2024-05-11
La sinistra «vittima» di censura adesso censura i suoi nemici
Paladini di Antonio Scurati muti sul caso Roccella. Si nascondono dietro al diritto di criticare i potenti, ma solo quelli che gli convengono.Dovremmo seguire tutti il consiglio di Salman Rushdie e farci, come ha detto parlando al Salone del libro di Torino, la pelle più dura. Dovremmo indurire il nostro involucro appena un po’, imparare a non offenderci per ogni pensiero affilato, per ogni opinione non del tutto conforme alle nostre. Dovremmo farci la pelle spessa, sì, perché la libertà è talvolta una lotta all’arma bianca e taglia, ferisce, addolora. Ma senza è peggio: si rimane magari illesi, però isolati e asciutti, poveri. Dovremmo essere tutti meno infantili, come ha detto lo scrittore perseguitato dai fanatici dell’islam, per salvarci da questa era del piagnisteo continuo e del risentimento perenne, in cui tutti si sentono sempre offesi e non tollerano il minimo buffetto. «Sentirsi» non equivale a «essere», e il più delle volte se «ci sentiamo» feriti è un problema nostro, non di chi si è limitato a proferire una opinione un po' ruvida. Ha ragione, Rushdie: «I politici dovrebbero farsi la pelle più dura perché hanno potere ed è normale che qualcuno nella popolazione possa dire cose su di loro, anche brutte». È vero: anche i politici oggi frignano e piangono e fanno le vittime. Non accettano le contestazioni, invocano la forza pubblica e troppo spesso provano a reprimere il dissenso. Ne sa qualcosa, Rushdie, di che cosa significhi avere la pelle dura. Per quel che ha scritto lo hanno condannato a morte, e quando finalmente la spada di Damocle che prendeva sul suo capo pareva infranta, un estremista inferocito lo ha assalito con un coltello e lo ha quasi scannato. Questo fa di Salman un coraggioso, un resistente, un eroe. Una figura molto diversa da quelle degli intellettuali di casa nostra, che si credono simili a lui perché si pigliano una querela o perché non ricevono abbastanza inchini durante le pubbliche manifestazioni. Nessuno di loro, nessuno dei nostri scrittori, attori e teatranti (se non pochissimi fenomeni) rischia o ha mai rischiato di subire discriminazioni pesanti, di perdere lo status e il lavoro o di essere messo a tacere. E c’è un motivo: nessuno dei nostri celebrati intellettuali (salvo, di nuovo, pochissimi fenomeni a cui siamo grati di esistere) si è mai davvero opposto al discorso dominante o ha mai rifiutato di seguire l’onda e la moda che regala premi e visibilità. Ed è qui, per quanto ci riguarda, il punto critico - e perciò interessante - delle affermazioni di Rushdie. Egli afferma che i politici «hanno potere ed è normale che qualcuno nella popolazione possa dire cose su di loro, anche brutte». Non c’è dubbio sul fatto che sia vero: chi ha potere deve imparare ad accettare le contestazioni, anche pesanti, perché di solito arrivano da qualcuno che il potere non ce l’ha, o ne ha molto meno. Il problema è che, in Italia e in fondo in tutto l’Occidente, esiste un potere che vola sopra il capo dei politici, è superiore perfino a loro tanto che è quasi impossibile contrastarlo. È a questo potere quasi metapolitico e sovranazionale che fa riferimento la gran parte degli intellettuali, degli attivisti e dei mezzi di informazione. È questo potere a stabilire i confini di quello che per comodità chiamiamo pensiero prevalente o pensiero unico. Succede allora che, talvolta, le contestazioni ai politici vengono mosse solo apparentemente dal basso, cioè da chi il potere non ce l’ha. In alcuni casi esse cadono dall’alto, e arrivano da chi - magari senza rendersene conto - obbedisce al pensiero prevalente, e tenta di imporlo ovunque, rendendo impossibile il dissenso vero. L’intellettuale italico che punta il dito contro il politico di destra, ad esempio, non è un solitario Davide che sfida Golia. È solitamente un piccolo conformista che ripete formule stantie, che evoca minacce passate affinché la popolazione non si accorga di quelle presenti. E infatti guardate come va a finire di solito: il politico di destra si lagna (cosa stucchevole) o risponde in maniera scombinata (invece di ignorare e passare oltre). L’intellettuale in questione passa magari cinque brutti minuti. Ma poi ecco che su di lui gronda la grazia: tutti lo chiamano, tutti lo invitano, tutti lo scritturano. Succede perché il potere vero, quello che davvero può cambiare le menti dei cittadini, agisce altrove e regola i media, lo spettacolo, l’intrattenimento, persino lo sguardo dei cronisti stranieri. Funziona allo stesso modo, almeno in parte, per gli attivisti, persino per i più battaglieri: se agiscono in nome di cause «buone» (cioè buone per il pensiero prevalente) magari si pigliano qualche condanna, ma alla fine riscuotono comunque successo, pubblicano libri, sono invitati in tv, magari dopo un po’ di anni si costruiranno una carriera politica. Diversa è la sorte di quanti - politici, attivisti e intellettuali - il pensiero prevalente provano a combatterlo almeno un po’. Se a loro viene impedito di parlare, nessuno si indigna, anzi i più applaudono: è accaduto e accade a ministri, parlamentari, sindacalisti, autori... Se qualcuno li priva dello stipendio o li bastona in manifestazione, i grandi giornali non si lamentano. I loro colleghi fanno a gara per insultarli ed emarginarli, le università li cacciano. E se vengono censurati da una televisione, nessun altro li accoglie. Anzi, spesso in tv manco ci arrivano, e se osano criticare un ministro sono subito dipinti come odiatori o terroristi. Emblematico, a questo proposito, lo spettacolo offerto dai quotidiani di ieri. I giornali e le conventicole ideologiche che si sono stracciati le vesti per giorni per la censura Rai di Antonio Scurati (che poi ha - giustamente - potuto esprimersi ovunque e con maggiore risalto) e per la sorte di Serena Bortone, sono esattamente gli stessi che, nei fatti, spalleggiano i contestatori che hanno zittito Eugenia Roccella a Roma. Se a qualcuno del loro giro viene tolto mezzo riflettore, il cielo si spalanca e tutti corrono in soccorso trasformando il povero martire in una statuetta devozionale. Se invece ai «nemici politici» viene tolta la parola e non viene concessa alcuna compensazione, eccoli pronti a gioire e a giustificare la mannaia. Ha ragione Salman Rushdie. Tutti dovremmo avere la pelle dura come lui. E a qualcuno, in effetti, la pelle l’hanno indurita negli anni i getti degli idranti, gli impieghi persi e il bavaglio imposto. Altri invece hanno la pelle morbida, tipica di chi è ben pasciuto ed è stato lisciato a dovere. A frignare di più, di solito, sono proprio questi ultimi: più sono molli e più si dimenano, come i budini sotto al cucchiaio. A differenza di Rushdie che è rimasto forte persino davanti a un coltello.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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