2025-05-19
Silvia Sardone: «Resto in trincea in periferia Il nemico è l’islam radicale»
La prima donna vicesegretario della Lega: «Continuo ad abitare in via Padova a Milano, dove Sala non si vede mai. In Europa siamo la sola vera opposizione alla Von der Leyen».«Metterò a disposizione del partito la mia passione e la mia testardaggine. Continuerò a lavorare come prima, nella trincea delle periferie. Il nemico numero uno? L’islam radicale che vuole conquistarci. Non arretrerò di un millimetro».Silvia Sardone, eurodeputata e adesso prima donna a ricoprire il ruolo di vicesegretario leghista. Come si sente?«Responsabilizzata e onorata. Ma non solo come donna, chiariamo. Anzi, sono sempre stata allergica alle quote rosa».Però una donna nella tolda di comando leghista è un fatto storico.«Matteo Salvini mi ha fornito un’altra opportunità importante, e gliene sono grata. Il messaggio più gradito è arrivato da un amico di lunga data: “Lega = merito”».Lei ha un legame fortissimo con il territorio milanese, sull’onda della lotta al degrado: in Europa è stata la più votata del partito, dopo il generale Vannacci.«Non faccio un week end in famiglia da non ricordo quanto tempo. Ma va bene così. È una mia scelta. Però da mamma di due figli sono perseguitata dai sensi di colpa».Ha pagato un prezzo?«Vivo sotto scorta da anni. Mi mandano ogni giorno messaggi minatori: “Andremo a colpirti dove fa più male”. Queste frasi mi preoccupano di più».Però?«Però continuo a vivere a Milano, in fondo a via Padova, uno dei quartieri multietnici in cui la sinistra ha totalmente fallito il suo modello di integrazione, penalizzando anche gli stranieri perbene che lavorano».Adesso ha fatto carriera, può anche cambiare quartiere.«Anche da vicesegretario, rimango al fronte. È quello il mio posto. A Milano mi regalano spesso scritte sui muri di minacce e insulti. Ma non lascio le periferie. Non sono mica Beppe Sala».Il sindaco?«Lui i quartieri periferici non sa nemmeno cosa siano. Forse pensa che per entrare serva il passaporto, perché non lo vediamo mai».La Milano di domani?«I tempi sono maturi perché Milano torni a respirare, uscendo dal degrado causato da anni di amministrazione di sinistra. Adesso nemmeno tagliano più l’erba pubblica: dicono che la foresta selvaggia è più “green”…».È questo lo spirito che serve al partito?«Mi auguro di dare un’iniezione di passione, di grinta, di coraggio. Dobbiamo tenere il punto sui temi che toccano più da vicino la vita dei cittadini».Come ha cominciato?«A 21 anni, facevo l’università. La politica non faceva parte della mia vita. Studiavo legge, facevo lavoretti per mantenermi, e volontariato in parrocchia».E poi?«La scintilla è partita alle amministrative di Sesto San Giovanni. La mia famiglia votò in blocco un candidato, e nello spoglio non risultarono le preferenze. La cosa era fortemente sospetta».Brogli in quella che fu la Stalingrado d’Italia?«L’avevo vissuta come una grande ingiustizia. Mi avvicinai a un gazebo di Forza Italia e chiesi di fare il rappresentante di lista al seggio, per controllare che tutto si svolgesse correttamente».Da lì arrivò la prima spinta ad iniziare?«In principio come consigliere di zona. Nel frattempo, dottorato in diritto del lavoro e master al Politecnico di Milano».E poi consigliere comunale, il passaggio alla Lega, l’arrivo a Strasburgo. Da vicesegretario avrà un settore di competenza?«Non so se Matteo Salvini distribuirà delle deleghe. Di sicuro andrò avanti con le mie battaglie sulla sicurezza, sull’immigrazione, sulle periferie. La Lega oggi è l’unico partito che ha il coraggio di occuparsi di quartieri difficili».Qual è dunque la sua priorità?«Credo che il tema dominante nei prossimi anni resterà il rischio islamizzazione. La nostra società è fragile, rischia di essere conquistata».Da chi?«Sono convinta che alcune comunità presenti nel nostro territorio non abbiano alcuna intenzione di integrarsi. A quel punto, delle due l’una: resistere, o inginocchiarsi. Io dico che non bisogna arretrare: è una battaglia di libertà».Come la sua crociata pluriennale contro il velo islamico?«È per quella crociata che mi è stata assegnata la scorta. Il velo è un simbolo di sottomissione, e i tanti casi di cronaca lo dimostrano. Alle donne che vedo al mercato con il velo non è consentito lavorare, non è permesso parlare italiano. Che razza di integrazione è questa? Dove sono le femministe?».Il vero femminismo è contro il velo islamico?«Sì, ma non è solo una questione di genere. Tollerare tutto questo significa calpestare decenni di battaglie democratiche».A Strasburgo le danno ascolto?«Nei palazzi europei il velo islamico è quasi un logo ufficiale. La giornata europea della gioventù aveva come simbolo proprio una donna con il velo, così come un altro manifesto sul futuro dell’Europa. Non comprendono che l’Occidente rischia la sottomissione».L’altra «pasionaria» di Strasburgo è Ilaria Salis. La conosce?«Sfugge. Ha paura del confronto. La sfido a un dibattito pubblico sulle occupazioni abusive, anche domani mattina. Io non ho paura del dialogo, soprattutto con chi non la pensa come me».E il Green deal europeo?«Sono capogruppo del gruppo patrioti in commissione ambiente, ho dovuto affrontare l’ideologia green in prima persona. Non molliamo il colpo, né sulle auto elettriche né sugli altri dossier aperti del Green deal che sarebbe da stravolgere completamente».Qualche progresso c’è stato?«Sì, ma serve un cambio di passo. Incominciano ad ammettere alcuni errori, ma le risposte sono timide e intanto le aziende chiudono Occorre cancellare totalmente le regole ambientali europee, e farlo con la massima urgenza, prima di vedere l’economia europea disintegrata».Cosa si nasconde dietro lo slancio euro-ambientale?«Dietro il green ci sono semplicemente politiche industriali che rappresentano un suicidio economico per il nostro continente. Lo scriva chiaro: oggi la Lega rappresenta l’unica vera opposizione alla maggioranza di Ursula Von der Leyen».Il capo della Commissione Europea è stata condannata per la storia degli sms sui vaccini Pfizer.«Vicenda preoccupante. Simbolo di un’epoca, quella del Covid, segnata dalla mancanza di trasparenza. Se sei convinto di aver fatto le scelte giuste, perché secretarle?».Cosa pensate di fare?«Insistere per avere verità. Non solo sui vaccini, ma anche sui fondi erogati alle Ong che si occupano di migranti, e sulle lobby green che condizionano politica e opinione pubblica».Le Pen incandidabile. Elezioni ripetute in Romania. C’è un disegno europeo per fermare le destre?«La sinistra ha un concetto tutto suo di democrazia: le elezioni valgono solo se vincono loro».Cioè?«È chiaro a tutti che sono aggrappati al potere, disposti a utilizzare tutti gli strumenti per conservarlo. Si credono invulnerabili. Sono convinti di poter decidere nell’ombra il futuro dell’Europa, a scapito delle scelte degli elettori. La democrazia è tutt’altra cosa».
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)