2021-05-05
Siamo agnelli davanti al lupo. E il vero dramma è che non beliamo neanche più
La scienza è stata trasformata in dogma, sebbene l'efficacia del lockdown sia stata più volte smentita. Le restrizioni assumono così le sembianze di vani sacrifici agli dei.Non smette di sorprendere il modo in cui le scienze naturali, dacché le si è imbracciate per imporre i provvedimenti più radicali mai osati in tempo di pace, stanno fornendo il combustibile del rogo su cui bruciano non solo intere pagine della nostra carta costituzionale, ma anche i loro stessi statuti, le basi cognitive del loro esercizio. È, quello tra scienze e politica, l'abbraccio reciprocamente mortale di due naufraghi che si avvinghiano, si intralciano e si trascinano insieme negli abissi, come sembra dimostrare l'ultimo anno trascorso nel segno della «crisi pandemica».Consideriamo le chiusure, i coprifuoco e le restrizioni. Ne è valsa la pena? Ci stanno proteggendo dai danni della nuova malattia? Non potendosi fare una controprova in laboratorio sarebbe impossibile dare una risposta definitiva, ma è onesto riconoscere che le prove analogiche accumulate dall'esordio dell'emergenza sono molto lontane dal promuovere in modo statisticamente solido queste scelte. La generale assenza di correlazioni significative tra intensità delle restrizioni e impatto clinico della malattia non è un segreto: è stata ribadita in numerosi studi ed emerge anche raffrontando i dati pubblici sul rigore medio delle chiusure (stringency index) con i decessi e i ricoveri nei diversi Paesi del mondo. Ultimamente è toccato al giornalista Federico Rampini rivelare in prima serata che «quei Paesi che sono praticamente usciti indenni, con dei numeri della mortalità microscopici, non hanno usato lockdown a tappeto». Pur ammettendo ogni eccezione e cautela, come si può perciò continuare a colpire con sicurezza redditi, sussistenza e benessere su basi così esili? Quale consolatio scientiae si può rivolgere ai ristoratori senza clienti, agli albergatori senza lavoro e agli adolescenti reclusi, a quali dure leggi naturali dovrebbero rassegnarsi i nostri lavoratori della neve costretti alla disoccupazione mentre, pochi chilometri più a Nord, i loro colleghi svizzeri facevano correre gli skilift pur contando quest'anno meno della metà dei nostri decessi attribuiti a Sars-Cov-2 (334 vs 734 su milione di abitanti)? Che cosa sono allora questi sacrifici se non scongiuri o fioretti pasquali, digiuni propiziatori fatti con la pancia degli altri? È questa la società che ascolta solo il nudo verbo della scienza?Oggi però qualcuno protesta: basta con le chiusure, avanti con le vaccinazioni. Ma la musica non cambia. Come già i chiusuristi, anche i vaccinisti comprimono le incognite del nuovo scenario in uno slogan che tutti devono ripetere. Bisogna perciò parlar piano quando si ricorda che i nuovi farmaci sono soggetti a un'autorizzazione condizionata (conditional marketing authorization) che ne consente l'uso pur mancando al regolatore tutti i dati necessari alla loro piena valutazione. E che nelle more di questi studi si è sinora stabilito che possono sì scongiurare gli esiti gravi della malattia, ma «è necessario più tempo per ottenere dati significativi per verificare se i vaccinati si possono infettare in modo asintomatico e contagiare altre persone», sicché «i vaccinati e le persone che sono in contatto con loro devono continuare ad adottare le misure di protezione anti Covid-19» (dalle Faq Aifa). Nel frattempo si indaga anche sulla durata dell'immunizzazione, sull'efficacia protettiva verso le mutazioni del patogeno, sul possibile ruolo della profilassi nello sviluppo di nuove varianti (pressione selettiva), sui casi di positività segnalati tra i vaccinati, anche sintomatici, sulla frequenza e le caratteristiche degli effetti collaterali non rilevati dai primi studi, sull'opportunità di ripetere le somministrazioni e altro.Globalmente, neanche i dati sugli effetti della campagna di immunizzazione in corso possono dirsi conclusivi. Se è vero che in Inghilterra e Israele, dove più della metà della popolazione ha già ricevuto almeno una dose di vaccino, i decessi giornalieri sono crollati dalla fine di gennaio ad oggi, dinamiche simili si stanno osservando anche in Irlanda con il 19% di vaccinati, o in Sud Africa con lo 0,5%. Altri Paesi come Giappone (1,8%), Thailandia (1,5%) e Taiwan (0,14%) hanno registrato fin dall'inizio dell'anno tassi di mortalità da Sars-Cov-2 uguali o inferiori a quelli raggiunti da inglesi e israeliani, pur con coperture vaccinali prossime allo zero. All'opposto, alcune delle nazioni più vaccinate hanno invece visto crescere in modo preoccupante i decessi, come ad esempio il Cile (42%) e l'Ungheria (40%), che è anche il Paese oggi più colpito dalle morti associate alla malattia. Estendendo l'analisi a tutti i Paesi di cui si conoscono i dati, non emergono ad oggi correlazioni significative tra le due misure.La novità e la complessità del fenomeno fanno sì che le conoscenze sinora acquisite siano inevitabilmente incomplete e in trasformazione, come dimostrano le decine di studi che si pubblicano ogni giorno. A molte delle domande che ci si pone oggi non è ancora possibile rispondere in modo certo per i limiti imposti dall'orizzonte cronologico e dall'imprevedibilità dei sistemi in larga scala. È normale. Ciò che è invece anormale è che non solo nei talkshow, ma ora anche nelle istituzioni si sia scelto di buttare il cuore oltre l'ostacolo dell'incertezza per estorcere agli scienziati una parola d'ordine e trasformare le loro ipotesi in dogmi. Se al netto di ogni altra riserva «non è ancora noto se la vaccinazione sia efficace anche nella prevenzione dell'acquisizione dell'infezione e/o della sua trasmissione» (Istituto superiore di sanità), come è allora possibile che una legge in vigore obblighi gli operatori della salute «a sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell'infezione da Sars-Cov-2» (così l'articolo 4 del dl 44/2021)? E che lo faccia sotto pena di negar loro il diritto alla retribuzione e al lavoro, con una sanzione che non ha eguali nel mondo e nella storia? E come si concilia la denuncia di una crisi sanitaria senza precedenti con l'idea di rinunciare a una parte del personale sanitario? E il mettere le nostre libertà alla mercé di ciò che dicono i medici con la volontà di punire i medici... per ciò che dicono? Oggi si stima che gli esitanti supererebbero le 40.000 unità solo in tre regioni (Toscana, Lazio, Puglia) che, proiettate sul territorio nazionale, diventerebbero circa 180.000. Si sbagliano tutti? A chi ha cuore la salute andrebbe ricordato che dal lavoro di queste persone, e non dalle ipotesi su cui ancora si lavora, dipendono il benessere e la vita di milioni di pazienti, che lo Stato ha investito anni e miliardi di euro per formarle e che non saremo più in grado di sostituirle per la grave carenza di personale che la nostra sanità già sconta da anni. Ma sarebbe forse inutile farlo, perché non ci sono ragioni nel funerale della ragione.Siccome poi, aperta la diga, può passare di tutto, le nuove norme sui «passaporti sanitari» impianteranno sulle aporie irrisolte del confinamento e dell'immunizzazione farmacologica un attacco ulteriore al nostro modello di civiltà, riproponendo un'eugenetica in salsa immunitaria con acrobazie logiche, costituzionali e scientifiche che lascio all'analisi dei lettori.Qui non interessa indovinare la progettualità sottesa a queste forzature, pur restando chiaro che i frangenti più disperati e confusi sono anche quelli più propizi alle incursioni di chi vuole riformare in deroga al consenso. Preoccupa di più la propedeutica a monte, lo scardinamento della capacità di pensiero fin nelle sue funzioni minime di coerenza, conseguenza e misura. Mancando queste basi va da sé che la complessità epistemica maturata in millenni di osservazione della realtà si riduca a un mucchietto di ceneri. L'offesa al metodo della scienza è un sottoprodotto dell'offesa alla ragione, che a sua volta offende la nostra natura («id quod est contra ordinem rationis, proprie est contra naturam hominis», scriveva San Tommaso).Da queste licenze non nascono purtroppo solo decisioni avventate, ma anche i semi di una violenza profonda, perché della violenza disattivano l'antidoto razionale. La dittatura descritta da George Orwell nel suo ultimo romanzo addestrava i cittadini all'irragionevolezza dell'ossimoro («La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l'ignoranza è forza») e del «bispensiero»: sapere e non sapere; avere la certezza di affermare una verità mentre si pronunciano le menzogne accuratamente più artefatte; professare simultaneamente due opinioni che si escludono a vicenda, ben sapendole in contraddizione ma ciò nondimeno credendo vere entrambe; usare la logica contro la logica.Durante la sua rieducazione, il protagonista Winston Smith apprenderà che due più due «a volte fa cinque, a volte tre. A volte fa cinque, quattro e tre contemporaneamente». Mezzo secolo prima Gilbert K. Chesterton vaticinava che «si accenderanno falò per testimoniare che due più due fa quattro, si sguaineranno le spade per dimostrare che le foglie sono verdi in estate» (Eretici, 1905). La rappresentazione più iconica della tracotanza cognitiva dei forti si deve però al genio di Fedro, il cui lupo non si fa scrupolo di storpiare rozzamente le leggi della gravità e del tempo per dare una parvenza di legittimità alla sua aggressione. Non c'è nulla di nuovo sotto il sole, sennonché agli agnelli di oggi sembra mancare anche la volontà e la voce per belare un «Qui possum?». Che sarebbe un inizio.