodiché si fermerà tutto e chi ha acquistato il credito e non ha la cosiddetta «capienza fiscale» - cioè la disponibilità di debiti verso l’Erario con cui compensarlo - si ritroverà tra le mani carta straccia, perché i crediti non utilizzati nell’anno non sono riportabili in avanti. La quota disponibile annualmente o si compensa o si azzera, la cessione non è più prevista.È stato aperto un «corridoio umanitario» per le cessioni già perfezionate: entro il 7 febbraio sarà possibile un’ultima cessione e dopo il credito resterà bloccato presso quest’ultimo cessionario. Il quale, c’è da immaginarlo, comprerà solo se assolutamente certo di poter compensare tutto entro fine anno e, per ridurre questo rischio, eserciterà tutto il suo potere contrattuale verso i venditori, a partire dalla richiesta di un maggiore sconto.Secondo la relazione tecnica il fine di questa norma è fermare la «catena di cessioni che - come riscontrato ad esito dell’esperienza operativa maturata dall’Amministrazione finanziaria - mira a dissimulare l’origine effettiva dei crediti, invero inesistenti, con l’intento di giungere alla monetizzazione degli stessi ed alla successiva distrazione della provvista finanziaria ottenuta». Si tratta delle cosiddette «frodi da prima cessione», nelle quali un credito inesistente viene ceduto - preferibilmente a un soggetto non bancario e quindi esentato dalle verifiche antiriciclaggio - e poi a catena verso altri soggetti, finendo col perdere il legame con la cessione originaria fraudolenta. Peraltro, anche con questo divieto, sarà sempre possibile una prima cessione di un credito inesistente. Se il problema fosse stato davvero quello di scongiurare le frodi, sarebbe stato sufficiente obbligare alla cessione, eliminando la facoltà di sconto in fattura, a favore di intermediari finanziari in grado di eseguire le verifiche antiriciclaggio, oppure di obbligare a queste verifiche altri soggetti non bancari affacciatisi sul mercato dei crediti fiscali. Niente di tutto questo, si è preferito distruggere con il napalm un’intera foresta perché in qualche angolo si annidavano piante velenose.Allora perché si è deciso di prosciugare il mercato dei potenziali compratori dei crediti fiscali? Semplicemente perché stava costando troppo allo Stato. Infatti è perfino banale osservare che più aumentano le cessioni a catena di uno stesso credito e più aumenta la probabilità che quel credito trovi capienza nei debiti erariali del compratore e si trasformi quindi effettivamente in un costo per lo Stato. Basta osservare in tabella la progressione dei dati forniti dall’Enea al 31 dicembre 2021. In soli quattro mesi, siamo passati da 5,7 a 16,2 miliardi di investimenti ammessi e da 6,2 a 17,8 miliardi di detrazioni già previste a fine lavori, di cui 12,3 già maturate per lavori conclusi. L’impennata del dato di dicembre è impressionante. L’obiettivo del governo è quello di evitare che quei 12,3 miliardi di detrazioni si trasformino in un onere effettivo per le casse statali e che addirittura aumentino. Bloccando le cessioni multiple, si è limitata la possibilità di compensazione al primo cessionario, il cui numero viene così drasticamente ridotto solo a quelli con debiti erariali capienti. E se spariscono i compratori dei crediti e ne viene fortemente disincentivato l’acquisto, chi mai si azzarderà a eseguire lavori? Chi correrà il rischio di attendere la compensazione nella propria dichiarazione dei redditi, anche qui con il potenziale svantaggio di non trovare capienza in un anno e quindi perdere una parte del bonus?Ma l’origine di tutto questo terremoto che ha devastato il Superbonus 1105 sta in una corrispondenza intercorsa a maggio e giugno scorsi tra Eurostat e Istat, che aveva posto un preciso quesito in materia. Nel fare una differenza tra il credito da «transizione 4.0» e quello da Superbonus, Eurostat faceva notare che il primo prevedeva la compensabilità e riportabilità negli anni futuri per le quote non compensate e quindi veniva considerato pagabile e concorreva immediatamente per l’intero importo al deficit e debito pubblico. Invece il Superbonus, avendo la compensabilità limitata alla disponibilità di debiti capienti nel singolo anno, aveva la caratteristica di credito «non pagabile». In effetti, il credito inutilizzato da Superbonus è irrimediabilmente perso e quindi le regole di contabilità pubblica prevedono che le entrate fiscali siano ridotte per la solo quota detraibile nell’anno.Ma Eurostat aveva fatto notare che la possibilità di cessione illimitata dei crediti da Superbonus lo rendeva molto simile a un credito «pagabile», perché aumentava enormemente la probabilità di compensazione totale, in capo a uno qualsiasi dei soggetti della catena di cessione. Pertanto, già da allora Eurostat aveva messo nel mirino il credito da Superbonus come «caso limite» a cavallo tra credito pagabile e non pagabile, proprio a cause delle cessioni illimitate.Il governo in questi giorni ha solo eseguito gli ordini di Bruxelles, e sono stati come al solito più realisti del re.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».
Antonio Scoppetta (Ansa)
- Nell’inchiesta spunta Alberto Marchesi, dal passato turbolento e gran frequentatore di sale da gioco con toghe e carabinieri
- Ora i loro legali meditano di denunciare la Procura per possibile falso ideologico.
Lo speciale contiene due articoli
92 giorni di cella insieme con Cleo Stefanescu, nipote di uno dei personaggi tornati di moda intorno all’omicidio di Garlasco: Flavius Savu, il rumeno che avrebbe ricattato il vicerettore del santuario della Bozzola accusato di molestie.
Marchesi ha vissuto in bilico tra l’abisso e la resurrezione, tra campi agricoli e casinò, dove, tra un processo e l’altro, si recava con magistrati e carabinieri. Sostiene di essere in cura per ludopatia dal 1987, ma resta un gran frequentatore di case da gioco, a partire da quella di Campione d’Italia, dove l’ex procuratore aggiunto di Pavia Mario Venditti è stato presidente fino a settembre.
Dopo i problemi con la droga si è reinventato agricoltore, ha creato un’azienda ed è diventato presidente del Consorzio forestale di Pavia, un mondo su cui vegliano i carabinieri della Forestale, quelli da cui provenivano alcuni dei militari finiti sotto inchiesta per svariati reati, come il maresciallo Antonio Scoppetta (Marchesi lo conosce da almeno vent’anni).





