2021-05-22
C’è anche una sinistra contro la legge che impone la mordacchia arcobaleno
È una menzogna, come sostiene parte del mondo Lgbt, che a non volere il ddl Zan siano soltanto «politici di destra, fondamentalisti cattolici e femministe anti queer».La linea politica del Partito democratico e delle altre forze di sinistra, almeno in questo caso, ha il minuscolo pregio di essere chiara. In sintesi: il ddl Zan va approvato così com'è. Lo ha detto giorni fa Enrico Letta, lo hanno ribadito giovedì gli attivisti che hanno consegnato in Senato 460.000 firme raccolte online. Insomma la strategia è quella di fare muro, rifiutare ogni mediazione e portare a casa la legge bavaglio senza alcun cambiamento.Ovviamente il giochino prevede di demonizzare chiunque provi anche solo ad avanzare una critica: se tocchi il ddl sei omofobo. Emblematico ciò che ha dichiarato giovedì lo stesso Alessandro Zan: «Il ddl è divisivo solo nella testa di Matteo Salvini che l'ha fatto diventare una contesa politica sulla pelle delle persone discriminate. La verità è che lui una legge contro i crimini di odio non la vuole, altrimenti voterebbe il testo approvato alla Camera».Purtroppo per Zan, la realtà è profondamente diversa. A ben vedere, il testo del ddl è estremamente divisivo. Talmente divisivo da aver sbriciolato la stessa sinistra. Certo, i tifosi della mordacchia arcobaleno sanno essere parecchio violenti con chi non la pensa come loro, e liquidano gli oppositori alla stregua di una mandria di subumani razzisti. Secondo lo scrittore Jonathan Bazzi - autoelettosi portavoce del mondo Lgbt al fine di guadagnarsi un posticino al premio Strega e un po' di pubblicità gratuita - a non volere il ddl Zan sarebbero «politici di destra, fondamentalisti cattolici e femministe anti queer». Colpisce la sommarietà e la ruvidità dei giudizi, specie da chi ama riempiersi la bocca di belle parole sulla lotta all'odio e la promozione dell'amore. Del resto, per farsi un'idea del disprezzo che i militanti Lgbt riversano sugli oppositori, basta notare quante volte si rivolgono alle femministe come «terf» (femministe radicali trans escludenti) o, peggio, «terfone», onde farle passare per vecchie incattivite. Ma tant'è.Il punto, in ogni caso, non è l'odio arcobaleno (che pure esiste eccome), bensì la presunta unità d'intenti dei progressisti sul ddl Zan. Che non esista lo ha dimostrato, sul Manifesto, ieri, Silvia Niccolai. Ha ricordato che «in Italia esiste un pensiero femminista radicale noto come pensiero della differenza, molto vitale. Questo pensiero ha lavorato per far emergere la soggettività femminile, che consiste appunto nella differenza». La Niccolai non insulta, anzi usa toni decisamente rispettosi. Ma è cristallina: «Non si può ignorare che, promuovendo azioni educative orientate a insegnare alle bambine che il loro sesso è solo biologia, il legislatore si mette contro l'azione delle tante donne che porgono alle bambine l'idea opposta, affinché diano a sé stesse valore e possano essere ciò che desiderano», scrive. «La storia della rivolta femminile contro la cancellazione del proprio sesso non va sacrificata alla sacrosanta tutela delle persone omosessuali e bisessuali, transessuali e transgender».Non ha idee molto diverse Monica Lanfranco, che su Micromega ha commentato la copertina dell'Espresso dedicata alla «rivoluzione trans». È noto: il settimanale ha pubblicato un disegno della fumettista trans Fumettibrutti che raffigura un uomo barbuto con il pancione. La splendida opera è ispirata alla campagna degli attivisti trans americani Tristan e Biff, che hanno messo al mondo un figlio e pretendono di farlo passare per un «bambino con due padri». Secondo la Lanfranco, i due militanti hanno prodotto «un manifesto mistificante dell'eliminazione delle donne, del femminile del mondo, nel nome della perfezione trans, che finalmente è autogenerativa, in un delirio misogino».Il tema che nuovamente si pone è quello della autodeterminazione di genere: le femministe sostengono che porterà alla cancellazione del femminile (ed è vero), ma intanto il ddl Zan la contempla proprio all'articolo 1, e il Pd non sembra avere intenzione di rimuoverla.Non ci sono però solo i dubbi delle intellettuali più «radicali». Nei giorni scorsi abbiamo raccolto le perplessità del celebre giurista Michele Ainis, firma di Repubblica (e pure dell'Espresso che chiede la rivoluzione trans). A suo dire, il ddl Zan non serve, anzi può rivelarsi molto dannoso.Deciso anche Luca Ricolfi. A Quarta Repubblica gli è stato chiesto un parere sui rischi che il ddl Zan presenta riguardo la limitazione della libertà di espressione. Risposta: «Sono una persona culturalmente di sinistra, cioè vengo di lì, sono tuttora collocato lì e sono stato abituato tutta la mia vita a pensare che la censura tendenzialmente è una cosa di destra, perché è stato così nel nostro Paese. E invece sono costretto a constatare che la censura è passata da destra a sinistra e simmetricamente la libertà di pensiero è migrata da sinistra a destra».Dunque sì, a criticare il ddl Zan sono i cattolici e i partiti di destra. Sono le femministe, sicuro, anche quelle che non si pongono come «radicali» o «anti queer» o «trans escludenti». Ma sono pure esponenti della sinistra cosiddetta «moderata», studiosi di vaglia, editorialisti raffinati, ai quali il progetto di legge continua a sembrare superfluo se non pericoloso. Sappiamo che persino all'interno del Pd ci sono aree contrarie all'approvazione, che però hanno deciso di silenziarsi per disciplina di partito, come ha fatto intendere Valeria Fedeli giorni fa. Impossibile negarlo, allora: il ddl Zan è un testo divisivo, soprattutto per la sinistra. È l'espressione di una minoranza aggressiva che pretende di combattere l'odio odiando chi la contesta.
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