2022-03-27
Sempre più nazioni «non allineate». Il mondo è cambiato in fretta
Il multipolarismo è realtà: non si possono ignorare potenze come Cina e India, che non vogliono rompere con Mosca. In 41 non hanno votato la risoluzione Onu contro Vladimir Putin. Noi occidentali dobbiamo farci i conti.Uno dei grandi limiti dell’Occidente sta nel suo nome, in quest’idea di tramonto che è anche ripiegamento su sé stesso, tendenza a osservare le proprie viscere e a perdersi in esse.È il rischio che si corre anche in questi giorni, nel pieno del tumulto ucraino. Tutti, dalle nostre parti, sono molto concentrati sui dibattiti interni, sulle divisioni fra destra e sinistra, pro o contro Putin e via dicendo. Ci si entusiasma per la ritrovata «unità» dell’Europa, che a sua volta è soltanto apparente, poiché - almeno sui temi energetici - le prime crepe cominciano già a formarsi. Nel frattempo, purtroppo, si dimenticano alcuni elementi fondamentali, a partire dal fatto che - là fuori - esiste un intero mondo. Precisamente, esiste una fetta di globo che non nutre particolare simpatia per l’ordine euroatlantico che nelle ultime ore sfavilla di rinnovato vigore. E per un Francis Fukuyama che nuovamente s’infiamma sulle riviste americane intravvedendo una nuova lotta per la pace e la prosperità globale, ci sono decine di osservatori a cui la gestione statunitense della crisi russa non suscita entusiasmo. Forse, all’inizio o a metà degli anni Novanta, i malumori alla periferia dell’impero avrebbero potuto suscitare una preoccupazione ragionevolmente limitata. Ora, tuttavia, tocca prendere atto che lo scenario globale è piuttosto diverso: se non definitivamente multipolare, quasi. Gli Stati Uniti rimangono ancora la prima potenza militare mondiale, ma in questi decenni l’ascesa di «Stati-Civiltà» come Russia e Cina ha contribuito a disegnare un nuovo assetto. Ora, in un mondo multipolare la gestione dell’equilibrio non è semplice, ma può rivelarsi molto efficace e proficua per tanti. Più pericoloso è il pensiero - che pare attraversare la mente di qualcuno - di spingere perché si formino due blocchi contrapposti: quello euroatlantico e quello dei «cattivi» che non sventolano la bandiera della democrazia liberale. Complice la gestione spregiudicata e un po’ smargiassa del disastro ucraino da parte di Washington, pare che si stia tracciando esattamente questo impervio sentiero. Per comprendere quali siano i rischi, è molto indicativo dare uno sguardo a quanto accaduto negli ultimi tempi all’Onu. La risoluzione del 2 marzo che condannava l’invasione russa dell’Ucraina non è stata votata da 41 nazioni (tra contrarie e astenute). A parte Russia, Bielorussia, Corea del Nord, Eritrea e Siria che si sono opposte con decisione, tra i non allineati agli Usa troviamo innanzitutto la Cina e l’India. Poi una serie di Stati (membri dell’Opec ma non solo) esportatori di petrolio e gas. Il voto al Consiglio di sicurezza allargato dell’Onu sempre sul caso ucraino ha proposto uno scenario analogo. La Russia ha votato contro il testo approvato da Europa e Usa, e tra gli astenuti si sono collocati Cina, Emirati Arabi Uniti e India (la quale, per inciso, ha quadruplicato le sue importazioni di petrolio dalla Russia). Il Venezuela - che possiede le maggiori riserve di greggio al mondo - non ha votato e si è espresso in modo molto duro contro la linea americana. Come hanno notato esperti di valore, a non votare la risoluzione sono state nazioni che rappresentano circa il 44% della popolazione mondale e circa il 30% del Pil globale (contro il 10% della popolazione e il 25% del Pil). Come dice l’esperto cinese di geopolitica Zhu Jiejin della Fudan university, «le nazioni dell’Occidente a guida statunitense dovrebbero rendersi conto che molte fra la maggiori economie emergenti - ad esempio Brasile, Cina, India, Indonesia e Sudafrica - sono molto autosufficienti quando si tratta di dar forma alla propria strategia. E queste nazioni non prenderanno facilmente partito per gli Usa o la Russia in questa crisi. Prendono in considerazione un quadro globale più ampio, e agiscono per i propri interessi. E sanno che le cosiddette “sanzioni senza precedenti” non porteranno alla pace». Che un messaggio del genere arrivi da Pechino non è del tutto irrilevante. Mentre Joe Biden accusava Putin di essere un criminale di guerra, ad esempio, Xi Jinping parlava al telefono con il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa, mentre il suo ministro degli Esteri incontrava il suo omologo dell’Algeria (nazione che dovrebbe teoricamente tornarci utile per gli approvvigionamenti energetici) e un inviato cinese si trovava nel Corno d’Africa per confrontarsi con i leader locali. Ancora più interessante - come ben notava l’Economist - è il fatto che Bashar Al Assad, il presidente siriano, il 18 marzo scorso sia atterrato negli Emirati Arabi Uniti per un incontro con Muhammad bin Zayed di Abu Dhabi. In teoria, gli Emirati sono un alleato degli Stati Uniti. Ma allora perché incontrano Assad invece di continuare a trattarlo come un paria? E perché gli emiratini, così come i sauditi, non hanno risposto al telefono a Biden che li cercava nei giorni caldi del caos ucraino? Forse gli Emirati, come scrive l’Economist, sono un po’ «esasperati» dall’atteggiamento dell’America, che un po’ si atteggia a grande protettrice e un po’ si fa gli affari suoi. Tutti questi piccoli tasselli forse non significano nulla, o forse indicano che l’egemonia americana forse non è così granitica come qualcuno vorrebbe farci credere. E certe uscite un po’ scomposte del presidente americano potrebbero persino inasprire animi già non particolarmente dolci. Lo ha scritto chiaramente, sul Financial Times, Edward Luce. Mentre Israele in questi giorni si muove con grande cautela e mentalità aperta, il cosiddetto blocco occidentale continua a mostrare alcuni atteggiamenti che irritano molto il «resto del mondo»: «L’abituale tendenza a rivendicare la superiorità morale; la pretesa dell’universalità dei suoi valori; l’utilizzo delle sanzioni che suscitano risentimento in gran parte del mondo». La riflessioni di Luce e i dati che abbiamo elencato dovrebbero farci riflettere a fondo. Forse dovremmo prendere in considerazione la possibilità - per lo meno - di rimodulare i toni. E dovremmo iniziare a leggere gli eventi in una chiave multipolare. A molti piace pensare che la Russia sia «isolata». Ma forse, se l’Occidente alzasse gli occhi dal proprio ombelico, si renderebbe conto che il resto del pianeta non la vede esattamente così.