2023-04-20
Caccia ai soldi buttati da Zingaretti: sequestrati i conti della Ecotech
Nicola Zingaretti (Imagoeconomica)
La Guardia di finanza ha bloccato i beni della società che doveva fornire alla Regione Lazio le mascherine mai consegnate. Un truffa da 14,68 milioni, dispersi tra Roma, Veneto e Toscana, attraverso Londra e Praga.Per la fornitura fantasma da 9,5 milioni di mascherine alla Protezione civile della Regione Lazio la Procura di Roma ha disposto ieri un sequestro preventivo «finalizzato alla conquista per equivalente» dei beni mobili e immobili intestati a Sergio Mondin, alla moglie Anna Perna, alla titolare della Giosar, Stefania Cazzaro, (o a «costoro direttamente o indirettamente riferibili») nonché alle società EcoTech srl e Giosar Ltd, che erano al centro dell’inchiesta, sino alla concorrenza della somma di 13.934.000 euro. I flussi finanziari analizzati dagli investigatori del Gico della Guardia di finanza hanno portato alla luce una girandola di trasferimenti bancari che la dicono lunga su come sia stata gestita l’emergenza pandemica in Lazio. Milioni di euro distribuiti a pioggia e senza controlli che si sono dispersi in mille rivoli finendo spesso all’estero nelle casse di società dalle attività poco chiare e talvolta guidate da personaggi con fedine penali non proprio immacolate. Le aziende coinvolte avevano assicurato la pronta disponibilità della merce, ma ne avevano consegnato al committente solo una minima parte. I contratti stipulati, quando ormai l’affare cominciava a puzzare, furono annullati in autotutela.Ma, successivamente, i responsabili della società, stando alle ipotesi dell’accusa, presentarono certificazioni tecniche, che poi si sono rivelate non genuine e polizze fideiussorie rilasciate da una società non abilitata, in modo da indurre di nuovo in errore l’Agenzia regionale, la quale dispose la novazione dei contratti. E, così, ieri gli indagati si sono ritrovati i finanzieri dietro la porta. L’indagine è quella coordinata dalla Procura di Roma sulla presunta frode in pubbliche forniture contestata ai titolari della Ecotech di Frascati, una società impegnata nel settore delle lampadine che nel marzo 2020 ha ricevuto dalla Regione Lazio un acconto da 14,68 milioni di euro (su un valore complessivo della fornitura di 35,8 milioni di euro). Disposto anche il sequestro del profitto del reato di riciclaggio e autoriciclaggio per un valore di 3.701.950 di sterline e 60.000 euro giacenti sui conti correnti intestati alla Giosar Ltd e Traffic group srl, valido anche per i conti correnti di Mondin, Perna, Cazzaro e di Pietro Dal Mas. Ancora per riciclaggio è stato disposto il sequestro di 2.145.600 di sterline presente sui conti correnti intestati a Dario Ruggeri o comunque presenti sui conti della Afin holding Ltd. Sempre per riciclaggio sono stati sequestrati 1.545.000 sterline sui conti intestati o nella disponibilità di Donato Ferrara, Donato e Giuseppe Rendina o comunque presenti sui conti correnti della Noleggio car Sro, con sede a Praga. Secondo quanto ricostruito nell’ottobre scorso dalla Verità la provvista di denaro arrivata dalla Giosar sui conti della società, che sulla carta si occuperebbe di demolizioni nel settore edile, è stata successivamente dirottata su alcune società ungheresi (1,3 milioni circa) con successivi prelevamenti in contanti in Italia da parte di Ferrara, su una bulgara (85.000 euro), e sul conto di Rendina (67.000). Con il nostro giornale, la Cazzaro aveva ricostruito che, nel tentativo di portare al termine la fornitura di mascherine per la Ecotech, una broker di Varese, F.Z., l’avrebbe messa in contatto con un presunto avvocato, Ennio D’Andrea, e questi, a sua volta, avrebbe fatto da «intermediario» con un imprenditore originario di Prato che viveva a Praga, un certo Antonio Ferrante, la persona che, a detta del legale, avrebbe avuto la disponibilità dei dispositivi di protezione. Una catena di Sant’Antonio che ha fallito miseramente la sua missione. Infatti, la Cazzaro ha inviato quasi subito 1,545 milioni di euro di anticipo alla Noleggio car Sro di Ferrante, ma dalla Repubblica ceca non è arrivata neppure una mascherina, ma solo un’offerta di dare a garanzia 79 autovetture della Noleggio car. Lunedì scorso La Verità ha svelato che Antonio Ferrante, detto Totò, in realtà non esiste, ma è proprio Ferrara, i cui precedenti parlano da soli. E sono moltissimi: negli anni Novanta è stato arrestato per furto d’auto, poi è stato indagato per associazione per delinquere, bancarotta fraudolenta, truffa, uso ed emissione di fatture per operazioni inesistenti, esibizione di false generalità, appropriazione indebita, contraffazione di targhe d’auto, falso ideologico, tentata estorsione, ricettazione. Nel 2010 è stato nuovamente arrestato, scarcerato dopo un anno e sottoposto all’obbligo di dimora. Nel 2016 è passata in giudicato una condanna per bancarotta. E ora si è trovato a essere, secondo l’accusa, uno snodo cruciale per il grande affare delle mascherine. Da subito gli imprenditori si sarebbero affannati a far sparire i fondi arrivati dalla Regione Lazio, come dimostra una segnalazione di operazione sospetta inviata dall’istituto di credito usato dagli indagati. Un primo importo da 4.740.000 euro sarebbe subito stati «distratto» e destinato, ha ricostruito la Guardia di finanza, «ad attività economiche ed imprenditoriali» e «non investito in attività dirette a ottenere la disponibilità delle forniture di dispositivi di protezione né in attività strumentali come il trasporto o lo sdoganamento». Le somme, ricostruisce l’accusa, sarebbero state girate ad altre società «in modo da renderne più difficile la tracciabilità». E mentre Mondin sentito a sommarie informazioni tentava di convincere gli investigatori della bontà dell’operazione, il Gico cominciava a riannodare il filo che collegava i vari spostamenti di denaro e che ha portato anche alle accuse di riciclaggio ed autoriciclaggio.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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