2021-07-30
Le tasse sono la nostra zavorra. Ma con l’Europa non si tagliano
Gli imprenditori italiani sono dei centometristi costretti a correre con i pesi. In termini di Pil sono nella top ten mondiale in un contesto da 35° posto (a causa di tasse e burocrazia). Attendere ancora potrebbe essere letaleL'economia italiana ha indubbiamente qualcosa che si avvicina al miracoloso. Naturalmente ci riferiamo all'economia reale, cioè quella delle imprese, del mercato e dei lavoratori, non all'economia pubblica, cioè quella fatta di tasse, indebitamento e spese. Se andiamo a vedere le classifiche dei risultati economici dei Paesi di tutto il mondo noi risultiamo essere sempre nelle prime dieci posizioni. Se poi andiamo a vedere le classifiche relative alla qualità dell'ambiente in cui lavorano le imprese (tasse, trasporti, infrastrutture, burocrazia) risultiamo dalla trentacinquesima posizione in giù. Capite bene che si tratta di una impresa titanica. Visto che siamo in tempo di Olimpiadi sarebbe come se ai 100 metri uno partisse con uno zaino di 30 chili sulle spalle, l'altro senza niente e, alla fine, vincesse quello con lo zaino in spalla. Questo è esattamente quello che succede all'economia italiana. Noi produciamo complessivamente un Pil che è tra i primi del mondo e concorriamo con Paesi che nella classifica sulle condizioni di lavoro delle imprese sono ai primi posti mentre noi - lo ripetiamo - siamo dal trentacinquesimo posto in giù. In tutto questo, poiché si sta ragionando di riforma fiscale in questi tempi, non fa naturalmente eccezione il peso fiscale misurato nella percentuale di tasse pagate in relazione al Pil stesso. Se si va a vedere una recente ricerca pubblicata dal sito statunitense Visual Capitalist, che mette a confronto i sistemi fiscali di 35 paesi dell'Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), scopriamo che quanto a peso delle tasse sul Pil siamo ben al sesto posto tra i Paesi che hanno il peso fiscale maggiore. Abbiamo davanti a noi solo l'Austria (42,4%), la Svezia (42,9%), il Belgio (42,9%), la Francia (45,4%) e la Danimarca (46,3%). Noi siamo al 42,4%. Dietro di noi tutti i Paesi dell'Est ma anche la Germania (38,8%), la Spagna (34,6%), l'Inghilterra (33%), Israele (30,5%), gli Stati Uniti (24,5%).Tanto per essere chiari, questi sono tutti soldi sottratti alle famiglie e alle imprese e quindi ai redditi e agli investimenti. In altre parole, sono soldi che circolano nel circuito dell'economia pubblica e non in quello dell'economia di mercato. Ora, se escludiamo la Danimarca, al primo posto con il 46,3%, nota insieme agli altri Paesi del Nord per un welfare molto costoso e onnipresente (basti pensare che in Danimarca l'università è libera per tutti i cittadini europei), è chiaro che anche in questo caso noi partiamo con uno svantaggio competitivo molto importante rispetto ad altri Paesi anche perché, essendo grandi esportatori, siamo stretti tra la tenaglia da una parte costituita dal fatto che dobbiamo mantenere prezzi concorrenziali e qualità alta, e dall'altra dal fatto che sulle imprese grava un carico fiscale che comunque da qualche parte devono a loro volta scaricare. In altri termini le imprese pagano molte tasse ma non possono permettersi di scaricarle sui prezzi, soprattutto quando esportano - ma lo stesso vale per il mercato interno - perché altrimenti i loro prodotti all'estero non sarebbero più competitivi. Eppure, anche in questa tenaglia riescono egregiamente a competere sul mercato e, molto spesso, a vincere. Il problema vero è che né in Europa né in Italia nessuno crede, pur ammettendolo solo a mezza bocca, che una diminuzione delle tasse porterebbe come effetto primario un aumento del Pil, quindi una diminuzione del debito pubblico, quindi una diminuzione dei circa 70 miliardi di euro che abbiamo pagato nel 2020 per il debito pubblico stesso. Imprese meno gravate dalle tasse e famiglie non soffocate dal carico fiscale, rispettivamente, investirebbero e produrrebbero di più le prime, consumerebbero e risparmierebbero di più le seconde. Ma questa che è una regola semplice e basilare dell'economia sembra non albergare nella testa dei politici e dei burocrati europei, nonché di quelli italiani. Infatti, ogni volta che si parla di un calo della pressione fiscale, come una campana che suona a morto, arriva puntuale come una cambiale il richiamo dell'Europa: se tagliate le tasse dovete diminuire le spese se no niente da fare, siete fuori dai parametri europei e siete un Paese a rischio per la stabilità finanziaria dell'Europa stessa. In questo caso le regole dell'Europa vengono fatte e applicate senza considerare le regole dell'economia e il peccato non è di quelli veniali, come ad esempio le corna, ma è di quelli mortali come, ad esempio, un omicidio, in questo caso, quello dell'economia reale.
Jose Mourinho (Getty Images)