2018-12-18
«Soldi alla mafia», indagato governatore pd
Mario Oliverio, presidente della Calabria, accusato di aver fatto arrivare 4 milioni al potente clan dei Muto in cambio del rallentamento di un'opera che avrebbe fatto fare un figurone a un avversario. Lui nega gli addebiti e fa lo sciopero della fame: «Solo un polverone».Sulla carta sembrava l'investimento che avrebbe rilanciato la Sila: una modernissima cabinovia, uno skipass e un impianto per l'innevamento artificiale avrebbero portato lì turisti a frotte. Ma, alla fine, nella località montana calabrese la neve artificiale non è caduta. E i turisti non sono pervenuti. È arrivato, invece, un lauto finanziamento integrativo a un'impresa vicina al potentissimo clan Muto di Cetraro, in cambio del rallentamento della realizzazione di un'opera edile che avrebbe fatto fare un figurone a un avversario politico. E il governatore calabrese del Pd, Mario Oliverio, è stato esiliato dalla magistratura, con un provvedimento giudiziario che lo obbliga a non allontanarsi da San Giovanni in Fiore, paese di 16.000 abitanti nel cuore della Sila legato al culto del filosofo e mistico medievale Gioacchino da Fiore. Dopo Marcello Pittella, presidente della Regione Basilicata, indagato per le raccomandazioni nella Sanità, Oliverio (che solo una settimana fa si era scagliato contro il governo, che ha deciso di commissariargli la Sanità) è il secondo governatore del Sud costretto a stare a distanza dalla Regione dalla magistratura. È indagato per abuso d'ufficio in un'inchiestona antimafia della Procura di Catanzaro su appalti pubblici gestiti dalla Regione, che erano finiti nelle mani di un imprenditore legato alla mala: Giorgio Barbieri, costruttore romano che da oltre un anno è accusato di gestire l'ala del clan Muto che fatturava grazie alle relazioni con la cosca. E che a Sangineto, piccolo centro sulla costa tirrenica calabrese, ha tenuto le mani in pasta nelle discoteche più di tendenza. Lavori pubblici e business della movida estiva: un cliché per il clan Muto da quelle parti. Tra dirigenti regionali e tecnici sono finiti ai domiciliari in sette. Aggiungendo una funzionaria sospesa dall'incarico, il numero degli indagati finiti sotto misura cautelare sale. L'ultimo provvedimento dei magistrati è per il quasi omonimo del governatore: Marco Oliverio (non parente di Mario), ex sindaco di Pedace, in provincia di Cosenza. Anche per lui è scattato l'obbligo di dimora. Gli indagati sono accusati di aver trasformato grandi opere pubbliche della provincia di Cosenza, come gli impianti sciistici in Sila e l'aviosuperficie di Scalea, in un affare per incassare fondi e per gestire favori.«Accuse infamanti» replica Oliverio, che in una nota diffusa già nella prima mattina di ieri annuncia l'inizio dello sciopero della fame. La Procura guidata da Nicola Gratteri, voleva metterlo ai domiciliari. Il gip l'ha graziato, ritenendo sufficiente confinarlo lontano dagli uffici della Regione. Ma lui tuona: «La mia vita e il mio impegno politico e istituzionale sono stati sempre improntati alla trasparenza, alla lotta alla criminalità, all'onestà e alla rispettosa gestione della cosa pubblica». E conclude con una stoccata alla Procura di Gratteri: «I polveroni sono il vero regalo alla mafia». Il giudice, invece, ha un punto di vista diverso e lo esplicita in conferenza stampa: «Parlo con la tristezza nel cuore, perché vedo questo rito che continuamente si verifica: il fallimento della ricostruzione della Calabria, che continua a essere, purtroppo, l'Africa del Nord». E il governatore dell'aggiunta regione africana, stando alle valutazioni di Gratteri, si sarebbe impegnato personalmente per far ottenere alla ditta in odore di mafia un finanziamento integrativo di oltre 4 milioni di euro, formalmente per opere complementari, ma in realtà necessari per finire i lavori già appaltati. Un favore, quello fatto all'impresa, che stando alle ricostruzioni contenute nel romanzo criminale by Gratteri, aveva finalità politiche: Oliverio avrebbe chiesto in cambio di rallentare i lavori su piazza Bilotti a Cosenza, opera pubblica eretta in un primo momento a simbolo dell'attività dell'amministrazione comunale di centrodestra guidata dal sindaco Mario Occhiuto. In questo capitolo dell'inchiesta viene captata, «in modo del tutto casuale», precisa la Procura, anche qualche telefonata con la deputata del Pd Enza Bruno Bossio. E pure dall'impresa di costruzioni della deputata e di suo marito, l'ex consigliere regionale Nicola Adamo, arrivò la stessa richiesta: bisognava andare piano con i lavori. Si decide tutto in un pub di Cosenza. Gli investigatori, con slang giudiziario, quel summit lo raccontano così: Francesco Tucci, direttore dei lavori dell'impresa Barbieri, commenta «le pressioni dei politici, specialmente quelle dei sodali del presidente ed emergono indizi di come la richiesta di rallentare i lavori sul cantiere di piazza Bilotti fosse stata già veicolata da Adamo e, in occasione dell'incontro nel pub, chiarita e confermata personalmente da Oliverio, ponendosi in rapporto di corrispettività con il mantenimento della promessa di nuovi finanziamenti». La burocrazia regionale era a disposizione. Funzionari e dirigenti mettevano le carte a posto e chiudevano un occhio. A volte tutti e due. Come nel caso dei lavori per l'aviosuperficie di Scalea, che sulla carta procedevano spediti ma che in realtà, per dirla come il braccio destro di Barbieri, erano «lande desolate». È l'intercettazione che ha dato il nome all'inchiesta. In cambio qualche funzionario pubblico è riuscito a piazzare nella ditta della mala il cugino.E i controllori si trasformavano in complici. L'impresa Barbieri incassava. Ma dopo aver dispensato qualche prebenda doveva ricordarsi dell'aspetto più importante: versare la quota dovuta al clan nella «bacinella», termine con il quale nel mondo della mala si indica la cassa comune.