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2018-05-29
Amministrative, per il Pd si preannuncia una nuova batosta
ANSA
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Il 10 giugno andranno a votare 6,7 milioni di elettori in 797 Comuni (20 i capoluoghi di provincia). Numerose le roccaforti rosse a rischio ribaltone, con Lega e M5s che puntano a fare il pieno.Tutti i partiti di centrodestra uniti per strappare Brescia alla sinistra con la prima sindaco donna.Lo speciale contiene due articoliPer la politica, tutta, sarà più di un semplice test locale. Le Amministrative in programma domenica 10 giugno (eventuali ballottaggi il 24), infatti, rappresenteranno un'occasione per misurare gli umori degli elettori dopo mesi di estenuanti trattative infruttuose, che non hanno portato alla formazione di un governo espressione del risultato elettorale emerso lo scorso 4 marzo. Si voterà in 797 Comuni (6,7 milioni gli elettori convocati ai seggi), dei quali 203 nelle regioni a statuto speciale ed è facilmente ipotizzabile una nuova sconfitta per i partiti tradizionali e filo Ue che hanno espresso sostegno alla linea imposta dal presidente Sergio Mattarella. Movimento 5 stelle e, soprattutto, Lega sperano dunque in un nuovo exploit che farebbe da traino per il probabile ritorno alle urne dopo l'estate. Il centrosinistra, al contrario, rischia grosso visto che governa, in diversi casi con risultati non esaltanti, gran parte dei Comuni che tornano al voto. Si prefigura, dunque, una nuova batosta per i dem, già usciti con le ossa rotte dalle Regionali in Molise e Valle d'Aosta.Tra i centri chiamati alle urne ci sono 20 capoluoghi di provincia (Ancona, Avellino, Barletta, Brescia, Brindisi, Catania, Imperia, Massa, Messina, Pisa, Ragusa, Siena, Siracusa, Sondrio, Teramo, Terni, Trapani, Treviso, Vicenza e Viterbo), 7 dei quali (Ancona, Brescia, Catania, Messina, Siracusa, Terni e Vicenza) hanno più di 100.000 abitanti e uno è anche capoluogo di regione (Ancona). Le attenzioni maggiori sono puntate su Siena e Vicenza, città nelle quali il M5s non schiera candidati e simbolo. La mossa potrebbe avvantaggiare il centrodestra considerato che l'elettorato pentastellato potrebbe essere attratto dalla proposta politica del centrodestra. Nella città del Palio la coalizione a guida Lega-Fi-Fdi punta su Luigi De Mossi. Di fronte si troverà il sindaco uscente del centrosinistra Bruno Valentini. A Vicenza la coalizione a guida dem non potrà ricandidare il primo cittadino Achille Variati per il limite di mandati raggiunti. Al suo posto si candida Otello Dalla Rosa che dovrà battere il candidato del centrodestra unito, Francesco Rucco. È probabile che su quest'ultimo si concentri il voto grillino. Anche un'altra roccaforte rossa rischia di cadere in questa tornata elettorale. A Pisa il centrosinistra che governa da 47 anni potrebbe cedere il passo a un esponente del centrodestra. In terra toscana la Lega di Salvini sogna il colpaccio e punta forte su Michele Conti, ex aennino, oggi candidato a sindaco, espressione di una lista civica ma sostenuto da tutta la coalizione. Per evitare una débâcle, l'ennesima, il Pd si è affidato a un ex assessore, Andrea Serfogli, che tuttavia non ha l'appoggio di tutto il centrosinistra. I bersaniani di Mdp non lo sostengono e hanno deciso di non presentare una lista nel capoluogo pisano.La Lega spera di confermare il trend positivo anche a Treviso, città veneta che ha regalato al centrodestra percentuali quasi bulgare alle ultime Politiche. In questa città il Carroccio candida Mario Conte, sostenuto anche dagli altri partner della coalizione. Conte dovrà vedersela Giovanni Manildo, sindaco eletto con il centrosinistra nel 2013, dopo la lunga parentesi Gentilini. Il M5s, con Domenico Losappio, spera almeno di replicare il risultato del 4 marzo quando riuscì ad arrivare davanti al Pd e ai suoi alleati. Centrodestra favorito anche a Brescia con Paola Vilardi, che sfiderà l'uscente Emilio Del Bono. Più marginale il ruolo dei grillini, in campo con Guido Ghidini. E anche a Terni il centrosinistra, che schiera Paolo Angeletti dopo il flop dell'uscente Leopoldo Di Girolamo, potrebbe soccombere di fronte al centrodestra guidato da Leonardo Latini. Il M5s sarà capitanato da Thomas De Luca. Ad Ancona, in terra marchigiana, in un territorio dove i pentastellati hanno raggiunto recentemente risultati importanti, si ricandida la sindaca uscente sostenuta dal centrosinistra, Valeria Mancinelli, che sarà sfidata da Stefano Tombolini, rappresentante di una lista civica che ha ricevuto il sostegno di tutto il centrodestra, e da Daniela Diomedi, del Movimento 5 stelle. La sfida si annuncia incerta e, in un eventuale ballottaggio, potrebbe rivelarsi decisivo un patto di desistenza tra Lega e M5s. Altre soddisfazioni per Di Maio e Casaleggio potrebbero arrivare dalla Sicilia. A Catania, alle Politiche, il Movimento ha raggiunto il 47 per cento dei consensi. In queste elezioni sostiene Giovanni Grasso, che tenterà di sfilare la poltrona di sindaco al pluriconfermato Enzo Bianco del Pd. Il centrodestra punta, invece, su Salvo Pogliese. A Siracusa il compito dei grillini è ancora più agevolato dall'estrema frammentazione degli altri schieramenti (il centrodestra mette in campo 2 candidati a sindaco e altrettanto fa il centrosinistra). La candidata del Movimento è Silvia Russoniello. A Messina l'uscente Renato Accorinti, esponente della sinistra movimentista, sfiderà 6 concorrenti, tra cui il candidato del M5s Gaetano Sciacca. Il centrosinistra sarà guidato da Antonio Saitta mentre il centrodestra sosterrà Dino Bramanti. Antonio Ricchio<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/sindaci-lega-e-m5s-puntano-a-fare-il-pieno-2573021976.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-centrodestra-alla-riconquista-della-leonessa" data-post-id="2573021976" data-published-at="1765637606" data-use-pagination="False"> Il centrodestra alla riconquista della Leonessa È una poltrona che si contenderanno in otto. Perché altrettante sono le candidature depositate per diventare, per un quinquennio, il nuovo inquilino di Palazzo Loggia. Ma se il 10 giugno i cittadini di Brescia dovranno scegliere tra otto aspiranti sindaci, nella disfida per insediarsi alla guida del governo della Leonessa d'Italia, tre sono i big in campo, Ovvero il primo cittadino uscente, Emilio Del Bono, a capo di una maggioranza di centrosinistra, Paola Vilardi, la candidata del centrodestra - che a Brescia marcia compatto nella tornata amministrativa a differenza di quanto sta avvenendo a livello nazionale - e Guido Ghidini, artigiano presidente del Consiglio di quartiere di Urago Mella, schierato dal Movimento 5 stelle. A comporre il parterre di candidature, oltre ai tre big, cinque outsiders: Laura Castagna per Bs Italiana - Forza nuova - Azione sociale, Davide De Cesare per Casa Pound, Leonardo Peli per Pro Brixia - Il Bigio, Alberto Marino per Potere al popolo e Lamberto Lombardi per il Pci. I numeri della disfida elettorale bresciana parlano di diciotto liste a sostegno degli otto candidati e di 534 aspiranti ad un posto nel prossimo Consiglio comunale: nel 2013, quando l'allora sindaco uscente di centrodestra, Adriano Paroli, ora tornato in Parlamento da senatore non riuscì ad agguantare la riconferma e al ballottaggio dovette cedere l'ufficio della Loggia a Del Bono, si presentarono dieci candidati a sindaco, 25 liste e 680 aspiranti consiglieri. Nella partita a scacchi per governare la città nel prossimo mandato, lo scenario bresciano, sul fronte centrodestra, va in controtendenza rispetto a quel che sta avvenendo all'ombra dei palazzi romani. A Brescia la Vilardi, già assessore all'Urbanistica nella giunta Paroli e già presidente del Consiglio provinciale, può contare sull'appoggio compatto delle truppe di centrodestra. E sull'alleanza formata da Forza Italia, Lega, Fratelli d'Italia, Udc, Il popolo della famiglia e X Brescia Civica. Una differenza di scenario con il proscenio romano, resa plastica pure dall'approdo a Brescia, per ribadire il supporto alla Vilardi, di nomi di peso di Forza Italia, dal capogruppo degli azzurri alla Camera, la bresciana Mariastella Gelmini, al governatore della Liguria, Giovanni Toti, e della leader di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni. In casa centrosinistra, Del Bono è in lizza per il bis da sindaco con il supporto, oltre che del suo partito, il Pd, di Sinistra a Brescia (che riunisce Leu, Verdi, Al lavoro con Brescia e Area civica prodiana), Bs per passione, lista che fa capo all'attuale vicesindaco, Laura Castelletti, Civica Del Bono sindaco, Brescia 2030, Del Bono 2.0. Vilardi, che se eletta sarebbe la prima donna a insediarsi sulla poltrona più importante della Loggia, ribadisce le priorità del suo carnet elettorale, ovvero «restituire a Brescia il ruolo di centralità che ha perso e diventare realmente una città metropolitana. Cinque anni di amministrazione Del Bono ci hanno condotto a una Brescia addormentata, ripiegata su sé stessa. Più sicurezza, la famiglia al centro, sostegno ai giovani e agli anziani, una Brescia più attrattiva per il commercio sono parole d'ordine centrali del mio programma». Del Bono - che ha già chiarito, riferendosi al ticket in Loggia con il vicesindaco Castelletti, «tandem che vince non si cambia» - rimarca che «i risultati di questi cinque anni di buona amministrazione sono sotto gli occhi di tutti. Abbiamo rimesso a posto i conti, avviato le bonifiche, investito sulla cultura, sulla sicurezza e sul trasporto pubblico, riqualificato strade e piazze. Oggi la città è più bella e forte». Per Loggia 2018, l'opzione ballottaggio resta tra quelle sul terreno. E in quel caso, tra primo e secondo turno si aprirebbe, per i due aspiranti primi cittadini a quel punto in lizza, la partita degli eventuali apparentamenti. Nel 2013, per Del Bono tra i fattori decisivi per la vittoria, fu l'appoggio, al ballottaggio, di Laura Castelletti, che al primo turno era invece tra i candidati sindaco in corsa. Paola Gregorio
Nel riquadro, l'attivista Blm Tashella Sheri Amore Dickerson (Ansa)
Tashella Sheri Amore Dickerson, 52 anni, storica leader di Black lives matter a Oklaoma City è stata accusata da un Gran giurì federale di frode telematica e riciclaggio di denaro. Secondo i risultati di un’indagine condotta dall’Fbi di Oklahoma City e dall’Irs-Criminal Investigation e affidata procuratori aggiunti degli Stati Uniti Matt Dillon e Jessica L. Perry, Dickerson si sarebbe appropriata di oltre 3 milioni di dollari di fondi raccolti e destinati al pagamento delle cauzioni degli attivisti arrestati e li avrebbe investiti in immobili e spesi per vacanze e spese personali. Il 3 dicembre 2025, un Gran giurì federale ha emesso nei confronti dell’attivista un atto d’accusa di 25 capi, di cui 20 di frode telematica e cinque di riciclaggio di denaro. Per ogni accusa di frode telematica, Dickerson rischia fino a 20 anni di carcere federale e una multa fino a 250.000 dollari. Per ogni accusa di riciclaggio di denaro, l’attivista rischia fino a dieci anni di carcere e una multa fino a 250.000 dollari o il doppio dell’importo della proprietà di derivazione penale coinvolta nella transazione. Secondo gli inquirenti, a partire almeno dal 2016, Dickerson è stata direttore esecutivo di Black lives matter Okc (Blmokc). Grazie a quel ruolo Dickerson aveva accesso ai conti bancari, PayPal e Cash App di Blmokc.
L’atto d’accusa, la cui sintesi è stata resa nota dalle autorità federali, sostiene che, sebbene Blmokc non fosse un’organizzazione esente da imposte registrata ai sensi della sezione 501(c)(3) dell’Internal revenue code (la legge tributaria federale americana), accettava donazioni di beneficenza attraverso la sua affiliazione con l’Alliance for global justice (Afgj), con sede in Arizona. L’Afgj fungeva da sponsor fiscale per Blmokc, alla quale imponeva di utilizzare i suoi fondi solo nei limiti consentiti dalla sezione 501(c)(3). L’Afgj richiedeva inoltre a Blmokc di rendere conto, su richiesta, dell’erogazione di tutti i fondi ricevuti e vietava a Blmokc di utilizzare i suoi fondi per acquistare immobili senza il consenso dell’Afgj.
A partire dalla tarda primavera del 2020, Blmokc ha raccolto fondi per sostenere la sua presunta missione di giustizia sociale da donatori online e da fondi nazionali per le cauzioni. In totale, Blmokc ha raccolto oltre 5,6 milioni di dollari, inclusi finanziamenti da fondi nazionali per le cauzioni, tra cui il Community Justice Exchange, il Massachusetts Bail Fund e il Minnesota Freedom Fund. La maggior parte di questi fondi è stata indirizzata a Blmokc tramite Afgj, in qualità di sponsor fiscale.
Secondo l’atto d’accusa, il Blmokc avrebbe dovuto utilizzare queste sovvenzioni del fondo nazionale per le cauzioni per pagare la cauzione preventiva per le persone arrestate in relazione alle proteste per la giustizia razziale dopo la morte di George Floyd. Quando i fondi per le cauzioni venivano restituiti al Blmokc, i fondi nazionali per le cauzioni talvolta consentivano al Blmokc di trattenere tutto o parte del finanziamento della sovvenzione per istituire un fondo rotativo per le cauzioni, o per la missione di giustizia sociale del Blmokc, come consentito dalla Sezione 501(c)(3).
Nonostante lo scopo dichiarato del denaro raccolto e i termini e le condizioni delle sovvenzioni, l’atto d’accusa sostiene che a partire da giugno 2020 e almeno fino a ottobre 2025, Dickerson si è appropriata di fondi dai conti di Blmokc a proprio vantaggio personale. L’atto d’accusa sostiene che Dickerson abbia depositato almeno 3,15 milioni di dollari in assegni di cauzione restituiti sui suoi conti personali, anziché sui conti di Blmokc. Tra le altre cose, Dickerson avrebbe poi utilizzato questi fondi per pagare: viaggi ricreativi in Giamaica e nella Repubblica Dominicana per sé e i suoi soci; decine di migliaia di dollari in acquisti al dettaglio; almeno 50.000 dollari in consegne di cibo e generi alimentari per sé e i suoi figli; un veicolo personale registrato a suo nome; sei proprietà immobiliari a Oklahoma City intestate a suo nome o a nome di Equity International, Llc, un’entità da lei controllata in esclusiva. L’atto d’accusa sostiene inoltre che Dickerson abbia utilizzato comunicazioni interstatali via cavo per presentare due false relazioni annuali all’Afgj per conto del Blmokc. Dickerson ha dichiarato di aver utilizzato i fondi del Blmokc solo per scopi esenti da imposte. Non ha rivelato di aver utilizzato i fondi per il proprio tornaconto personale.
Tre anni fa una vicenda simile aveva travolto la cofondatrice di Black lives matter Patrisse Cullors, anche lei accusata di aver utilizzato i fondi donati per beneficenza al movimento per pagare incredibili somme di denaro a suo fratello e al padre di suo figlio per vari «servizi». Secondo le ricostruzioni del 2022, Paul Cullors, fratello di Patrisse, ha ricevuto 840.000 dollari sul suo conto corrente per aver presumibilmente fornito servizi di sicurezza al movimento, secondo i documenti fiscali visionati dal New York Post. Nel frattempo, l’organizzazione ha pagato una società di proprietà di Damon Turner, padre del figlio di Patrisse Cullors, quasi 970.000 dollari per aiutare a «produrre eventi dal vivo» e altri «servizi creativi». Notizie che, all’epoca, avevano provocato non pochi malumori, alimentate anche dal fatto che la Cullors si professava marxista e sosteneva di combattere per gli oppressi e le ingiustizie sociali.
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Francesca Albanese (Ansa)
Rispetto a due mesi fa, la percentuale degli sfiduciati è cresciuta di 16 punti mentre quella di coloro che si fidano è scesa di 9. Il 42% degli intervistati, maggiorenni e residenti in Italia, dichiara di non conoscere la relatrice pasionaria o di non avere giudizi da esprimere, il che forse è quasi peggio: avvolta dalla sfiducia e dall’indifferenza.
Il 53% degli elettori di centrodestra non si fida dell’Albanese, e questo era un dato diciamo scontato, ma fa riflettere che la giurista irpina abbia perso credibilità per il 47% di coloro che votano Pd. Appena il 34% degli elettori dem oggi si fida della relatrice Onu, sotto sanzioni da parte di Washington e accusata da Israele di ostilità strutturale. La sinistra, dunque, non si limita ad essere in disaccordo al suo interno se rilasciare o meno la cittadinanza onoraria alla pro Pal. Sta dicendo che non la sostiene più.
«I cattivi maestri di sinistra non piacciono agli italiani», ha subito postato su X il partito della premier Giorgia Meloni, che sempre secondo il sondaggio Youtrend sarebbe la più convincente per il 48% degli italiani in un ipotetico dibattito assieme a Giuseppe Conte ed Elly Schlein.
Tramonta dunque l’astro effimero di Albanese, spacciata per l’eroina progressista che condanna la violenza sui palestinesi mentre la giustifica a casa nostra. L’assalto alla redazione della Stampa doveva e deve servire «da monito alla stampa», ha dichiarato la relatrice Onu, confermando la pericolosità del suo attivismo politico.
Eppure ha continuato a essere invitata per esporre le sue idee anti Israele, e non solo. In alcune scuole della Toscana avrebbe «ripetuto i suoi soliti mantra, sostenendo che il governo Meloni sia composto da fascisti e complice di un genocidio, accusando Leonardo di essere una azienda criminale e arrivando persino a incitare gli studenti ad occupare le scuole, di fatto, incitando dei minorenni a commettere reati sanzionati dal codice penale», hanno scritto Matteo Bagnoli capogruppo di Fratelli d’Italia al Comune di Pontedera e Christian Nannipieri responsabile di Gioventù nazionale Pontedera.
La mossa successiva è stata un’interrogazione presentata da Alessandro Amorese, capogruppo di Fdi alla commissione Istruzione della Camera alla quale ha prontamente risposto il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, chiedendo agli organi competenti di avviare una immediata ispezione per verificare quanto accaduto in alcune scuole in Toscana.
Secondo l’interrogazione, anche una classe della seconda media dell’Istituto Comprensivo Massa 6 avrebbe partecipato ad un incontro proposto dalla rete di insegnanti Docenti per Gaza, con Francesca Albanese che esponeva le tematiche del suo libro Quando il mondo dorme. Storie, parole e ferite dalla Palestina.
Non solo, con una nuova circolare inviata alle scuole sul tema manifestazioni ed eventi pubblici all’interno delle istituzioni scolastiche, il ministro ribadisce l’esigenza che la scelta di ospiti e relatori sia «volta a garantire il confronto tra posizioni diverse e pluraliste al fine di consentire agli studenti di acquisire una conoscenza approfondita dei temi trattati e sviluppare il pensiero critico».
Una raccomandazione necessaria, alla luce anche di quanto stanno sostenendo i docenti del liceo Montale di Pontedera che in una nota hanno definito «attività formativa» la presentazione online del libro di Albanese ad alcune classi. «Un’iniziativa organizzata su scala nazionale nell’ambito delle attività di educazione alla cittadinanza globale, come previsto dal curriculum di Educazione civica d’istituto […] nel quadro delle iniziative promosse dalla scuola per favorire la partecipazione democratica, la conoscenza delle istituzioni internazionali e il dialogo tra studenti e professionisti impegnati in contesti globali», scrivono. Senza contraddittorio, le posizioni pro Pal e anti governo Meloni della relatrice Onu non sono «partecipazione democratica».
Incredibilmente, però, due giorni fa la relatrice è comparsa accanto a Tucker Carlson, il giornalista e scrittore tra i creatori dell’universo Maga, che gestisce la Tucker Carlson Network dopo aver lasciato Fox News. Intervistata, ha detto che gli Stati Uniti l’hanno sanzionata a causa del suo dettagliato resoconto sulle politiche genocide di Israele contro i palestinesi. «Una penna, questa è la mia sola arma», si è difesa Albanese raccontando che il suo rapporto con Washington sarebbe cambiato bruscamente dopo che ha iniziato a documentare come le aziende statunitensi non solo stavano consentendo le azioni di Israele a Gaza, ma traendo profitto da esse.
«Tucker sta promuovendo le opinioni di una donna sottoposta a sanzioni da parte degli Stati Uniti per aver preso di mira gli americani», ha protestato su X l’American Israel public affairs committee (Aipac), il più importante gruppo di pressione filo israeliano degli Stati Uniti. Ma c’è anche chi non si sorprende perché Carlson avrebbe cambiato opinione su Israele negli ultimi mesi, criticando l’amministrazione Trump per il supporto incondizionato dato allo Stato ebraico così come fa la sinistra antisionista.
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Kaja Kallas (Ansa)
Kallas è il falco della Commissione, quando si tratta di Russia, e tiene a rimarcarlo. A proposito dei fondi russi depositati presso Euroclear, l’estone dice nell’intervista che il Belgio non deve temere una eventuale azione di responsabilità da parte della Russia, perché «se davvero la Russia ricorresse in tribunale per ottenere il rilascio di questi asset o per affermare che la decisione non è conforme al diritto internazionale, allora dovrebbe rivolgersi all’Ue, quindi tutti condivideremmo l’onere».
In pratica, cioè, l’interpretazione piuttosto avventurosa di Kallas è che tutti gli Stati membri sarebbero responsabili in solido con il Belgio se Mosca dovesse ottenere ragione da qualche tribunale sul sequestro e l’utilizzo dei suoi fondi.
Tribunale sui cui l’intervistata è scettica: «A quale tribunale si rivolgerebbe (Putin, ndr)? E quale tribunale deciderebbe, dopo le distruzioni causate in Ucraina, che i soldi debbano essere restituiti alla Russia senza che abbia pagato le riparazioni?». Qui l’alto rappresentante prefigura uno scenario, quello del pagamento delle riparazioni di guerra, che non ha molte chance di vedere realizzato.
All’intervistatore che chiede perché per finanziare la guerra non si usino gli eurobond, cioè un debito comune europeo, Kallas risponde: «Io ho sostenuto gli eurobond, ma c’è stato un chiaro blocco da parte dei Paesi Frugali, che hanno detto che non possono farlo approvare dai loro Parlamenti». È ovvio. La Germania e i suoi satelliti del Nord Europa non vogliano cedere su una questione sulla quale non hanno mai ceduto e per la quale, peraltro, occorre una modifica dei trattati su cui serve l’unanimità e la ratifica poi di tutti i parlamenti. Con il vento politico di destra che soffia in tutta Europa, con Afd oltre il 25% in Germania, è una opzione politicamente impraticabile. Dire eurobond significa gettare la palla in tribuna.
In merito all’adesione dell’Ucraina all’Unione europea già nel 2027, come vorrebbe il piano di pace americano, Kallas se la cava con lunghe perifrasi evitando di prendere posizione. Secondo l’estone, l’adesione all’Ue è una questione di merito e devono decidere gli Stati membri. Ma nel piano questo punto è importante e sembra difficile che venga accantonato.
Kallas poi reclama a gran voce un posto per l’Unione al tavolo della pace: «Il piano deve essere tra Russia e Ucraina. E quando si tratta dell’architettura di sicurezza europea, noi dobbiamo avere voce in capitolo. I confini non possono essere cambiati con la forza. Non ci dovrebbero essere concessioni territoriali né riconoscimento dell’occupazione». Ma lo stesso Zelensky sembra ormai convinto che almeno un referendum sulla questione del Donbass sia possibile. Insomma, Kallas resta oltranzista ma i fatti l’hanno già superata.
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Carlo Messina all'inaugurazione dell'Anno Accademico della Luiss (Ansa)
La domanda è retorica, provocatoria e risuona in aula magna come un monito ad alzare lo sguardo, a non limitarsi a contare i droni e limare i mirini, perché la risposta è un’altra. «In Europa abbiamo più poveri e disuguaglianza di quelli che sono i rischi potenziali che derivano da una minaccia reale, e non percepita o teorica, di una guerra». Un discorso ecumenico, realistico, che evoca l’immagine dell’esercito più dolente e sfinito, quello di chi lotta per uscire dalla povertà. «Perché è vero che riguardo a welfare e democrazia non c’è al mondo luogo comparabile all’Europa, ma siamo deboli se investiamo sulla difesa e non contro la povertà e le disuguaglianze».
Le parole non scivolano via ma si fermano a suggerire riflessioni. Perché è importante che un finanziere - anzi colui che per il 2024 è stato premiato come banchiere europeo dell’anno - abbia un approccio sociale più solido e lungimirante delle istituzioni sovranazionali deputate. E lo dimostri proprio nelle settimane in cui sentiamo avvicinarsi i tamburi di Bruxelles con uscite guerrafondaie come «resisteremo più di Putin», «per la guerra non abbiamo fatto abbastanza» (Kaja Kallas, Alto rappresentante per la politica estera) o «se vogliamo evitare la guerra dobbiamo preparaci alla guerra», «dobbiamo produrre più armi, come abbiamo fatto con i vaccini» (Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea).
Una divergenza formidabile. La conferma plastica che l’Europa dei diritti, nella quale ogni minoranza possibile viene tutelata, si sta dimenticando di salvaguardare quelli dei cittadini comuni che alzandosi al mattino non hanno come priorità la misura dell’elmetto rispetto alla circonferenza cranica, ma il lavoro, la famiglia, il destino dei figli e la difesa dei valori primari. Il ceo di Banca Intesa ricorda che il suo gruppo ha destinato 1,5 miliardi per combattere la povertà, sottolinea che la grande forza del nostro Paese sta «nel formidabile mondo delle imprese e nel risparmio delle famiglie, senza eguali in Europa». E sprona le altre grandi aziende: «In Italia non possiamo aspettarci che faccia tutto il governo, se ci sono aziende che fanno utili potrebbero destinarne una parte per intervenire sulle disuguaglianze. Ogni azienda dovrebbe anche lavorare perché i salari vengano aumentati. Sono uno dei punti di debolezza del nostro Paese e aumentarli è una priorità strategica».
Con l’Europa Carlo Messina non ha finito. Parlando di imprenditoria e di catene di comando, coglie l’occasione per toccare in altro nervo scoperto, perfino più strutturale dell’innamoramento bellicista. «Se un’azienda fosse condotta con meccanismi di governance come quelli dell’Unione Europea fallirebbe». Un autentico missile Tomahawk diretto alla burocrazia continentale, a quei «nani di Zurigo» (copyright Woodrow Wilson) trasferitisi a Bruxelles. La spiegazione è evidente. «Per competere in un contesto globale serve un cambio di passo. Quella europea è una governance che non si vede in nessun Paese del mondo e in nessuna azienda. Perché è incapace di prendere decisioni rapide e quando le prende c’è lentezza nella realizzazione. Oppure non incidono realmente sulle cose che servono all’Europa».
Il banchiere è favorevole a un ministero dell’Economia unico e ritiene che il vincolo dell’unanimità debba essere tolto. «Abbiamo creato una banca centrale che gestisce la moneta di Paesi che devono decidere all’unanimità. Questo è uno degli aspetti drammatici». Ma per uno Stato sovrano che aderisce al club dei 27 è anche l’unica garanzia di non dover sottostare all’arroganza (già ampiamente sperimentata) di Francia e Germania, che trarrebbero vantaggi ancora più consistenti senza quel freno procedurale.
Il richiamo a efficienza e rapidità riguarda anche l’inadeguatezza del burosauro e riecheggia la famosa battuta di Franz Joseph Strauss: «I 10 comandamenti contengono 279 parole, la dichiarazione americana d’indipendenza 300, la disposizione Ue sull’importazione di caramelle esattamente 25.911». Un esempio di questa settimana. A causa della superfetazione di tavoli e di passaggi, l’accordo del Consiglio Affari interni Ue sui rimpatri dei migranti irregolari e sulla liceità degli hub in Paesi terzi (recepito anche dal Consiglio d’Europa) entrerà in vigore non fra 60 giorni o 6 mesi, ma se va bene fra un anno e mezzo. Campa cavallo.
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