2022-03-16
Giorgia Trasselli: «Sognavo di cantare per Strehler, ho sfondato con la tata dei Vianello»
Una vita per il teatro, ha conquistato la celebrità con un ruolo televisivo nella sit com con Sandra e Raimondo: «Niente “Arlecchino”, però con due giganti dello spettacolo per vent’anni abbiamo fatto commedia dell’arte».Giorgia Trasselli, una vita per il teatro, dagli anni Settanta a oggi. Sempre in scena, animata da una passione istintiva, quasi innata, ma lo scherzo del destino l’ha portata alla celebrità per un ruolo televisivo, accanto a due giganti dello spettacolo: Raimondo Vianello e Sandra Mondaini. Giorgia Trasselli rimane agli occhi del pubblico la tata di Casa Vianello, celebre sitcom trasmessa da Canale 5 (e poi da Rete 4) per sedici stagioni, dal 1988 al 2007. Ma dietro quel ruolo così fortunato ed emblematico c’è un’attrice che non ha mai smesso di riflettere su sé stessa e sulla sua amata professione, come testimonia il suo libro, scritto con Massimiliano Beneggi, Scusi, lei fa teatro? La tata più famosa d’Italia, tra palcoscenico e Tv, edito da D’Idee.Come ha cominciato a recitare?«Come da copione, i miei genitori non volevano che facessi l’attrice. Papà mi iscrisse all’università a letteratura inglese, però io leggevo tanti romanzi russi, allora un’amica di famiglia disse: “Ma il russo è più originale, non lo parla nessuno”. Così cambiai il piano di studio e mi iscrissi a letteratura russa. Il caso volle che Angelo Maria Ripellino, grande slavista e critico teatrale de L’Espresso, mise su un workshop o un acting training, come si direbbe oggi, e noi studenti ci tuffammo tutti in quest’avventura. Figuriamoci, io ero lì ancor prima che avesse finito di parlare! Facemmo uno spettacolo di un simbolista russo del Novecento e lì mi vide il regista Giancarlo Sammartano che stava costituendo una compagnia al Politecnico di Roma».Quindi suo padre che voleva ostacolarla indirettamente l’ha favorita?«In un certo modo, sì. Per tre anni i miei genitori si rifiutarono di venirmi a vedere, poi quando feci uno spettacolo importante, Misura per misura, per la regia di Luigi Squarzina, con il nome in locandina, vennero e da allora furono molto contenti».Fece un provino con Giorgio Strehler…«Prima con Ferruccio Soleri per Arlecchino, poi con Strehler. Mi avevano detto di non preoccuparmi se fossi stata interrotta, perché lui spesso faceva così, invece, non solo finii il mio monologo, ma al termine mi disse: “Sei molto più matura dei ruoli che hai recitato fino adesso. Brava. Adesso se ci canti una canzone…”. Mi ero preparato una canzone di Kurt Weill che avevo cantato anche al provino con Squarzina allo Stabile di Roma. Bene, non sono riuscita a cantarla perché mi veniva da piangere, tanto ero emozionata! Allora Strehler disse: “Sì, sì, lo sappiamo che è intonata”».Poi la presero?«No, mi mandarono una lettera per spiegarmi che, avendo scelto come Arlecchino un acrobata alto un metro e cinquanta, occorreva una Colombina piccola piccola».Il teatro è rimasto sempre la sua passione.«Sì, diciamo che ci siamo scelti dall’inizio. Anche in questo periodo sono in tournée con Lello Arena per Parenti serpenti, regia di Luciano Melchionna, uno spettacolo che ci dà delle gioie immense da sei anni».Per il teatro ha un po’ sacrificato la carriera cinematografica.«Ho fatto piccole partecipazioni. Il cinema mi attrae, mi piacerebbe farlo di più, ma ho provato sempre una forma di soggezione nei confronti della macchina da presa».La televisione è più simile al teatro?«Casa Vianello sicuramente lo era perché Raimondo Vianello voleva che fosse teatro davanti alle telecamere, non amava il dettaglio, la mano che prende il bicchiere, lo sguardo. Un funzionario ci ricordava che eravamo un po’ i personaggi della commedia dell’arte: Rosaura, Colombina e Pantalone». Ricorda la prima volta che ha incontrato Vianello?«Certo. Eravamo al Teatro Clodio di Roma a fare l’audizione, eravamo tanti attori in fila ed erano presenti anche gli autori. Il titolo del libro nasce simpaticamente proprio da questa situazione perché Raimondo mi disse: “Scusi, lei fa teatro?”. Io in quel momento ho tremato. In Italia ci sono tante parrocchie, se mi permette una nota leggermente polemica: il teatro snobba la televisione, la televisione snobba il cinema, il cinema snobba tutti quanti. Invece l’attore è l’attore e adegua il suo modo di recitare al mezzo tecnico con cui ha a che fare. Mi ricordo che pensai: “Ora, cosa rispondo?! Capace che non va bene…”, poi dissi: “Io sto lavorando con Sbragia”. “Ah, bene, bene”, rispose Raimondo. In quel periodo con Giancarlo Sbragia e Giovanna Ralli portavamo in scena una commedia di Eugène Labiche, Il più felice dei tre. C’è da dire che Sandra e Raimondo provenivano dal teatro di varietà, quindi lui fu molto contento della mia risposta». L’ha costruito lei il personaggio della tata?«In sceneggiatura c’era questo personaggio, però non aveva delle caratteristiche precise, tanto che non aveva neanche un nome, per cui è nato timidamente, un po’ in punta di piedi, e poi gli autori hanno cominciato a scrivere anche in base alle cose che combinavo». Raimondo e Sandra non le hanno dato alcuna indicazione?«Qualcosa. Soprattutto Raimondo era molto delicato. Seguiva i copioni, li scriveva, dava delle piccole indicazioni. Gli autori mi dicevano qualcosa di più, poi pian piano mi hanno lasciata abbastanza libera e il personaggio è cresciuto nel tempo».Per quale motivo pensa che sia entrato nel cuore della gente?«Una volta una stimata collega di teatro mi disse che questo personaggio le era piaciuto per la sua umanità. Probabilmente si è creato tra me, Sandra e Raimondo un equilibrio e il pubblico ha gradito questa armonia. Era un personaggio che combinava un sacco di pasticci e gli spettatori l’hanno sentito vicino». Era tutto molto naturale, sembrava veramente di entrare dentro casa loro.«Qualcuno pensava addirittura che io vivessi con loro!».Li ha frequentati fuori dal set?«Ci frequentavamo poco, nel senso che ognuno di noi aveva il proprio hotel, la propria casa, le proprie cose».Non si è creato nel tempo un rapporto che andava al di là del lavoro?«Con Sandra si parlava di più. Io amo molto regalare fiori alle amiche e alle colleghe. Facevo dei piccoli bouquet molto studiati e nelle conferenze stampa li portavo a Sandra. Lei ogni volta che li riceveva diceva questa frase, ce l’ho nelle orecchie come se fosse adesso: «Mi piacciono i fiori della tata», perché portavo delle cose piccole, con dei colori pastello adatti ai suoi abiti e ai suoi occhi, e lei era molto contenta».Com’erano umanamente?«Sandra era molto generosa, sempre attenta alle persone e a tutto quello che le stava attorno. Raimondo, che sembrava un po’ burbero, un po’ cinico, in realtà aveva una grande tenerezza».E i rapporti tra di loro fuori dal set?«Meravigliosi, come li avete sempre visti, di scherzo, di gioco, ma anche di grande rispetto e di ammirazione dell’uno nei confronti dell’altra. Io mi sentivo proprio felice di stare tra loro».Sul set improvvisavate?«No, per niente, tranne piccole cose. Sandra leggeva il gobbo, lo diceva sempre, perché non sapeva nulla a memoria. Arrivava sul set e diceva: “Qual è la trama?” e tutti ridevamo, invece Raimondo era molto attento. Venivamo tutti vestiti e truccati e facevamo la lettura del copione e poi una prova con le telecamere; se necessario ne facevamo un’altra, altrimenti si girava».Giravate un episodio al giorno?«In due giorni, lunedì e martedì, il mercoledì si riposava, il giovedì e venerdì si girava un altro episodio. Venerdì sera tornavo sempre a Roma, perché, tranne la prima serie, giravamo a Milano».Non ha avuto paura di rimanere troppo legata al ruolo della tata?«C’è stato un momento, quando ero più giovane, in cui mi sentivo un po’ stretta, anche perché noi italiani abbiamo questa necessità micidiale di mettere etichette a tutto quello che facciamo. Per fortuna un funzionario mi fece capire che stavo facendo qualcosa di molto importante che sarebbe rimasto nell’immaginario collettivo. Mi disse: “Lei resterà nella storia della televisione”». Le manca questo personaggio?«No, gli anni passano, si è diversi, cambiano le aspirazioni, i desideri, gli auspici. Mi manca però quel clima, quel tipo di divertimento, quella televisione, e mi mancano Sandra e Raimondo».Anche quel garbo…«Quel garbo, quella freschezza, la serietà senza essere pesanti».
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