Dopo il crollo dell’immagine, insieme a quello del ponte Morandi, la famiglia aveva scelto il basso profilo. Ma all’assemblea della banca d’affari, il 21 agosto, il suo 2,2% può spostare gli equilibri in favore dell’ad Nagel o dei contendenti Caltagirone e Del Vecchio.
Dopo il crollo dell’immagine, insieme a quello del ponte Morandi, la famiglia aveva scelto il basso profilo. Ma all’assemblea della banca d’affari, il 21 agosto, il suo 2,2% può spostare gli equilibri in favore dell’ad Nagel o dei contendenti Caltagirone e Del Vecchio.Il countdown per l’assemblea di Mediobanca, che la prossima settimana potrebbe decidere le sorti di un bel pezzo del potere finanziario italiano, è ufficialmente iniziato ieri. Da oggi non sarà più possibile presentare le azioni di Piazzetta Cuccia per l’assemblea di giovedì 21 agosto, chiamata ad approvare la fusione con Banca Generali e a rendere Mediobanca un boccone ancora più grande e impegnativo per il Monte dei Paschi di Siena. La partita è pienamente in bilico e alcuni storici azionisti non hanno ancora fatto sapere come voteranno, a cominciare dalla famiglia Benetton, che con il suo 2,2% rischia di essere decisiva, nonostante il basso profilo tenuto dopo la tragedia del ponte Morandi e la nazionalizzazione di Autostrade.Ieri scadeva ufficialmente il termine per il deposito delle azioni in vista dell’assemblea. Gli acquisti sono continuati fino all’ultimo e in un mese il titolo Mediobanca è stato decisamente vivace con un rialzo del 13% (ieri -0,24%), mentre Banca Generali è salita, nello stesso arco di tempo, del 9,6%. Dal 24 gennaio scorso, quando il Monte dei Paschi di Siena ha annunciato l’Ops su Piazzetta Cuccia, i titoli della possibile preda hanno fatto un balzo del 28%, mentre quelli di Rocca Salimbeni sono saliti del 23%. Così, a ieri sera la capitalizzazione di mercato di Mps era poco superiore ai 10 miliardi di euro, mentre quella di Mediobanca superava i 17 miliardi. Se andasse in porto la fusione con Banca Generali (che capitalizza 6 miliardi), il divario si amplierebbe in misura sensibile. In origine l’assemblea di Mediobanca era prevista per metà giugno, ma è stata prima spostata al 25 settembre e infine anticipata al 21 agosto. Il problema dell’amministratore delegato di Piazzetta Cuccia, Alberto Nagel, è sempre quello di fare i conti con i possibili soci contrari, tenendo conto che qui anche gli astenuti equivalgono a un «no». La conta degli equilibri si fa sempre più febbrile, perché nel piatto non c’è solo Banca Generali, ma il controllo stesso del Leone di Trieste, che al momento Mediobanca ha in mano con un semplice 13% delle azioni e con l’appoggio dei grandi fondi esteri, mentre Francesco Gaetano Caltagirone e gli eredi della famiglia Del Vecchio, nonostante le sconfitte, non hanno mai levato l’assedio. Non solo, ma proprio la discesa in campo di Mps al fianco dei grandi soci italiani delle Generali ha sancito di fatto il coinvolgimento anche del Tesoro, che è ancora il primo socio di Rocca Salimbeni con l’11,7%. Un mese e mezzo fa, quando Nagel prese tempo, i soci contrari all’operazione Banca Generali erano accreditati di un «pericoloso» 40% e nel frattempo non è chiaro se e quanto siano cambiati gli equilibri in Mediobanca. Fonti vicine a Nagel sussurrano di almeno un 32% di soci a favore, a cominciare dai big dei fondi esteri come Blackrock, ma non è facile giurare sulle intenzioni di storici alleati come Mediolanum e Gavio, che hanno ceduto alcune quote, così che il patto di consultazione (comunque non vincolante) formalmente è sceso dall’11,7% al 7,8%. Anche se molti di questi azionisti hanno mantenuto dei pacchetti di voti fuori dal patto. Il fronte di Caltagirone e Delfin (che alla fine potrebbe anche astenersi) parte invece da un 30% ma potrebbe salire considerevolmente grazie al 5,5% in mano ad alcune casse previdenziali. Come si vede, il testa a testa è serrato e sono possibili molte sorprese, in uno scenario dove anche una quota dell’1% può spostare gli equilibri a favore dei «resistenti» (Nagel e compagni) o degli sfidanti. Ed è in questo contesto che desta parecchia curiosità quel 2,2% ancora nelle mani della famiglia Benetton, un tempo legata, negli equilibri di Mediobanca, ai grandi azionisti del Nord come la famiglia Berlusconi e lo scomparso Leonardo Del Vecchio. Adesso questo pacchetto di azioni è nelle mani di Alessandro Benetton, che ha anche il 4,86% di Generali, dove ad aprile si è astenuto. Le indiscrezioni di questi mesi danno i Benetton tentati di aderire all’Ops di Monte Paschi e orientati ad astenersi su Banca Generali. Insomma, forse involontariamente, la dinastia di Ponzano Veneto si è piazzata a uno snodo fondamentale del risiko bancario e assicurativo che potrebbe cambiare volto alla finanza italiana. L’immagine della famiglia Benetton è crollata con il Ponte Morandi, il 14 agosto del 2018. Con l’appoggio di larga parte della politica, nonostante le prime minacce dell’allora premier Giuseppe Conte, i Benetton sono riusciti a evitare la revoca delle concessioni autostradali e hanno piazzato un colpo da maestri come la cessione di Autostrade per l’Italia allo Stato per oltre 8 miliardi, a maggio del 2022. Pochi mesi prima, a settembre del 2021, la dinastia veneta aveva dato la disdetta al patto di Mediobanca, sottoscritto nel 2018, spiegando che intendeva mantenere «l’assoluta neutralità nell’ambito del percorso di ridefinizione delle linee strategiche del gruppo». Una scelta di basso profilo confermata fino a oggi. Ma se i numeri della prossima assemblea di Mediobanca saranno in bilico, la «neutralità» di Ponzano Veneto rischia di essere decisiva.
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