2019-10-18
Sì alla stangata sullo zucchero. Partenza con il balzello sulle bibite
Passa l'idea di Lorenzo Fioramonti: la sugar tax sarà in vigore da metà 2020. Attesi 200 milioni di entrate in sei mesi. La misura apre un altro fronte nella maggioranza: Italia viva si oppone. E si è già rivelata un flop in Inghilterra.Arriva la sugar tax, che entra ufficialmente nel pacchetto delle misure fiscali del governo giallorosso: non colpirà le merendine, ma avrà come primo bersaglio le bevande zuccherate. E inevitabilmente festeggia uno dei tassatori più scatenati del governo, l'ineffabile ministro dell'Istruzione Lorenzo Fioramonti, che ancora pochi giorni fa aveva teorizzato la necessità di «tasse virtuose». Perché, oltre a tartassare gli italiani, Fioramonti pretenderebbe anche di rieducarli. E così ieri su Twitter il ministro grillino ha preteso di andare all'incasso: «Fermi tutti. Allora non era un'idea così campata in aria, no? Non mi aspetto di essere ringraziato dal governo per aver portato questa idea nel Paese, ma mi aspetto che i proventi vadano tutti a scuola, università e ricerca come nell'idea iniziale. Sarebbe il minimo sindacale».Il viceministro dell'Economia Laura Castelli ha diffuso i dettagli: si tratterebbe di un balzello di 10 euro per ettolitro e di 25 centesimi al chilo di polveri. L'imposta, in vigore da metà 2020, sarà confermata nei due anni successivi. «Per i sei mesi del 2020», ha detto la Castelli, «si stima un gettito di 200 milioni».L'idea ha aperto l'ennesimo fronte con Italia viva. Luigi Marattin è corso a dichiarare: «Italia Viva in fase parlamentare proverà eliminare tasse come la sugar, perché questo balzello non è una buona idea. Al ministro Fioramonti auguri di buon lavoro per la sua attività, che speriamo, prima o poi, smetta di includere il parlare di argomenti su cui non sembra avere piena familiarità».La sugar tax ha molte falle, innanzitutto perché è per lo meno avventuroso fare previsioni sul gettito di una tassa di questo tipo. Di più: una tassazione così scombiccherata è per definizione dagli esiti incerti. Per produrre gettito elevato, infatti, occorrerebbe che l'intento rieducativo di Fioramonti non riuscisse, e cioè che gli italiani continuassero a consumare prodotti di quel tipo. Se invece l'intento rieducativo fioramontiano riuscisse, il gettito della tassa sarebbe fatalmente ridottissimo. E allora di che parliamo? La verità è che parliamo di ideologia, e di una dottrina politicamente corretta che entra in modo prepotente anche nei territori del salutismo, dell'alimentazione, dell'imposizione statale di stili di vita «corretti» a suon di tasse e divieti. E la brutta notizia è che il problema non è solo italiano: ormai non si può stare tranquilli da nessuna parte. Il Paese caduto nella trappola prima di noi è stato il Regno Unito, dopo che gli Usa avevano aperto la strada. Il caso della Gran Bretagna spiega bene i rischi a cui siamo esposti. Per mesi, a Londra c'è stata una martellante campagna mediatica, il cui esito è stato il cedimento del governo conservatore allora guidato da Theresa May, che disse sì a una nuova tassa sulle bevande gassate e zuccherate, per «punirne» il consumo. Naturalmente, ci furono quelli a cui neppure bastò il risultato. E così, si arrivò a una surreale lettera appello indirizzata al governo dai leader dell'opposizione (laburisti, liberaldemocratici, più personalità varie) per chiedere l'estensione del pugno di ferro anche nei confronti di quello che viene chiamato «junk food», cibo spazzatura, merendine, prodotti ingrassanti. E cosa pretendevano i «Fioramonti» britannici? Un pacchetto di ulteriori misure da rieducazione di stato. Primo: estensione anche a questi cibi della nuova tassazione. Secondo: divieto di pubblicità per questi prodotti prima delle nove di sera. Terzo: divieto (non si capisce come) per personalità e celebrità di fare da testimonial pubblicitari. Quarto: divieto di usare negli spot i cartoni animati, perché potrebbero attrarre i bambini. Quinto: obbligo per i ristoranti di esporre i dati delle calorie. Sesto: obbligo di inserire sulle confezioni un «semaforo» di avvertimento sulle caratteristiche del prodotto. Settimo: divieto delle offerte «paghi uno, prendi due», perché potrebbero incoraggiare un consumo eccessivo. Come si vede, a parte un paio di misure informative (quindi accettabili), tutto il resto è un pesante mix di divieti, imposizioni, punizioni. Intendiamoci bene: il problema esiste, e sarebbe ingiusto negarlo. Un terzo dei bimbi britannici è effettivamente a rischio di obesità prima di aver concluso il ciclo della scuola elementare. Ma quello che colpisce è l'idea che, per affrontare il problema, servano leggi e tasse. A ben vedere, si tratta di un'operazione tre volte pericolosa. In primo luogo, perché deresponsabilizza le famiglie: sta a loro, non allo Stato, occuparsi della dieta di ragazzi e ragazze. In secondo luogo, perché questi prodotti sono già tassati attraverso l'Iva. In terzo luogo, perché le tasse non sono un «martello etico» da dare in testa a chi abbia comportamenti ritenuti «devianti» rispetto alle logiche del politicamente corretto. In una concezione minimamente liberale, il massimo che la mano pubblica possa fare è promuovere campagne informative, illustrare i rischi connessi a certe abitudini alimentari, incoraggiare la pratica sportiva. Ma, appunto, si tratta di informare, non di imporre regole o di penalizzare chi non le voglia seguire. Non tocca al governo prendersi cura di noi, rimboccarci le coperte, imporci la maglietta di lana. Se si entra in questo territorio, se passa il principio che lo stato, il governo, una maggioranza, possano decidere della nostra alimentazione, allora potranno decidere anche per altri aspetti più delicati della nostra vita.Non sorprende che proprio a sinistra siano gli ultimi a capire queste cose: troppo presi a discutere di «diritti», si sono dimenticati una cosa chiamata «libertà», e non hanno alcun freno nell'immaginare uno Stato onnipresente, onnipotente, onnidecidente. C'è da augurarsi che non finisca anche qui come in Gran Bretagna: dove a queste tendenze illiberali della sinistra ha finito per cedere anche una parte non irrilevante del centrodestra, per ragioni di «paternalismo», o anche solo per non apparire insensibile ai dogmi del politicamente corretto. Deriva pericolosa, molto più di una bevanda zuccherata.