2023-07-25
La sinistra che coltivava il dubbio ora teme le domande e il dissenso
I progressisti si scagliavano contro le verità ufficiali, religiose o borghesi. Oggi impongono nuove «certezze» e provano fastidio per il popolo che non vuole allinearsi. Bollando come «eretico» chi non si fida delle élite.Vi è stato un tempo in cui il dubbio era il cardine della cultura di sinistra. I progressisti - svolgendo in certi frangenti persino una funzione positiva - si scagliavano contro ogni valore precostituito, ogni verità ufficiale, ogni certezza. Pretendevano, con la potente luce della ragione di cui si credevano gli unici custodi, di illuminare ogni anfratto, di esplorare ogni sentiero, soprattutto quelli che deviavano dalla strada maestra. In un certo periodo storico, la decostruzione divenne la regola. Si arrivò ad affermare che la verità, semplicemente, non esisteva: ciascuna «narrazione» doveva essere smontata pezzo per pezzo, bisognava individuare la «genealogia» di ogni pensiero, onde poterlo meglio sezionare. La critica era un martello con cui sbriciolare le certezze borghesi, tradizionali, patriarcali. Le ideologie di sinistra hanno rivitalizzato l’antico principio alchemico del solve et coagula, cioè dissolvi e riunisci, scomponi e ricomponi. Si inizia con la putrefazione e distruzione della materia, seguita dalla sua raffinazione. Infine, la stessa materia - una volta purificata - viene ricostruita in una forma considerata spiritualmente «più elevata». Passata la fase della dissoluzione, a quanto sembra, ci troviamo oggi in quella della coagulazione: distrutta ogni certezza del passato, è il momento di imporre nuove e «più giuste» certezze. Nuove verità che, a differenza di quelle del tempo andato (religiose, comunitarie, eccetera), non possono per nessun motivo essere discusse. Il dubbio, oggi, è bandito: è eresia. Risulta particolarmente evidente negli ultimi anni. Non c’è racconto istituzionale che possa essere analizzato e, eventualmente, contestato. Non c’è spazio per la domanda e il dissenso. La verità, ora, deve manifestarsi in tutta la sua geometrica potenza: è «scientifica», perciò incontestabile (e viceversa). Che si tratti di Covid, guerra o clima poco importa: discostarsi dalla strada già tracciata non si può. La materia disgregata si è coagulata in una forma di granito, impossibile da scalfire. Che qualcuno provi a farlo suscita nei maestri del pensiero un fastidio intollerabile, prossimo addirittura al timore. Lo ha mostrato molto bene ieri Ezio Mauro su Repubblica, riflettendo su ciò che considera il terribile male del nostro tempo: il dubbio, appunto (nello specifico, quello riguardante l’emergenza climatica). «La resistenza culturale che rischia di diventare movimento transnazionale contro il Green deal è in realtà l’ultima manifestazione di un fenomeno che attraversa tutte le democrazie occidentali, e che potremmo chiamare il Grande dubbio», scrive Mauro. «Un meccanismo che indebolisce ogni livello di governance perché disabilita la capacità delle democrazie di fare sistema, esercitando il comando e capitalizzando il consenso, naturalmente nella distinzione tra maggioranza e opposizione. Non si riesce più a coalizzare l’opinione pubblica attorno all’interesse generale della comunità, sia questa europea, nazionale, addirittura regionale o cittadina». Capito? Il popolo, questo screanzato, dubita. E non si riesce più a imporgli qualcosa senza che esso osi alzare il ditino. Perché accade tutto ciò? La spiegazione di Mauro è curiosa. «Perché il grande oggetto smarrito di questi anni è il bene comune. A nessun soggetto politico e istituzionale è riconosciuta l’autorità di definire l’orizzonte generale verso cui muoversi, di indicare le scelte, di battezzare la fase. È come se il potere», scrive, «si fosse spogliato di quella potestà metafisica che gli riconosceva la capacità di dare un nome alle cose, dunque di interpretarle, di rappresentarle e di risolverle davanti al popolo: un autentico retaggio di antica maestà, cancellato dalla ribellione nei confronti dell’élite, che è la vera anima trasversale dei populismi di varia natura». Straordinario. La cultura politica in cui il buon Ezio si riconosce e di cui è fra le più autorevoli guide, nel corso degli anni, ha rabbiosamente abbattuto ogni forma verticale di potere. Ancora oggi avversa le nazioni, le tradizioni, le comunità, le religioni. Ha imposto, in compenso, una nuova metafisica, una gnosi, un nuovo racconto della realtà completamente artificiale. Lo ha fatto con la forza, la costrizione, il terrore e la propaganda. A ben vedere, il dubbio di cui i progressisti hanno schifo è molto diverso dal dubbio del passato. Non nasce dalla volontà di decostruire, ma è una sorta di reazione immunitaria all’artificio. È l’ultimo legame rimasto con la realtà. Se il popolo dubita è perché percepisce epidermicamente l’inganno. Magari non riesce a descriverlo alla perfezione, però lo annusa. E se diffida delle élite non è per generica ostilità contro il padrone o la gerarchia, ma perché il tradimento perpetrato da queste élite è fin troppo evidente, ed è cristallina la loro inconsistenza. I poteri odierni non traggono fondamento del cielo, come accadeva anticamente. Ma nemmeno sono legittimati dal basso (come la sinistra aveva promesso che sarebbe accaduto). No, essi si autolegittimano, si fondano sull’oppressione: traggono potere dal potere stesso. Sono forze infere che hanno dato l’assalto al cielo e poi si sono sedute sul trono, dopo aver ingannato le masse presentandosi come «liberatrici». Tuttavia il segreto è ormai svelato. Soprattutto dopo il delirio sanitario, gli arcana imperii non sono più così arcani. Una fetta di popolazione ha ripreso a dubitare, non si fida più di nulla e nessuno. Sempre ieri, sulla Stampa, Eugenia Tognotti si stupiva del fiorire di «teorie complottistiche» sulla morte di Andrea Purgatori. Ma davvero non c’è nulla di cui soprendersi. Se le élite hanno fatto della menzogna una regola, se hanno prima oscurato ogni orizzonte morale e poi hanno imposto una realtà sovvertita, perché mai una persona dotata di intelletto dovrebbe accettare la «versione ufficiale» dei fatti senza fiatare? Ezio Mauro, dal canto suo, ritiene che la mancanza di fiducia sia prerogativa di «ceti attaccati dalla crisi che si sentono esclusi, marginalizzati o anche soltanto ingiustamente penalizzati, e hanno ormai rinunciato a ogni vincolo di solidarietà e di comunità, rifugiandosi in una concezione individuale della cittadinanza limitata alla categoria, al gruppo, all’interesse: e intanto hanno accumulato una pesante cambiale di rancore privato inesigibile in pubblico, un credito impolitico che non riusciranno mai a riscuotere».Secondo l'editorialista di Repubblica, questi nuovi ribelli «nell’emergenza non vedono l’interesse generale da tutelare, ma gli interessi particolari da regolamentare». Essi «cancellano la realtà che impone di far fronte al pericolo, e negano che il problema climatico esista, come ieri negavano il vaccino, o addirittura il virus». In realtà, la maggioranza della popolazione subisce le «misure disciplinari» più o meno senza fiatare, piegati dal ricatto o dalla persuasione occulta. Altri invece fanno resistenza e tentano di contestare ciò che trovano ingiusto, e per questo sono accusati di alto tradimento. Le cose stanno nel modo esattamente contrario a quello descritto da Mauro: la realtà è soffocata dalle presunte emergenze, negata dalle nuove verità incontestabili calate dall’alto. Di fronte a tutto ciò, il dubbio è una forma di autodifesa, persino quando è eccessivo. Per questo dà tanto fastidio. Ora che è dominante, la cultura progressista pretende soltanto obbedienza cieca, pronta e assoluta.
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