2023-10-04
Tutte le debolezze della sentenza di Catania
Il tribunale ha fatto generici riferimenti alla Carta e alle direttive Ue, senza spiegare perché i trattenimenti non potevano essere eseguiti. Nemmeno il contrasto con le norme europee è dimostrato. E il Viminale potrebbe approfittarne nel ricorso.Pietro Dubolino, presidente di sezione a riposo della Corte di CassazioneNel festoso coro dei commenti della grande stampa alle note ordinanze del tribunale di Catania, con le quali è stata negata la convalida al trattenimento di alcuni migranti tunisini a Pozzallo, invano si cercherebbero adeguati chiarimenti circa lo specifico contenuto, tanto delle norme in base alle quali quei provvedimenti erano stati adottati, quanto delle argomentazioni addotte per sostenerne l’inapplicabilità. Ci si è, infatti, limitati a generici richiami alle garanzie costituzionali in materia di libertà personale e agli obblighi derivanti dalle direttive europee in materia di immigrazione, per sostenere, del tutto apoditticamente, che con le ordinanze in questione il tribunale altro non avrebbe fatto se non riconoscerne l’evidente e innegabile violazione. Ma le cose, in realtà, non sono così semplici. Senza voler anticipare quelle che potrebbero essere le argomentazioni a sostegno dell’eventuale impugnazione del Viminale, ci si può limitare ad alcune osservazioni, cominciando col dire che il trattenimento era stato disposto sulla base dell’art. 6 bis del decreto legislativo n.142/2015, introdotto con il cosiddetto «decreto Cutro». Esso dispone, per quanto qui interessa, che il migrante proveniente da un Paese ritenuto «sicuro» (come la Tunisia), il quale abbia presentato domanda di protezione internazionale e nei cui confronti sia stata disposta l’applicazione della procedura «accelerata» prevista dall’art. 28 bis del decreto legislativo n.25/2008, possa essere trattenuto in un centro, «al solo scopo di accertare il suo diritto a entrare nel territorio dello Stato», nel caso in cui «non abbia consegnato il passaporto o altro documento equipollente in corso di validità, ovvero non presti idonea garanzia finanziaria». E tali condizioni, per quanto è dato sapere, erano entrambe presenti nel caso di specie. A sostegno della mancata convalida il tribunale ha sostenuto che, essendo la detta norma in contrasto con alcune disposizioni delle direttive europee, il giudice italiano avrebbe dovuto disapplicarla, in forza di quanto stabilito dalla Consulta (sentenza n.389/1989), secondo cui le norme comunitarie prevalgono su quelle nazionali. Peccato però che tale principio riguardi solo le norme comunitarie «immediatamente applicabili» nell’ordinamento interno, fra le quali non rientrano, senza dubbio, le «direttive» europee, necessitando esse, per assumere efficacia, di essere trasfuse in appositi provvedimenti adottati da ogni singolo Stato. Ne deriva che la norma in questione non avrebbe potuto essere disapplicata ma, tutt’al più, avrebbe potuto essere oggetto di una questione di costituzionalità. Ma, in realtà, non sembra neppure potersi dire che l’ipotizzato contrasto con le direttive sia sussistente. L’art. 8 prevede, infatti, che il trattenimento possa essere disposto anche «per decidere sul diritto del richiedente di entrare nel territorio», come appunto si stabilisce nel contestato art.6 bis del decreto legislativo n.142/2015. E in base agli articoli 31, comma 8, lett. b), 33, comma 1, lett. c), e 43, comma 1, della direttiva n.32/2013, uno dei casi in cui è espressamente consentito il trattenimento è quello in cui la domanda di protezione internazionale sia presentata da soggetto proveniente da un Paese considerato «sicuro» e sia, pertanto, da dichiarare «inammissibile». Non è dato, quindi, comprendere in cosa esattamente consista la pretesa contrarietà della norma interna a tali disposizioni, essendosi il tribunale limitato a richiamare il principio per cui è da escludersi che la mera provenienza da un Paese «sicuro» possa automaticamente privarlo del «diritto a fare ingresso nel territorio italiano per richiedere protezione internazionale», quale sarebbe desumibile anche dall’art. 10 della Costituzione. Ora, a parte il fatto che tale ultima norma garantisce il diritto d’asilo solo allo straniero «al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche» - e non risulta affatto che, nel caso di specie, la richiesta di protezione internazionale sia stata fondata su tale motivazione - non si vede come e perché il suddetto principio debba considerarsi violato per il solo fatto che lo straniero, invece di essere lasciato libero di circolare, venga trattenuto in un centro, in attesa che la sua domanda venga esaminata. Quanto, poi, al fatto che il trattenimento sia stato disposto a causa della mancata prestazione dell’«idonea garanzia finanziaria» va anzitutto rilevato che analoga previsione era già espressamente contenuta nell’art. 8, comma 4, della citata direttiva europea. Non si comprende, quindi, quale sia il motivo dello scandalo in molti suscitato dalla sua introduzione nell’ordinamento italiano. E non si è scandalizzato, infatti, neppure il tribunale, il quale si è limitato a obiettare che la garanzia sarebbe illegittima solo perché, a suo avviso, stando alla formulazione della norma introdotta dal governo, «non si configura come misura alternativa al trattenimento», quale in effetti prevista dalla suddetta direttiva. Il che, però, non sembra trovare il benché minimo fondamento giacché, proprio stando alla formulazione della norma, secondo cui il trattenimento «può essere disposto qualora il richiedente», per quanto qui interessa, «non presti idonea garanzia finanziaria», appare chiaro che vi è, invece, una chiara alternativa offerta all’interessato tra il subire il trattenimento o l’evitarlo prestando la garanzia. Né si vede, inoltre, per quale ragione debba ritenersi - come pure affermato, in modo del tutto apodittico, dal tribunale - che le disposizioni dettate dall’art. 10 ter del Testo unico sull’immigrazione per il caso di stranieri soccorsi in mare impediscano l’applicazione dell’ormai familiare art. 8 della direttiva n. 33/2013. Le stesse, infatti, nel prevedere espressamente che lo straniero soccorso in mare e richiedente protezione internazionale possa essere trattenuto se rifiuta di sottoporsi ai rilievi dattiloscopici, non escludono affatto la possibilità che egli possa essere trattenuto anche quando ricorra taluna delle altre ipotesi genericamente previste per qualsiasi altro straniero comunque giunto a toccare il territorio dello Stato, ivi comprese, quindi, anche quelle di cui alla direttiva in discorso. Impossibile dire, ovviamente, se, sulla base di analoghe o diverse argomentazioni, sarebbe destinata al successo l’eventuale impugnazione del ministero dell’Interno avverso le ordinanze in questione. Quel che, però, dovrebbe apparire chiaro è che le stesse, contrariamente a quanto si è voluto far credere, appaiono tutt’altro che inattaccabili in diritto.
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