
Tra le «vittime» dell'ex ministro, molte si sono date alla clandestinità e non saranno in aula. Uno dei presunti traghettatori (già condannato) si è invece costituito parte civile. E pure l'altro, inchiodato dai passeggeri, potrà intervenire all'udienza preliminare.In 44 sono fuggiti dagli Sprar e hanno fatto perdere le loro tracce. Alcuni, con molta probabilità sono da tempo in altri Paesi europei, altri saranno confluiti nel calderone dei clandestini sul territorio nazionale. Fatto sta che non risulta possibile notificargli gli atti dell'inchiesta sull'ex ministro dell'Interno Matteo Salvini. Sono irrintracciabili. E la Procura di Agrigento ne ha dato atto nella richiesta di rinvio a giudizio. Ma non è l'unico dato da registrare rispetto a quello sbarco. Oltre ai 44 fantasmi su 147 passeggeri sbarcati, ci sono due detenuti accusati di essere gli scafisti. Sono finiti in carcere per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Si tratta di due sedicenti ingegneri siriani: Ali Maray (nato il 30 agosto 1994, finito in cella ad Agrigento) e Al Ali Somar (nato il 27 gennaio 1985 e mandato in carcere a Ragusa). Somar è stato già processato, giudicato con rito abbreviato ad Agrigento ed è stato condannato a tre anni e sei mesi di reclusione, nonostante la cartella clinica depositata in udienza che avrebbe dovuto dimostrare le asserite torture subite dai libici. Pare si sia difeso sostenendo che si era trattato di uno stato di necessità, respingendo l'accusa di aver avuto un accordo con chi ha organizzato il viaggio della speranza che si è concluso a bordo della nave della Ong spagnola Proactiva (sbarcata a Lampedusa il 20 agosto 2019). Nella sentenza di condanna si dà atto delle ferite riportate, così come sono state riscontrate dalle autorità sanitarie italiane. Ma non è bastato a evitargli la galera. Così come non è stato sufficiente il suo racconto, con tanto di descrizioni dettagliate del viaggio e di avvenimenti nelle connection house in Libia. Dietro le sbarre ha protestato, rifiutando il cibo. E il suo avvocato ha presentato appello, perché Somar si dichiara ancora innocente. Ma, oltre che con il sistema giudiziario italiano, deve avercela soprattutto con Salvini, al punto da costituirsi parte civile nel procedimento. Lui che è accusato di essere uno scafista sostiene di essersi sentito sequestrato dal divieto di sbarco impartito dal governo italiano (come da decreto Sicurezza in quel momento in vigore). I cronisti di Ragusa oggi, che devono aver parlato con il suo difensore, l'avvocato Irene Russo, scrivono che «essendo la libertà un diritto inalienabile e considerato il diniego allo sbarco per il quale è stato chiesto il rinvio a giudizio dell'ex ministro Salvini», il trentacinquenne siriano ha chiesto di costituirsi parte civile. E l'istanza è stata accolta.Maray, che ha il suo profilo Facebook fermo al marzo 2019, invece, in Spagna è diventato un personaggio grazie a una intervista a tutta pagina (con foto) sul quotidiano spagnolo El Pais, mentre era ancora a bordo della Open Arms, nelle ultime fasi del viaggio, prima dell'autorizzazione ad attraccare nel porto italiano. All'epoca dichiarò che gli mancava un semestre per diventare ingegnere. E, come il compagno di viaggio, ha sostenuto di aver subito torture di ogni genere. Ma è «capace», annotarono i cronisti del Pais, «di ricordare tutta quella storia con un sorriso». E dichiarò anche: «Non ho mai voluto essere un rifugiato, è una parola dura per me». Per i magistrati siciliani, però, si è riscoperto scafista. E anche se ha dichiarato che «le persone che ci stavano traghettando ci picchiavano, ci chiedevano costantemente soldi e se non pagavi ti torturavano con scosse elettriche», appena sbarcato a Lampedusa è stato indicato dagli altri passeggeri tirati su dalla Open Arms come uno degli scafisti. Secondo l'accusa, i due «concorrevano con altri soggetti presenti in Libia al fine di trarne ingiusto e ingente profitto, compiendo atti diretti a procurare l'ingresso e la permanenza illegale in Italia». Non solo: i passeggeri sarebbero stati «esposti a pericolo per la loro vita e incolumità» e inoltre sarebbero stati «sottoposti a trattamento inumano e degradante». Un comunicato stampa diffuso dalla polizia di Stato nell'immediatezza spiega in modo più preciso la condotta: «Secondo i testimoni» i due siriani «hanno condotto il natante (poi soccorso dalla Open Arms, ndr) alternando timone e bussola satellitare». E ancora: «Nessun dubbio da parte dei passeggeri, i due siriani hanno preso accordi con i libici e hanno condotto la barca alternandosi». Il pubblico ministero della Procura di Agrigento, Cecilia Baravelli, ricevuta l'informativa dagli investigatori della polizia di Stato, che indicavano «gravi indizi di colpevolezza» a carico dei siriani, emanò subito un decreto di fermo. Uno dei due, dopo l'identificazione, era stato già trasferito a Pozzallo (dove è stato arrestato); l'altro era ancora a Lampedusa. Ma nonostante la loro posizione processuale, che sembra confliggere con quella contestata all'ex ministro dell'Interno (i due accusati dalla Procura di Agrigento di essere gli scafisti sarebbero stati sequestrati da Salvini), potranno intervenire all'udienza preliminare.
Alessia Pifferi (Ansa)
Cancellata l’aggravante dei futili motivi e concesse le attenuanti generiche ad Alessia Pifferi: condanna ridotta a soli 24 anni.
L’ergastolo? È passato di moda. Anche se una madre lascia morire di stenti la sua bambina di un anno e mezzo per andare a divertirsi. Lo ha gridato alla lettura della sentenza d’appello Viviana Pifferi, la prima accusatrice della sorella, Alessia Pifferi, che ieri ha schivato il carcere a vita. Di certo l’afflizione più grave, e che non l’abbandonerà finché campa, per Alessia Pifferi è se si è resa conto di quello che ha fatto: ha abbandonato la figlia di 18 mesi - a vederla nelle foto pare una bambola e il pensiero di ciò che le ha fatto la madre diventa insostenibile - lasciandola morire di fame e di sete straziata dalle piaghe del pannolino. Nel corso dei due processi - in quello di primo grado che si è svolto un anno fa la donna era stata condannata al carcere a vita - si è appurato che la bambina ha cercato di mangiare il pannolino prima di spirare.
Roberto Crepaldi
La toga progressista: «Voterò no, ma sono in disaccordo con il Comitato e i suoi slogan. Separare le carriere non mi scandalizza. Il rischio sono i pubblici ministeri fuori controllo. Serviva un Csm diviso in due sezioni».
È un giudice, lo anticipiamo ai lettori, contrario alla riforma della giustizia approvata definitivamente dal Parlamento e voluta dal governo, ma lo è per motivi diametralmente opposti rispetto ai numerosi pm che in questo periodo stanno gridando al golpe. Roberto Crepaldi ritiene, infatti, che l’unico rischio della legge sia quello di dare troppo potere ai pubblici ministeri.
Magistrato dal 2014 (è nato nel 1985), è giudice per le indagini preliminari a Milano dal 2019. Professore a contratto all’Università degli studi di Milano e docente in numerosi master, è stato componente della Giunta di Milano dell’Associazione nazionale magistrati dal 2023 al 2025, dove è stato eletto come indipendente nella lista delle toghe progressiste di Area.
Antonella Sberna (Totaleu)
Lo ha dichiarato la vicepresidente del Parlamento Ue Antonella Sberna, in un'intervista a margine dell'evento «Facing the Talent Gap, creating the conditions for every talent to shine», in occasione della Gender Equality Week svoltasi al Parlamento europeo di Bruxelles.
Ansa
Mirko Mussetti («Limes»): «Trump ha smosso le acque, ma lo status quo conviene a tutti».
Le parole del presidente statunitense su un possibile intervento militare in Nigeria in difesa dei cristiani perseguitati, convertiti a forza, rapiti e uccisi dai gruppi fondamentalisti islamici che agiscono nel Paese africano hanno riportato l’attenzione del mondo su un problema spesso dimenticato. Le persecuzioni dei cristiani In Nigeria e negli Stati del Sahel vanno avanti ormai da molti anni e, stando ai dati raccolti dall’Associazione Open Doors, tra ottobre 2023 e settembre 2024 sono stati uccisi 3.300 cristiani nelle province settentrionali e centrali nigeriane a causa della loro fede. Tra il 2011 e il 2021 ben 41.152 cristiani hanno perso la vita per motivi legati alla fede, in Africa centrale un cristiano ha una probabilità 6,5 volte maggiore di essere ucciso e 5,1 volte maggiore di essere rapito rispetto a un musulmano.






