2019-04-13
«Sono un sovversivo: do lavoro ai cinquantenni che l’hanno perso»
Alessandro Marzocca ha creato Mr. Kelp, azienda multiservizi votata all'assunzione di piccoli imprenditori strangolati dalla crisi, esodati, ex dipendenti di società fallite: «Hanno voglia di rivalsa ed esperienza. E soprattutto entusiasmo».Di fronte alla parola «eccellenza», Alessandro Marzocca si smarca istintivamente con l'automatismo di chi, per natura ed esperienza, ha l'abitudine di avanzare a piccoli passi, senza vanità da entrepreneur da salotto. «Eccellenza no, perché c'è tanto da fare e ancora commettiamo qualche errore. Ma siamo scrupolosi, qui si studia molto, per qualsiasi cosa facciamo business plan accurati. È stato così fin dagli inizi, quando avevamo solo due dipendenti. Ci definisca coraggiosi, se vuole». E però, anche solo per il vissuto, un po' di eccellenza nel sangue del cinquantaquattrenne imprenditore toscano c'è. Cervello in fuga per la finanza e per amore, nel 2016 Marzocca, responsabile finanziario in una società di Madrid, si è scrollato di dosso un sé ormai logoro mollando in Spagna lavoro e compagna per cominciare una seconda vita in Italia. Con un'idea: offrire un'opportunità professionale agli esclusi del mercato. E due soci: l'amico d'infanzia Simone Orselli, 54 anni, e Sara Profeti, 37. Il risultato si chiama Mr. Kelp, azienda nel settore dei multiservizi votata all'assunzione di candidati di mezza età rimasti senza lavoro: piccoli imprenditori strangolati dalla crisi, esodati, ex dipendenti di società liquidate o fallite. Nata effettuando riparazioni, pulizie e piccole ristrutturazioni per condomini e studi professionali, nel 2018 la ditta fiorentina ha introdotto un servizio di postalizzazione privata. «A marzo, siamo partiti con disinfestazioni e disinfezioni. Avendo costi di una certa importanza in termini di personale, cerchiamo di adottare una filosofia da boutique mantenendo alta la qualità», spiega l'ex bancario.In un momento storico in cui la qualità è subordinata agli utili, la vostra è una scelta coraggiosa.«È il motivo per cui abbiamo deciso di non lavorare con le pubbliche amministrazioni. Non ci interessa fare gare al ribasso rincorrendo appalti col rischio di andare in perdita o di tirare molto la forza lavoro».Perché Mr. Kelp? Cosa significa?«È un'assonanza tra “K", per la casa, e “help". Aiuto casa. Quando devi decidere il nome di un'azienda, o richiami un obbiettivo (cosa abbastanza difficile nel nostro caso, essendo una società di multiservizi in evoluzione), oppure usi un nome di persona. Altrimenti, è meglio giocare con le assonanze».Privilegiare l'assunzione di lavoratori di mezza età è stata un'idea fondante o si è sviluppata col tempo?«Gli obbiettivi erano due: trovare una formula innovativa di business e fare qualcosa di utile per i lavoratori nella fascia di età alla quale io e Simone appartenevamo. Non che ci considerassimo vecchi, ma non siamo nemmeno dei ragazzini».La famosa crisi dei 50.«Scherzi a parte… Volevamo creare un modello che avesse la capacità di dare alle persone un'opportunità di lavoro. In questo ambito, le categorie più deboli sono le donne, i giovani e gli over 50. Ci siamo concentrati su quella a noi più vicina».Se foste stati dei trentenni, quindi, Mr. Kelp non esisterebbe?«A ispirarci è stato il film American beauty, con Kevin Spacey. Mi rivedevo molto nel manager in giacca e cravatta che, un bel giorno, si stufa e va a lavorare in un fast food».Il Lester Burnham di American beauty, però, cercava «il minor cumulo possibile di responsabilità». Lei ha fondato un'azienda.«Per 20 anni avevo lavorato in campo finanziario ed ero arrivato a un punto in cui sentivo di avere a che fare con una vecchia moglie della quale si è un po' stanchi. Cercavo degli stimoli. Una rinascita».Le persone che si rivolgono a voi, invece, cosa cercano?«La stessa cosa, anche se per motivi diversi. Hanno voglia di rivalsa. Di dimostrare a noi, alla propria famiglia e a se stessi che il loro percorso professionale non è concluso. Che sono ancora utili alla società».Qual è la prima cosa che le chiedono ai colloqui?«Serenità. La domanda è: “Ma poi mi assumete?". C'è molta fragilità, dovuta a mesi o anni di inattività e precariato. Da parte nostra, dobbiamo essere bravi a rassicurare, ma anche a far passare il messaggio che qui non si viene a parcheggiarsi per accumulare anni di contributi. Altrimenti andiamo all'aria tutti quanti».È questo il vostro rischio d'impresa?«Quando una persona ha l'urgenza di trovare un impiego, tende a prendere qualsiasi cosa gli capiti. Se però non è il suo lavoro, col tempo la felicità svanisce, l'urgenza si dimentica. Essendo noi una multiservizio, rispetto a tante altre aziende, abbiamo la possibilità di far stare bene le persone mettendole al posto giusto».Quanti dipendenti avete?«Al momento 22, oltre a una decina di collaboratori esterni».Con contratti a tempo indeterminato?«Quasi tutti. I nostri consulenti ci hanno suggerito di cominciare con un tempo determinato di 6-12 mesi per poi passare all'indeterminato. Un metodo che sta funzionando».Anche in termini di fatturato?«Il bilancio non è ancora chiuso, ma posso dirle che nel 2017 il fatturato si aggirava intorno ai 360.000 euro. Nel 2018 chiuderemo a 750.000. Secondo le previsioni, quest'anno dovremmo superare il milione. Se pensa che, a gennaio 2017, avevamo sei dipendenti…».Tutti nella zona di Firenze?«Sì, tranne un ragazzo spagnolo. Nei primi tre mesi abbiamo ricevuto più di 3.000 curriculum. Ci siamo ritrovati con gente che veniva letteralmente a bussarci alla porta; magari era il nostro vicino di casa. Questo fa capire l'importanza di ragionare in termini di collettività».E lo spagnolo?«Un caso di empatia. Era venuto in Italia per amore dopo avere conosciuto una psicologa fiorentina. Io avevo fatto il percorso inverso: mi sono rivisto in lui con qualche anno di meno».Qual è il valore aggiunto che un lavoratore di 50 anni può portare all'azienda?«Esperienza, consapevolezza e coinvolgimento in un'ottica di orizzonte. Per un ventenne l'orizzonte è talmente sterminato che l'azienda viene vista come una tappa; per un cinquantenne può essere un punto di approdo. Ciò significa minor turnover, senso di appartenenza, maggiore produttività».C'è una storia che vuole raccontarmi?«Mi viene in mente Francesca, 49 anni, ex agente di commercio: una donna che ha fatto tanti lavori, separata con un figlio. Quando vedo l'allegria con cui lavora oggi e ripenso a com'era quando arrivò, vedo il senso di Mr. Kelp. Oppure Massimo, 56 anni, che aveva un'azienda nell'edilizia: cominciò da capo facendo le pulizie, ora coordina la sua sezione. Una volta disse una cosa che mi colpì: “Sto tornando a ragionare come un imprenditore". Di recente, ci ha portato un'idea di business».Ascoltandola, si direbbe che lei abbia una visione quasi calvinista dell'esistenza. È credente?«No, ma sono attento alle persone. Penso che il lavoro debba ruotare attorno agli individui, non il contrario. Purtroppo, oggi i grandi Paesi sono controllati dalle multinazionali: bestie inanimate, soggetti giuridici che alla fine prendono il comando muovendo l'economia e la politica. Il sistema finanziario che prima governavamo ora ci domina».Detto da uno che ha lavorato per i fondi d'investimento, fa un certo effetto.«Proprio perché l'ho fatto posso essere critico, non distruttivo. È evidente che il balocco ci è sfuggito di mano. Con effetti deleteri soprattutto nel rapporto tra risorse umane e azienda».Ha scoperto un'Italia che non conosceva?«Si parla molto del problema lavoro, ma è quando guardi in faccia le persone che ti rendi conto di come stanno veramente le cose. La situazione è drammatica. Per un individuo impantanato nelle sabbie mobili del precariato, l'aspetto più estenuante è l'incertezza costante. La spada di Damocle del rinnovo».Come si fa, in termini di autostima, a recuperare lavoratori con un passato di precariato e fallimenti?«Dando loro fiducia e coinvolgendoli. Ricordo quando mi trasferii in Spagna e per sei mesi fui affiancato dal responsabile che poi avrei sostituito. Mi diceva: “Hai due orecchie e una bocca, quindi parla la metà di ciò che ascolti. Osserva e quando hai capito bene come lavoro, mi aspetto che tu porti dei consigli e dei miglioramenti". Un grande insegnamento. Ed è quello che spesso succede qui».C'è qualcosa che ha imparato?«Che godo come un riccio».Scusi?«Anche se guadagno molto meno rispetto a prima, quando mi sveglio al mattino non vedo l'ora di venire al lavoro».Lei è il ritratto della decrescita felice.«(Ride) Con due divorzi alle spalle. E pensi che mi risposerei. Ma la mia attuale compagna fa resistenza, dice che sono inaffidabile».Non può biasimarla…«Vede, quando uno apre le finestre e cambia aria, alla fine cambia un po' tutto. Credo che ognuno di noi abbia delle fasi di stanca, di apatia. Certo, lo status quo è più rassicurante rispetto all'incertezza del nuovo».Per i suoi dipendenti, Mr. Kelp è stato un salvagente. Qual è l'effetto che ciò ha avuto sotto l'aspetto relazionale?«All'inizio, c'è stata quasi incredulità. Poi si è creato un bel rapporto. Per dirla in termini calcistici, abbiamo un ottimo spogliatoio. Se uno è troppo individualista, qui dura poco».Ritenete di avere lanciato una sfida al mercato del lavoro, assumendo persone considerate irrecuperabili?«Siamo dei sovversivi. In Italia, le aziende non investono sulla formazione di personale sopra i 45 anni. Sono dati che arrivano dalle stesse agenzie di formazione. È chiaramente una disfunzione del mercato, nel momento in cui l'aspettativa di vita si allunga».Ma come si coniuga il recupero sociale con la produttività? A 50 anni le energie non sono più quelle di un giovanotto.«L'entusiasmo può fare più dell'energia. E poi, dopo anni di matrimonio, tanti stanno meglio con noi al lavoro che a casa con la moglie (sorride)».
Jose Mourinho (Getty Images)