Il «Villaggio sanatoriale» di Sondalo. Un viaggio tra medicina e architettura

Ancora attivo oggi come ospedale «Eugenio Morelli», è stato il sanatorio più grande d'Europa. Realizzato tra il 1932 e il 1946, fu la sintesi dell' architettura modernista unita a soluzioni costruttive e tecniche all'avanguardia per ospitare migliaia di pazienti tra boschi, terrazze e giardini. La storia e le immagini di un ospedale «abbracciato» alla montagna.
Alla fine degli anni Venti, la tubercolosi era ancora la più grave piaga per la popolazione italiana. A differenza della malaria, circoscritta alle zone paludose, la tbc uccideva in campagna come in città. Il governo fascista, al potere da pochi anni, fece della lotta alla malattia polmonare uno degli obiettivi dell’azione dello Stato in campo sanitario, supportata dal progresso delle scienze mediche che aveva caratterizzato i primi decenni del secolo XX. Già alla fine dell’Ottocento, in mancanza di terapie antibiotiche, l’isolamento dei pazienti nei sanatori aveva il duplice scopo di garantire ai pazienti condizioni igienico-sanitarie molto più salubri e di fungere da cordone sanitario con l’isolamento dalla popolazione sana. Normalmente concepiti come edifici unici circondati dal verde, i sanatori saranno superati come concezione dal progetto dell’ospedale di Sondalo sotto diversi aspetti in campo clinico e architettonico. La costruzione a padiglioni, che caratterizza quello che oggi è l’ospedale «Morelli» della cittadina valtellinese, fu la traduzione materiale della crescente specializzazione dell’approccio clinico alle diverse patologie. Contemporaneo all’ospedale Niguarda di Milano, anch’esso costruito con i medesimi criteri, l’ospedale di Sondalo doveva rappresentare la frontiera tra le strutture sanitarie dedicate alla cura delle malattie dell’apparato respiratorio. Il progetto era assolutamente ambizioso: il sanatorio doveva essere non solo una struttura ospedaliera, ma un vero e proprio «villaggio sanitario» fuori dall’abitato e abbarbicato sui fianchi della montagna, con una capienza di migliaia di posti letto. La sfida fu raccolta e gestita dall’INFPS (Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Sociale) ed i lavori per la realizzazione del grande ospedale si protrassero dal 1932 al 1946 a causa del rallentamento seguito allo scoppio del secondo conflitto mondiale.
La storia dell’attuale ospedale «Eugenio Morelli» può essere letta come una sintesi della collaborazione tra medicina, tecnica, urbanistica e architettura. Il progetto prevedeva un totale di 10 edifici principali, di cui 8 riservati al ricovero dei pazienti e due alla logistica e ai servizi amministrativi. Ciascuno diverso per forma e struttura, ogni padiglione fu un esercizio di stile per la nascente architettura modernista, dalle cui correnti si svilupperanno gli architetti e gli stili caratterizzanti il secondo dopoguerra. La cubatura complessiva dei padiglioni superò i 600.000 mc, per realizzare i quali furono necessari complessi lavori di sbancamento della montagna per rendere accessibile il villaggio sanitario e un attento studio della nuova rete viaria tra gli edifici, dato lo sviluppo verticale dell’area. Tra gli aspetti più rilevanti e innovativi della rete viaria e di accesso sono l’uso di materiali di pregio di estrazione locale e i grandi colonnati ad arco (che ricordavano quelli delle strade e degli acquedotti della Roma classica) per il sostegno alle strade interne ricavate nel fianco della montagna, collegate tra loro e intervallate da rampe e piazze decorate da fontane e pergolati e segnate dalla presenza di diverse specie arboree lungo il loro tracciato, soprattutto tigli, aceri ed olmi. Fondamentale per le terapie dell’epoca, l’ospedale fu dotato di un grande parco di 400mila mq. diviso in un’area settentrionale a bosco di conifere e quella meridionale con 32 giardini terrazzati realizzati dallo scavo della montagna. I padiglioni, diversi l’uno dall’altro nelle linee e nei criteri costruttivi, rappresentano lo stile unico dell’ospedale di Sondalo. Tra questi, particolare attenzione merita il padiglione chirurgico a forma di «nave», una scelta stilistica tipica del modernismo architettonico anni ’30. La collocazione distopica rispetto all’ambiente montano e i colori pastello evidenziati dalle ringhiere azzurre spezzano il paesaggio prevalentemente sui toni verdi creando quasi un effetto pittorico, una «macchia mediterranea» nel cuore delle alture valtellinesi. Quattro padiglioni, quelli riservati alle lungodegenze, furono costruiti invece seguendo uno «standard» imposto dal ministero della Salute di Roma. Tuttavia, immersi nel paesaggio di montagna ed edificati su livelli sfalsati a causa del terreno impervio, danno all’occhio un’impressione ben diversa dai padiglioni simili edificati in pianura. Alti otto piani, di cui tre nella roccia e cinque fuori terra, sperimentarono per primi l’uso di un sistema automatizzato di chiusura delle grandi verande dedicate ai pazienti. L’innovazione tecnologica, che fece del villaggio sanatoriale un esempio ammirato nel mondo, caratterizzò anche il grande padiglione dei servizi. Nelle immagini d’epoca, visibili nella fotogallery in fondo all’articolo, salta all’occhio una rete di funi metalliche che collegavano il padiglione con gli altri edifici posti a una quota inferiore. Guardando bene, si capisce che quei cavi metallici erano parte di una estesa rete di teleferiche lungo la quale scorrevano numerosi carrelli merci. Progettate e realizzate dalla Ceretti & Tanfani di Milano, tutte le teleferiche convergevano al tetto del padiglione servizi, dove si trovava il terminal con la sala comandi che controllava tutte le linee aeree. I carrelli potevano portare biancheria, pasti, presidi medici a tutti i padiglioni in brevissimo tempo, lasciando concentrato in un padiglione la mensa e i servizi di pulizia e disinfezione, garantendo così la massima asetticità ai padiglioni di degenza a tutto vantaggio della salute dei pazienti tubercolosi. A fianco del grande padiglione dei servizi, fu collocato l’edificio dell’amministrazione, forse il più «fascista» nel senso architettonico del termine. Eretto su un lungo basamento in pietra e intonacato con un colore mattone, a contrasto con il senape del padiglione servizi, l’edificio è delimitato nelle forme da due torri a semicerchio delimitanti la struttura di forma rettangolare tipicamente razionalista. Oltre ai 10 padiglioni principali, all’interno del villaggio furono realizzati alcuni edifici più piccoli ma non meno interessanti. La villetta del direttore è un esempio di ibrido tra razionalismo e modernismo (per la forma rettangolare delle finestrature) mentre l’edificio portineria riprende come nel caso del padiglione chirurgico alcuni elementi marinari come la presenza di una «rotonda» e la lanterna sulla sommità del corpo di fabbrica di forma circolare.
Una delle realizzazioni di maggiore rilievo da un punto di vista tecnico e costruttivo furono sicuramente la progettazione e la realizzazione dell’impianto di approvvigionamento idrico e la rete fognaria per un ospedale a padiglioni posto sul fianco di una montagna e con la necessità di servire una popolazione di migliaia di pazienti e 1.500 dipendenti. Il sistema delle fognature fu costruito dalla Società Italiana per gli Acquedotti e le Fognature (SIAF) e includeva un impianto di trattamento delle acque reflue di esclusiva pertinenza dell’ospedale e collocato a valle nei pressi dell’abitato di Sondalo, ancora oggi in esercizio. Degna di nota la rete idrica, interamente costruita per il villaggio e realizzata quasi totalmente in galleria con passaggi sopra il torrente Rezzalasco e attraverso il letto del fiume Adda utilizzando condutture di diverso materiale, dal cemento alla ceramica all’acciaio.
Aperto nel 1932, il mastodontico cantiere dell’ospedale sanatoriale fu affidato all’impresa Castiglioni di Milano, che impiegò circa 1.500 addetti per il difficile lavoro di sbancamento e terrazzamento della montagna. Per i materiali, furono realizzate nei dintorni di sondalo due cave, che trasportavano il materiale per la costruzione tramite camion e trenini a scartamento ridotto. La grande opera, risultata nella realizzazione del più grande sanatorio europeo, terminò nel 1940 ma la completa operatività si ebbe solo nel dopoguerra, quando nel 1946 la struttura passò sotto la gestione dell’Inps. Dal 1946 il villaggio ospedaliero di Sondalo ospitò anche gli ex militari italiani internati nei campi di prigionia tedeschi, per un percorso terapeutico di riabilitazione dai patimenti fisici dovuti a malattie e malnutrizione. Intitolato al famoso tisiologo valtellinese Eugenio Morelli, che durante il ventennio fu consigliere medico dell’INFPS, l’ospedale proseguì l’attività sanatoriale fino al 1971, quando il calo dei pazienti affetti da malattie come la Tbc segnò il passo per la specializzazione originaria del complesso sanitario. Il «Morelli» fu trasformato in ospedale generale polispecialistico, ancora oggi in esercizio. Durante la pandemia di Covid-19 quello che fu il fiore all’occhiello della lotta alla tubercolosi in Italia ebbe la sua seconda grande prova e, divenuto ospedale dedicato alle degenze di pazienti affetti da coronavirus, contribuì a salvare vite. Un museo all’interno della struttura ospedaliera permette oggi ai visitatori di ripercorrere la storia del villaggio di Sondalo attraverso oggetti, immagini e documenti originali conservati perfettamente. Per rivivere in prima persona l’evoluzione di un complesso ospedaliero che ha fatto la storia della medicina e della sanità in Italia.
Tutte le informazioni sul Museo dei Sanatori di Sondalo sono reperibili a questo link.












