
Alle 3.36 del 24 agosto di sette anni fa una scossa del sesto grado della scala Richter cancellò Arquata e Pescara del Tronto, Accumoli e Amatrice: quasi 300 le vittime. Il terremoto continuò sino al 30 ottobre: altre scosse fino al grado 6,5. Un territorio vasto oltre 8.000 chilometri quadrati, sparso su quattro regioni, devastato. Camerino, Visso, Ussita, Castel Sant’Angelo cancellate nelle Marche, in Umbria distrutta la cattedrale di Norcia intitolata a San Benedetto. Un deserto di macerie che ha costretto oltre 40.000 persone a fuggire, danni stimati per 28 miliardi di euro. Ottantaquattro mesi dopo ancora 14.211 famiglie sono senza casa. Sono oltre 30.000 persone sparse in 294 Comuni.
Ora l’emergenza più grave è lo spopolamento: la morte economica di un territorio che è il cuore d’Italia. L’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi aveva promesso: ricostruiremo tutto dov’era e com’era. Ogni anno il presidente della Repubblica Sergio Mattarella - ha fatto in tempo a essere riconfermato prima che la ricostruzione fosse almeno iniziata - ripete: non vi abbandoneremo. Ma aggirandosi per Rasenna o Preci, per Castelluccio di Norcia dove il re del cachemire Brunello Cucinelli vuole ricostruire sostituendosi allo Stato, per Acqusanta dove Diego Della Valle ha portato una fabbrica e la speranza si chiama rilancio delle terme, si sente l’eco di quelle parole e restituisce desolazione. Neppure la zona franca fiscale hanno fatto e pensare che il professor Giuseppe Rivetti, docente di diritto tributario all’università di Macerata, la capitale di questo terremoto diffuso (fra i più vasti e devastanti che l’Italia ha conosciuto) il progetto normativo per delimitarla lo ha presentato cinque anni fa.
Guido Castelli - al tempo del terremoto sindaco di Ascoli Piceno - senatore di Fdi è dall’11 gennaio commissario governativo (il quinto in sette anni, il primo di centrodestra) e non fa e non si fa sconti: «C’è ancora moltissimo da fare, abbiamo accelerato bene in questi otto mesi, ma sono emersi evidenti ritardi nella fase di ricostruzione pubblica che negli anni ha fatto registrare fortissime criticità». Il Pd che ha considerato il terremoto cosa sua - le quattro Regioni colpite ora tutte al centrodestra erano sette anni fa in mano alla sinistra - ha congelato tutto prima con Vasco Errani, poi con Paola De Micheli seppellendo sotto un mare di burocrazia e di proclami le macerie rimaste a migliaia di tonnellate in mezzo alle strade. Il Pd ha usato il terremoto come risarcimento politico: prima nominò commissario Errani che si era dovuto dimettere da presidente della Regione Emilia-Romagna. Poi alla De Micheli, in seguito promossa ministro delle Infrastrutture, dettero il posto per il sacrificio fatto nel governo Gentiloni. L’ultima polizza fu la nomina di Giovanni Legnini, trombato alle regionali in Abruzzo. Si è impegnato a disfare la montagna di ordinanze dei suoi compagni predecessori, ma di cantieri se ne sono visti pochi.
E ora a che punto siamo? Guido Castelli con i numeri dimostra che c’è stata un’accelerazione. «Prima di ogni considerazione», dice alla Verità il senatore meloniano, «lasciatemi esprimere cordoglio ancora una volta per le 299 vittime. A loro e ai loro cari dobbiamo, oltre al doveroso e commosso omaggio, la preservazione del ricordo e della memoria, la ricostruzione di questi luoghi e la creazione delle condizioni che consentano all’Appennino centrale non solo di tornare alla normalità, ma di poter crescere attraverso un modello di sviluppo trainato dai principi di sicurezza e sostenibilità. È il compito che ci siamo posti attraverso la riparazione economico-sociale, l’altro pilastro che deve accompagnare la ricostruzione». Castelli apre il dossier e si legge che nei primi sei mesi di quest’anno sono stati liquidati 661 milioni di interventi, il 22% in più dello scorso anno e nel solo mese di luglio si è avuto il record con 131 milioni erogati dalla Cassa depositi e prestiti. Ma la fine dei lavori è ancora molto lontana. Sinora sono state presentate 28.855 richieste di contributo (su un totale di circa 50.000) di cui 17.478 hanno ottenuto un decreto di concessione. L’importo richiesto ammonta a 11,11 miliardi, di cui 6,66 concessi e 3,3 liquidati in base all’avanzamento dei lavori. I cantieri aperti sono stati 17.442, di cui conclusi 9.483. Dove i ritardi si sono accumulati in modo ingiustificabile è nel settore del patrimonio pubblico. Lì Castelli ha spinto al massimo l’acceleratore. A maggio il 45% degli interventi finanziati era ancora da avviare con progettazioni che hanno avuto un tempo medio di 27 mesi e solo il 7,2% concluso. Prendendo in esame gli ultimi piani delle opere pubbliche approvati per le regioni del sisma, valgono oltre 1,1 miliardi, dei 1.053 interventi censiti in meno di sei mesi sono state avviate più del 95% delle progettazioni.
«Ma il vero passo avanti», sostiene Castelli, «si è fatto col decreto Ricostruzione: è stato stabilizzato il personale, si è esteso fino al 2025 il beneficio del Superbonus nelle zone terremotate, ci sono quasi 2,5 miliardi per la viabilità, il progetto Next Appenino ha generato progetti e investimenti per otre 3 miliardi a sostegno delle aziende. Dobbiamo però recuperare il gap prodotto dal Covid, ma soprattutto dalla concorrenza che il Superbonus ha fatto alla ricostruzione. Le ditte sono scappate dal cratere per fare altri lavori, ma stano tornando». Forse comincia ad avverarsi lo slogan dei ragazzi dell’università di Camerino che è risorta fuori dal centro storico e ora è prima nelle classifiche dei piccoli atenei: «Andiamo alla ri-scossa!».






