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2021-07-20
Tutte le bugie sul vaccino dei talebani delle chiusure
Il vaccino come unico mezzo per sconfiggere il virus e «per il bene degli altri». Con questi slogan ci stanno assordando, a reti unificate, incuranti delle contraddizioni che vanificano proclami allarmistici e non convincono scettici e indecisi. L'ultimo esempio arriva dalle tabelle del più recente report dell'Istituto superiore di sanità, che dovrebbero misurare l'impatto del farmaco sulla popolazione, differenziandola in vaccinati con ciclo incompleto, con due dosi e non vaccinati. La Verità ne ha già scritto più volte, far conoscere i benefici dell'essere immunizzati, assieme a dati attendibili della farmacovigilanza sulle reazioni avverse fino a oggi riscontrate, sarebbe l'unica operazione seria che governo e autorità sanitarie possono concordare per realizzare una campagna di sensibilizzazione. Altrimenti è terrorismo sociale, facendo leva sulla salute.
Nell'ultimo documento dell'Iss leggiamo che l'efficacia complessiva della vaccinazione «è superiore al 70% nel prevenire l'infezione in vaccinati con ciclo incompleto» e «superiore all'88% per i vaccinati con ciclo completo». Nel prevenire l'ospedalizzazione arriva «all'80,8% con ciclo incompleto» e «al 94,6% con ciclo completo», scongiura i ricoveri in terapia intensiva rispettivamente all'88,1% e al 97,3%. Per quanto riguarda i decessi, con una sola dose sarebbero evitati nel 79% dei casi, con ciclo completo al 95,8% anche se l'lss spiega che non sono tenute in considerazione le «comorbidità», le patologie di cui i pazienti potevano soffrire e che possono avere aggravato il rischio, in caso di contagio da Covid. Questione non di poco conto, da chiarire.
Vogliamo considerare un po' di numeri? Dal 21 giugno al 4 luglio, i positivi non vaccinati sono stati 8.047, quelli vaccinati con una dose sola 1.760, quelli con ciclo completo 790. Le ospedalizzazioni, sempre nello stesso ordine, furono 772, 89 e 80, mentre i dati relativi ai ricoveri in terapia intensiva passarono da 80 a 10, per diventare solo 4 tra coloro che hanno ricevuto le due dosi. Un vantaggio grande e progressivo con il progredire delle vaccinazioni, allora il farmaco funziona? Purtroppo i calcoli dell'Iss sono gravati da un errore sistematico (bias) dichiarato dallo stesso Istituto, che include tra i «non vaccinati» anche i cittadini che hanno ricevuto la prima dose «o mono dose entro 14 giorni dalla diagnosi stessa, ovvero prima del tempo necessario a sviluppare una risposta immunitaria completa al vaccino», e tra i «vaccinati con ciclo incompleto» anche i vaccinati con la seconda dose eseguita nelle due settimane riferite.
Quindi non sono dati precisi. Non solo, proprio negli otto giorni o poco più successivi all'inoculazione è stato documentato da molte fonti e in molti Paesi un forte aumento dei casi di Covid-19. «L'incidenza giornaliera dei casi è circa raddoppiata dopo la vaccinazione fino circa all'ottavo giorno successivo», riportava a marzo il British medical journal (Bmj), una delle riviste di medicina generale più prestigiose, così pure lo segnalava nello stesso mese uno studio di coorte su 331.000 sanitari danesi. Sempre su Bmj, la patologa Clare Craig adombra anche una spiegazione legata alla transitoria caduta post vaccinale delle difese immunitarie di linfociti e granulociti neutrofili, riferite negli studi randomizzati sia con vaccini basati su mRna, sia con vaccino a vettore virale.
«Sarà opportuno prendere in considerazione, per verificarle, le analisi dell'Iss quando avranno scorporato dai non vaccinati i soggetti che hanno ricevuto la prima dose nelle due settimane riferite allo studio, che sarebbero circa il 13,5% del totale», osserva Marco Alessandria, Phd ovvero dottore di ricerca in medicina e terapia sperimentale, mentre «coloro che ne hanno già fatte due entro i 14 giorni sarebbero circa il 31% del totale».
Se consideriamo che gli over 60 con almeno una dose sono l'87,8% e dal 28 giugno all'11 luglio solo l'11 per cento dei nuovi contagi ha riguardato persone in questa fascia di età, non si può negare che il vaccino ha evitato molti ricoveri e decessi. Anche le vaccinazioni di cittadini tra i 12 e i 39 anni, con una letalità da Covid praticamente inesistente, ci dicono che l'8,1% ha ricevuto una dose, il 3,4% ha completato il ciclo. Il vaccino starebbe proteggendo chi si è fatto la punturina, ma non blocca la circolazione del virus. Da mesi i virologi lo stanno dicendo, loro malgrado, ma assieme ai nostri politici vorrebbero vaccinare tutti, sostenendo che lo si deve fare per dovere civico. Invece se c'è un interesse, è solo per chi vuole sentirsi sicuro con un siero anti Covid. Altro che No vax che costituirebbero «un grosso problema per la salute pubblica e un ostacolo serio sul piano della stabilizzazione della situazione sanitaria», come dichiarava ieri La Stampa.
Il virus continua a circolare comunque, come è accaduto sull'ammiraglia della Royal Navy, la Hms Queen Elizabeth, nave da guerra da 3 miliardi di sterline partita dalla base navale di Portsmouth a maggio. A bordo ci sono 3.700 persone, tutte vaccinate con entrambe le dosi, è diretta in Giappone dove arriverà al termine di 28 settimane di navigazione eppure tra l'equipaggio sono stati registrati un centinaio di positivi al coronavirus. Un focolaio circoscritto, assicurano dal ministero della Difesa britannico, ma ciò non toglie che il virus ha potuto circolare pur tra marinai completamente immunizzati e che non hanno avuto occasioni di contagiarsi in losche taverne perché la portaerei non fa crociera toccando i vari porti.
Vogliono la puntura pure per i bimbi. Ma i benefici per loro sono discutibili
Bambini e ragazzi rappresentano il prossimo bersaglio della campagna vaccinale. Non si perde in giri di parole Guido Rasi, oggi consigliere del commissario per l'emergenza generale Francesco Paolo Figliuolo e già direttore dell'Agenzia europea per il farmaco, intervenuto ieri con un'intervista rilasciata per La Stampa. Prima quando definisce, poco elegantemente, «possibile serbatoio del virus» le fasce d'età più giovani. Poi, quando interrogato dal giornalista sullo scetticismo dei genitori in merito alla possibilità di somministrare ai più piccoli il siero anti-Covid taglia corto. «Capisco che la convenienza non sia immediata, ma ci sono rari casi pediatrici gravi», spiega Rasi, senza contare che «la variante Delta tra i dieci e i trent'anni sta creando qualche problemino». Infine, «la questione della protezione di massa: non possiamo permetterci che il virus continui a circolare tra i ragazzi». Tra le righe si legge la preoccupazione per il raggiungimento dell'immunità di gregge, minacciata dall'esitazione vaccinale degli over 60. Non si può negare che, in quest'ottica, i 3,4 milioni di italiani di età compresa tra i 12 e i 17 anni possano far comodo a Rasi, non fosse altro perché - tra la minaccia del ritorno alla Dad e il pericolo di ripristinare le restrizioni di carattere sociale - rappresentano una categoria assai più influenzabile. Un piccolo esercito a cui potrebbero aggiungersi gli oltre tre milioni di bambini tra i 6 e gli 11 anni, fascia d'età per la quale «probabilmente», sempre secondo Guido Rasi, il vaccino verrà autorizzato nel prossimo futuro.
Noi della Verità abbiamo provato, numeri alla mano, a stilare un'analisi tra costi e benefici della vaccinazione tra i più giovani. Senza la pretesa di sostituirci alle raccomandazioni mediche e ben consci che la storia clinica di ciascuna persona fa storia a sé, non possiamo fare a meno di rilevare che la questione è leggermente più complessa di come la dipinge l'ex direttore dell'Ema. Secondo l'ultimo bollettino sull'epidemia di Sars-CoV-2 stilato dall'Iss e aggiornato al 14 luglio scorso, i casi riscontrati nella fascia d'età 10-19 anni (non perfettamente sovrapponibile a quella del vaccino, ma ci dobbiamo accontentare) sono stati 413.151, con un'incidenza pari a 7.240 casi ogni 100.000 abitanti. Incrociando il numero di casi con la condizione clinica dei contagiati, si ricava che più di nove soggetti su dieci sono asintomatici, paucisintomatici o con sintomi lievi. Per quanto riguarda i casi più gravi, i severi rappresentano appena lo 0,7% (incidenza 51 ogni 100.000 individui) mentre i critici il 2,3% del totale (incidenza 166 ogni 100.000). Stando al report pubblicato dall'Agenzia italiana del farmaco sulle reazioni avverse ai vaccini contro il coronavirus, nella fascia 12-19 anni l'incidenza delle reazioni avverse è stata pari a 126 ogni 100.000 dosi somministrate al 26 giugno. Numeri da prendere con le pinze, avvisa l'Aifa, dal momento che questi tassi «sono calcolati su una popolazione di vaccinati poco rappresentata», ma sufficienti a porsi quantomeno un interrogativo sul rapporto tra la sicurezza del siero e il giovamento che questo potrebbe arrecare al destinatario. Perché, occorre ricordarlo, la vaccinazione costituisce prima di tutto una protezione per chi la riceve. Riflessioni corroborate, a maggior ragione, dall'esiguo numero di decessi: 16 nella fascia 10-19 anni (0,2 ogni 100.000 persone) e 12 in quella 0-9 anni (0,25 ogni 100.000 persone), riscontrati nella maggior parte dei casi in bambini e ragazzi con gravi patologie preesistenti.
Non è un caso, perciò, se quando si tratta di vaccinare i più piccoli anche l'Organizzazione mondiale della sanità ci vada con i piedi di piombo. «Bambini e adolescenti tendono ad avere sintomi più lievi rispetto agli adulti, perciò a meno che non facciano parte di un gruppo a maggior rischio di sviluppare forme gravi di Covid-19», si legge nelle raccomandazioni ufficiali divulgate al pubblico, «è meno urgente vaccinarli rispetto alle persone più anziane, i malati cronici e gli operatori sanitari». Tradotto, non c'è nessuna fretta di immunizzare i giovani. Non è tutto perché, sottolinea l'Oms, «sono necessarie maggiori prove sull'utilizzo dei vaccini nei bambini al fine di formulare a tal proposito indicazioni di carattere generale». Lo scorso giugno, la Commissione permanente per i vaccini tedesca (Stiko) si è espressa in favore della vaccinazione nella fascia 12-17 anni per i soli soggetti con patologie pregresse. E proprio ieri il ministro della Salute britannico Sajid David, anche sulla scorta delle miocarditi verificatesi a danno dei più giovani, ha annunciato di aver accettato un'analoga raccomandazione formulata dalla Commissione congiunta per le vaccinazioni. «Basandoci sul fatto che i bambini sani che contraggono il Covid-19 sviluppano sintomi lievi», ha dichiarato il vicepresidente della Commissione, il medico e docente dell'Università di Oxford Anthony Harnden, «abbiamo stabiliti che i benefici della vaccinazione in questa fascia d'età sono realmente contenuti».
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I farmaci salvano e proteggono dai sintomi gravi, ma non bloccano la circolazione del virus. Per convincere i dubbiosi però si ripete il contrario. E l'Iss conta come non immunizzato anche chi ha già avuto una dose. Guido Rasi, consigliere di Figliuolo, invita i genitori a far vaccinare i figli e auspica l'inoculazione anche per i minori di 12 anni. I vantaggi per i giovani si scontrano però con i casi avversi. E infatti Oms, Berlino e Londra frenano.Lo speciale contiene due articoli!function(e,i,n,s){var t="InfogramEmbeds",d=e.getElementsByTagName("script")[0];if(window[t]&&window[t].initialized)window[t].process&&window[t].process();else if(!e.getElementById(n)){var o=e.createElement("script");o.async=1,o.id=n,o.src="https://e.infogram.com/js/dist/embed-loader-min.js",d.parentNode.insertBefore(o,d)}}(document,0,"infogram-async");Il vaccino come unico mezzo per sconfiggere il virus e «per il bene degli altri». Con questi slogan ci stanno assordando, a reti unificate, incuranti delle contraddizioni che vanificano proclami allarmistici e non convincono scettici e indecisi. L'ultimo esempio arriva dalle tabelle del più recente report dell'Istituto superiore di sanità, che dovrebbero misurare l'impatto del farmaco sulla popolazione, differenziandola in vaccinati con ciclo incompleto, con due dosi e non vaccinati. La Verità ne ha già scritto più volte, far conoscere i benefici dell'essere immunizzati, assieme a dati attendibili della farmacovigilanza sulle reazioni avverse fino a oggi riscontrate, sarebbe l'unica operazione seria che governo e autorità sanitarie possono concordare per realizzare una campagna di sensibilizzazione. Altrimenti è terrorismo sociale, facendo leva sulla salute. Nell'ultimo documento dell'Iss leggiamo che l'efficacia complessiva della vaccinazione «è superiore al 70% nel prevenire l'infezione in vaccinati con ciclo incompleto» e «superiore all'88% per i vaccinati con ciclo completo». Nel prevenire l'ospedalizzazione arriva «all'80,8% con ciclo incompleto» e «al 94,6% con ciclo completo», scongiura i ricoveri in terapia intensiva rispettivamente all'88,1% e al 97,3%. Per quanto riguarda i decessi, con una sola dose sarebbero evitati nel 79% dei casi, con ciclo completo al 95,8% anche se l'lss spiega che non sono tenute in considerazione le «comorbidità», le patologie di cui i pazienti potevano soffrire e che possono avere aggravato il rischio, in caso di contagio da Covid. Questione non di poco conto, da chiarire. Vogliamo considerare un po' di numeri? Dal 21 giugno al 4 luglio, i positivi non vaccinati sono stati 8.047, quelli vaccinati con una dose sola 1.760, quelli con ciclo completo 790. Le ospedalizzazioni, sempre nello stesso ordine, furono 772, 89 e 80, mentre i dati relativi ai ricoveri in terapia intensiva passarono da 80 a 10, per diventare solo 4 tra coloro che hanno ricevuto le due dosi. Un vantaggio grande e progressivo con il progredire delle vaccinazioni, allora il farmaco funziona? Purtroppo i calcoli dell'Iss sono gravati da un errore sistematico (bias) dichiarato dallo stesso Istituto, che include tra i «non vaccinati» anche i cittadini che hanno ricevuto la prima dose «o mono dose entro 14 giorni dalla diagnosi stessa, ovvero prima del tempo necessario a sviluppare una risposta immunitaria completa al vaccino», e tra i «vaccinati con ciclo incompleto» anche i vaccinati con la seconda dose eseguita nelle due settimane riferite. Quindi non sono dati precisi. Non solo, proprio negli otto giorni o poco più successivi all'inoculazione è stato documentato da molte fonti e in molti Paesi un forte aumento dei casi di Covid-19. «L'incidenza giornaliera dei casi è circa raddoppiata dopo la vaccinazione fino circa all'ottavo giorno successivo», riportava a marzo il British medical journal (Bmj), una delle riviste di medicina generale più prestigiose, così pure lo segnalava nello stesso mese uno studio di coorte su 331.000 sanitari danesi. Sempre su Bmj, la patologa Clare Craig adombra anche una spiegazione legata alla transitoria caduta post vaccinale delle difese immunitarie di linfociti e granulociti neutrofili, riferite negli studi randomizzati sia con vaccini basati su mRna, sia con vaccino a vettore virale. «Sarà opportuno prendere in considerazione, per verificarle, le analisi dell'Iss quando avranno scorporato dai non vaccinati i soggetti che hanno ricevuto la prima dose nelle due settimane riferite allo studio, che sarebbero circa il 13,5% del totale», osserva Marco Alessandria, Phd ovvero dottore di ricerca in medicina e terapia sperimentale, mentre «coloro che ne hanno già fatte due entro i 14 giorni sarebbero circa il 31% del totale».Se consideriamo che gli over 60 con almeno una dose sono l'87,8% e dal 28 giugno all'11 luglio solo l'11 per cento dei nuovi contagi ha riguardato persone in questa fascia di età, non si può negare che il vaccino ha evitato molti ricoveri e decessi. Anche le vaccinazioni di cittadini tra i 12 e i 39 anni, con una letalità da Covid praticamente inesistente, ci dicono che l'8,1% ha ricevuto una dose, il 3,4% ha completato il ciclo. Il vaccino starebbe proteggendo chi si è fatto la punturina, ma non blocca la circolazione del virus. Da mesi i virologi lo stanno dicendo, loro malgrado, ma assieme ai nostri politici vorrebbero vaccinare tutti, sostenendo che lo si deve fare per dovere civico. Invece se c'è un interesse, è solo per chi vuole sentirsi sicuro con un siero anti Covid. Altro che No vax che costituirebbero «un grosso problema per la salute pubblica e un ostacolo serio sul piano della stabilizzazione della situazione sanitaria», come dichiarava ieri La Stampa. Il virus continua a circolare comunque, come è accaduto sull'ammiraglia della Royal Navy, la Hms Queen Elizabeth, nave da guerra da 3 miliardi di sterline partita dalla base navale di Portsmouth a maggio. A bordo ci sono 3.700 persone, tutte vaccinate con entrambe le dosi, è diretta in Giappone dove arriverà al termine di 28 settimane di navigazione eppure tra l'equipaggio sono stati registrati un centinaio di positivi al coronavirus. Un focolaio circoscritto, assicurano dal ministero della Difesa britannico, ma ciò non toglie che il virus ha potuto circolare pur tra marinai completamente immunizzati e che non hanno avuto occasioni di contagiarsi in losche taverne perché la portaerei non fa crociera toccando i vari porti. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/sono-i-dati-a-debellare-la-retorica-la-vaccinazione-non-ferma-i-contagi-2653852352.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="vogliono-la-puntura-pure-per-i-bimbi-ma-i-benefici-per-loro-sono-discutibili" data-post-id="2653852352" data-published-at="1626730227" data-use-pagination="False"> Vogliono la puntura pure per i bimbi. Ma i benefici per loro sono discutibili Bambini e ragazzi rappresentano il prossimo bersaglio della campagna vaccinale. Non si perde in giri di parole Guido Rasi, oggi consigliere del commissario per l'emergenza generale Francesco Paolo Figliuolo e già direttore dell'Agenzia europea per il farmaco, intervenuto ieri con un'intervista rilasciata per La Stampa. Prima quando definisce, poco elegantemente, «possibile serbatoio del virus» le fasce d'età più giovani. Poi, quando interrogato dal giornalista sullo scetticismo dei genitori in merito alla possibilità di somministrare ai più piccoli il siero anti-Covid taglia corto. «Capisco che la convenienza non sia immediata, ma ci sono rari casi pediatrici gravi», spiega Rasi, senza contare che «la variante Delta tra i dieci e i trent'anni sta creando qualche problemino». Infine, «la questione della protezione di massa: non possiamo permetterci che il virus continui a circolare tra i ragazzi». Tra le righe si legge la preoccupazione per il raggiungimento dell'immunità di gregge, minacciata dall'esitazione vaccinale degli over 60. Non si può negare che, in quest'ottica, i 3,4 milioni di italiani di età compresa tra i 12 e i 17 anni possano far comodo a Rasi, non fosse altro perché - tra la minaccia del ritorno alla Dad e il pericolo di ripristinare le restrizioni di carattere sociale - rappresentano una categoria assai più influenzabile. Un piccolo esercito a cui potrebbero aggiungersi gli oltre tre milioni di bambini tra i 6 e gli 11 anni, fascia d'età per la quale «probabilmente», sempre secondo Guido Rasi, il vaccino verrà autorizzato nel prossimo futuro. Noi della Verità abbiamo provato, numeri alla mano, a stilare un'analisi tra costi e benefici della vaccinazione tra i più giovani. Senza la pretesa di sostituirci alle raccomandazioni mediche e ben consci che la storia clinica di ciascuna persona fa storia a sé, non possiamo fare a meno di rilevare che la questione è leggermente più complessa di come la dipinge l'ex direttore dell'Ema. Secondo l'ultimo bollettino sull'epidemia di Sars-CoV-2 stilato dall'Iss e aggiornato al 14 luglio scorso, i casi riscontrati nella fascia d'età 10-19 anni (non perfettamente sovrapponibile a quella del vaccino, ma ci dobbiamo accontentare) sono stati 413.151, con un'incidenza pari a 7.240 casi ogni 100.000 abitanti. Incrociando il numero di casi con la condizione clinica dei contagiati, si ricava che più di nove soggetti su dieci sono asintomatici, paucisintomatici o con sintomi lievi. Per quanto riguarda i casi più gravi, i severi rappresentano appena lo 0,7% (incidenza 51 ogni 100.000 individui) mentre i critici il 2,3% del totale (incidenza 166 ogni 100.000). Stando al report pubblicato dall'Agenzia italiana del farmaco sulle reazioni avverse ai vaccini contro il coronavirus, nella fascia 12-19 anni l'incidenza delle reazioni avverse è stata pari a 126 ogni 100.000 dosi somministrate al 26 giugno. Numeri da prendere con le pinze, avvisa l'Aifa, dal momento che questi tassi «sono calcolati su una popolazione di vaccinati poco rappresentata», ma sufficienti a porsi quantomeno un interrogativo sul rapporto tra la sicurezza del siero e il giovamento che questo potrebbe arrecare al destinatario. Perché, occorre ricordarlo, la vaccinazione costituisce prima di tutto una protezione per chi la riceve. Riflessioni corroborate, a maggior ragione, dall'esiguo numero di decessi: 16 nella fascia 10-19 anni (0,2 ogni 100.000 persone) e 12 in quella 0-9 anni (0,25 ogni 100.000 persone), riscontrati nella maggior parte dei casi in bambini e ragazzi con gravi patologie preesistenti. Non è un caso, perciò, se quando si tratta di vaccinare i più piccoli anche l'Organizzazione mondiale della sanità ci vada con i piedi di piombo. «Bambini e adolescenti tendono ad avere sintomi più lievi rispetto agli adulti, perciò a meno che non facciano parte di un gruppo a maggior rischio di sviluppare forme gravi di Covid-19», si legge nelle raccomandazioni ufficiali divulgate al pubblico, «è meno urgente vaccinarli rispetto alle persone più anziane, i malati cronici e gli operatori sanitari». Tradotto, non c'è nessuna fretta di immunizzare i giovani. Non è tutto perché, sottolinea l'Oms, «sono necessarie maggiori prove sull'utilizzo dei vaccini nei bambini al fine di formulare a tal proposito indicazioni di carattere generale». Lo scorso giugno, la Commissione permanente per i vaccini tedesca (Stiko) si è espressa in favore della vaccinazione nella fascia 12-17 anni per i soli soggetti con patologie pregresse. E proprio ieri il ministro della Salute britannico Sajid David, anche sulla scorta delle miocarditi verificatesi a danno dei più giovani, ha annunciato di aver accettato un'analoga raccomandazione formulata dalla Commissione congiunta per le vaccinazioni. «Basandoci sul fatto che i bambini sani che contraggono il Covid-19 sviluppano sintomi lievi», ha dichiarato il vicepresidente della Commissione, il medico e docente dell'Università di Oxford Anthony Harnden, «abbiamo stabiliti che i benefici della vaccinazione in questa fascia d'età sono realmente contenuti».
Il governatore della banca centrale indiana Sanjay Malhotra (Getty Images)
La decisione arriva dopo i dati ufficiali diffusi la scorsa settimana, che certificano un’espansione dell’8,2% nel trimestre chiuso a settembre. Numeri che mostrano come l’economia indiana abbia finora assorbito senza scosse l’impatto dei dazi al 50% imposti dagli Stati Uniti sulle esportazioni di Nuova Delhi.
Un sostegno decisivo è arrivato dal crollo dell’inflazione: dal sopra il 6% registrato nel 2024 a livelli prossimi allo zero. Un calo che, secondo gli analisti, offre ulteriore margine per nuovi tagli nei prossimi mesi. «Nonostante un contesto esterno sfavorevole, l’economia indiana ha mostrato una resilienza notevole», ha dichiarato Malhotra, pur avvertendo che la crescita potrebbe «attenuarsi leggermente». Ma la combinazione di espansione superiore alle attese e inflazione «benigna» nel primo semestre fiscale rappresenta, ha aggiunto, «un raro periodo Goldilocks».
Sulla scia dell’ottimismo, l’RBI ha rivisto al rialzo la stima di crescita per l’anno fiscale che si chiuderà a marzo: +7,3%, mezzo punto in più rispetto alle previsioni precedenti.
La reazione dei mercati è stata immediata: la Borsa di Mumbai ha chiuso in rialzo (Sensex +0,2%, Nifty 50 +0,3%), mentre la rupia si è indebolita dello 0,4% superando quota 90 sul dollaro, molto vicino ai minimi storici toccati due giorni prima. La valuta indiana è la peggiore d’Asia dall’inizio dell’anno. Malhotra ha ribadito che la banca centrale non persegue un tasso di cambio specifico: «Il nostro obiettivo è solo ridurre volatilità anomala o eccessiva».
Il Paese, fortemente trainato dalla domanda interna, risente meno di altri dell’offensiva tariffaria voluta da Donald Trump, che ad agosto ha raddoppiato i dazi sui prodotti indiani come ritorsione per gli acquisti di petrolio russo scontato. Una rupia debole, inoltre, aiuta alcuni esportatori a restare competitivi. Tuttavia, gli analisti prevedono che gli effetti più pesanti della guerra commerciale si vedranno nell’attuale trimestre e invitano a prudenza anche sulla recente lettura del Pil.
Tra gli obiettivi politici di lungo periodo rimane quello fissato dal premier Narendra Modi: diventare un Paese «sviluppato» entro il 2047, centenario dell’indipendenza. Per riuscirci, servirebbe una crescita media dell’8% l’anno. Il governo ha avviato negli ultimi mesi una serie di riforme strutturali - dalla semplificazione dell’imposta su beni e servizi alla revisione del codice del lavoro - per proteggere l’economia dagli shock esterni.
Malhotra aveva assunto la guida dell’RBI in una fase di rallentamento economico e inflazione oltre il tetto del 6%. Da allora ha accelerato sul fronte monetario: tre tagli consecutivi nei primi mesi del 2025 per un punto percentuale complessivo. L’inflazione retail di ottobre si è fermata allo 0,25% annuo.
Il governatore ha annunciato anche un intervento di liquidità: operazioni di mercato aperto per 1.000 miliardi di rupie e swap dollaro-rupia per 5 miliardi di dollari, per sostenere il sistema finanziario.
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Palazzo Berlaymont a Bruxelles, sede della Commissione europea (Getty Images)
Una di queste si chiama S-info, che sta per Sustainable information. Come si legge sul sito ufficiale, «si tratta di un progetto finanziato dall’Ue, incentrato sui media e ispirato dall’esigenza di rafforzare la democrazia. Ha una durata di due anni, da dicembre 2023 a novembre 2025. Coinvolge organizzazioni di quattro Paesi dell’Unione europea: Italia, Belgio, Romania e Malta. Il progetto esplorerà i modi in cui gli attivisti della società civile e i giornalisti indipendenti possono collaborare per svolgere giornalismo investigativo, combattere la disinformazione, combattere la corruzione, promuovere i diritti sociali e difendere l’ambiente. L’obiettivo finale è quello di creare un modello operativo di attivismo mediatico sostenibile che possa essere trasferito ad altri Paesi e contesti».
La tiritera è la solita: lotta alla disinformazione, promozione dei diritti... S-info è finanziato da Eacea, ovvero l’agenzia esecutiva della Commissione europea che gestisce il programma Europa creativa, il quale a sua volta finanzia il progetto giornalistico in questione con la bellezza di 492.989 euro. E che cosa fa con questi soldi il progetto europeo? Beh, tra le altre cose finanzia inchieste che sono presentate come giornalismo investigativo. Una di queste è stata realizzata da Alice Dominese, la cui biografia online descrive come «laureata in Scienze politiche e relazioni internazionali tra Italia e Francia, con un master in giornalismo. Collabora con L’Espresso e Domani, e ha scritto per La Stampa, Il Manifesto e The Post Internazionale, tra gli altri. Si occupa principalmente di diritti, migrazione e tematiche di genere».
La sua indagine, facilmente rintracciabile online, è intitolata Sottotraccia ed è dedicata ai temibili movimenti pro vita. «Questo articolo», si legge nella presentazione, «è il frutto di una delle due inchieste finanziate in Italia dal grant del progetto europeo S-info, cofinanziato dalla Commissione europea. La pubblicazione originale si trova sul sito ufficiale del progetto. In questa inchiesta, interviste e analisi di documenti ottenuti tramite una richiesta di accesso agli atti esplorano il rapporto tra movimento antiabortista, sanità e servizi pubblici in Piemonte. Le informazioni raccolte fanno luce sull’uso che le associazioni pro vita fanno dei finanziamenti regionali e sul ruolo della Stanza dell’ascolto, il presidio che ha permesso a queste associazioni di inserirsi nel primo ospedale per numero di interruzioni volontarie di gravidanza in Italia».
Niente in contrario ai finanziamenti pubblici, per carità. Ma guarda caso questi soldi finiscono a giornalisti decisamente sinistrorsi che, pronti via, se la prendono con i movimenti per la vita. Non stupisce, dopo tutto i partner italiani del progetto S-info sono Globalproject.info, Melting pot Europa e Sherwood.it, tutti punti di riferimento mediatici della sinistra antagonista.
Proprio Radio Sherwood, lo scorso giugno, ha organizzato a Padova il S-info day, durante il quale è stato presentato il manifesto per il giornalismo sostenibile. Evento clou della giornata un dibattito intitolato «Sovvertire le narrazioni di genere». Partecipanti: «L’attivista transfemminista Elena Cecchettin e la giornalista Giulia Siviero, moderato da Anna Irma Battino di Global project». La discussione si è concentrata «su come le narrazioni di genere, troppo spesso costruite attorno a stereotipi o plasmate da dinamiche di potere, possano essere decostruite e trasformate attraverso un giornalismo più consapevole, posizionato e inclusivo». Tutto meraviglioso: la Commissione europea combatte la disinformazione finanziando incontri sulla decostruzione del genere e inchieste contro i pro vita. Alla faccia della libera informazione.
«Da Bruxelles», ha dichiarato Maurizio Marrone, assessore piemontese alle Politiche sociali, «arriva una palese ingerenza estera per screditare azioni deliberate dal governo regionale eletto dai piemontesi, peraltro con allarmismi propagandistici smentiti dalla realtà. Il nostro fondo Vita nascente finanzia sì anzitutto i progetti dei centri di aiuto alla vita a sostegno delle madri in difficoltà, ma eroga contributi anche ai servizi di assistenza pubblica per le medesime finalità, partendo dall’accompagnamento nei parti in anonimato. Ci troviamo di fronte a un grave precedente, irrispettoso delle autonomie locali italiane e della loro sovranità».
Carlo Fidanza, capodelegazione europeo di Fdi, annuncia invece che presenterà «un’interrogazione parlamentare alla Commissione europea per far luce sui finanziamenti dell’agenzia Eacea a questi attacchi mediatici creati a tavolino per alimentare odio ideologico contro il volontariato pro vita. L’Unione europea dovrebbe sostenere le politiche delle Regioni italiane, non alimentare con soldi pubblici la macchina del fango contro le loro iniziative non omologate al pensiero unico woke».
Insomma, a Bruxelles piace il giornalismo libero. A patto che sia pagato dai contribuenti per prendersela con i nemici ideologici.
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Lo stand della casa editrice Passaggio al bosco a «Più libri più liberi» (Ansa)
Basta guardare la folla che si presenta e, con un pizzico di curiosità, guarda i titoli di questa casa editrice. Titoli che si sono esauriti in pochissimo tempo. La rivoluzione conservatrice, un volume scritto da Armin Mohler, che racconta la storia intellettuale della Germania tra la Prima e la Seconda guerra mondiale. «Abbiamo dovuto chiedere di portarci nuovi libri», spiegano dalla casa editrice, «perché ormai ne avevamo davvero pochi e alcuni titoli erano completamente esauriti». Oppure Psicopatologia del radical chic, che immaginiamo sia stato parecchio utile in questi giorni di polemica per comprendere come ragiona chi, in nome della libertà, vorrebbe la censura per gli altri. Oppure Coraggio. Manuale di guerriglia culturale. Una virtù, quella del coraggio appunto, che parrebbe mancare a chi, come ad esempio Alessandro Barbero, nel 2019 diceva: «Penso che l’antifascismo non passi necessariamente attraverso il proibire a una casa editrice di destra di avere uno stand». E che oggi invece sottoscrive appelli per boicottare una casa editrice di destra insieme a Zerocalcare, che ha deciso di non partecipare alla kermesse ma di continuare comunque a vendere i suoi libri (come si dice in romanesco pecunia non olet?). Corrado Augias, invece, è riuscito a fare di meglio. Ha scritto una lettera, a Repubblica ovviamente, in cui ha annunciato che non si sarebbe presentato in fiera, dove avrebbe dovuto parlare di Piero Gobetti. Una lettera piena di pathos, quasi che si trovasse al confino, in cui spiegava: «Io sono favorevole alla tolleranza, anzi la pratico - anche con gli intolleranti per scelta, per età, per temperamento. C’è però una distinzione. Un conto sono gli intolleranti un altro, ben diverso, chi si fa partecipe cioè complice delle idee di un regime criminale come il nazismo». Perché si inizia sempre così: sono tollerante, ma fino a un certo punto. Anzi: fino al «però». Fino a dove ci sono quelli che Augias definisce nazisti, anche se in realtà non lo sono.
Dallo stand di Passaggio al bosco, come dicevamo, stanno passando tutti. Alcuni chiedono di parlare con l’editore, Marco Scatarzi, dicendo di condividere poco o nulla di ciò che stampa, ma esprimendo comunque solidarietà nei suoi confronti. Ci sono anche scolaresche che si fermano e pongono domande su quei libri «proibiti». Anche Anna Paola Concia, che certamente non può essere considerata una pericolosa reazionaria, è andata a visitare lo stand esprimendo vicinanza a Passaggio al bosco. Il mondo al contrario, appunto. O solamente un mondo in cui c’è un po’ di buonsenso. Quello che ti fa dire che chiunque può pubblicare qualsiasi testo purché non sia contrario alla legge.
C’è chi, però, continua a non accettare la presenza della casa editrice. Nel pomeriggio di ieri, per esempio, un gruppo di femministe ha prima urlato «siamo tutte antifasciste» e poi ha lanciato un volantino in cui si dà la colpa al capitalismo, che insieme al nazismo è ovunque, se Passaggio al bosco è lì. Oggi, inoltre, una ventina di case editrici ha deciso di coprire, per una mezz’ora di protesta, i propri libri. «Questo è ciò che è accaduto alla libertà di stampa e di pensiero quando i fascisti e i nazisti hanno messo in pratica la loro libertà di espressione. Vogliamo una Più libri più liberi antifascista».
Per una strana eterogenesi dei fini, gli stand delle case editrici più agguerrite contro Passaggio al bosco, tra cui per esempio Red Star, sono vuoti. Pochi visitatori spaesati si aggirano tra i libri su Lenin e quelli su Stalin. Un fantasma si aggira per gli stand: ed è quello degli antifa.
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