Seconda ondata? Macché, gli infetti sono crollati dell’86% in 4 mesi
- I dati smentiscono il clima di terrore: rispetto ad aprile anche i ricoverati sono in calo. E 3 contagiati su 4 sono asintomatici.
- In Nuova Zelanda urne chiuse. E in Australia minori a rischio quarantena forzata.
Lo speciale contiene due articoli.
«La politica deve dare una prospettiva e non aggiungere incertezza (nella comunicazione, ndr) a incertezza (quella indotta dalla pandemia, ndr)». Difficile non concordare con le parole prounciate ieri da Mario Draghi. Certo, con la salute la prudenza è d'obbligo. Ma l'allarmismo no: quello da inutile può diventare dannoso. Il consulente del Ministero della Salute Walter Ricciardi ad esempio ritiene «non scontata» la riapertura delle scuole. Gli diamo ragione, anche perché se si mette in quarantena un'intera classe al primo caso di positività riscontrata, ad esserne scontata è la richiusura. Non serve essere esperti di comitati tecnici scientifici per prevederlo; basta essere genitori. Poi, in preda all'incertezza quasi sempre si prendono scelte sbagliate come chiudere le imprese di un settore (ad esempio le discoteche) che già fanno fatica a sopravvivere. Le domande a cui dobbiamo rispondere sono quindi due: 1) il lockdown della movida è giustificato? 2) cosa fare qualora arrivasse una seconda ondata? Lasciamo prima parlare i numeri.
I contagi sono sotto controllo. Il numero degli infetti Covid a ieri è pari a 15.089. Il 20 aprile abbiamo registrato un picco di 108.047. Praticamente un crollo di oltre l'86%. Per quanto in aumento possano essere i contagi, di qui a suonare l'allarme rosso ce ne passa.
Gli ospedali respirano. I pazienti ricoverati in terapia intensiva sono 58, vale a dire l'1,4% del valore registrato il 3 aprile, momento di picco e massima emergenza; quelli in ospedale invece sono 843. Vale a dire grosso modo il 3% rispetto al valore di massima emergenza. Pure nei reparti la situazione è quindi sotto controllo, e c'è tutto il tempo di prepararsi a un eventuale peggioramento. Merito anche dei protocolli di cura, oggi esistenti e che invece non c'erano ad aprile.
Largo ai giovani. I numeri dell'Iss sono inequivocabili. I deceduti con Covid da settant'anni in su superano l'85%. Sono loro quindi a rischiare purtroppo l'osso del collo. E se alla fine di aprile erano 43.000 circa, oggi sono meno di 2.000. In pratica, mentre i contagiati da allora sono diminuiti di oltre l'86%, nel complesso il numero di coloro che sono veramente a rischio è crollato del 95%. Il tutto è «merito» del fatto che l'età media dei nuovi contagiati è molto più bassa rispetto a quello che si aveva qualche mese fa: 35 anni rispetto ai 65 fa, come peraltro confermato dal microbiologo Giorgio Palù dell'Università di Padova.
Che sintomi hanno? Tre contagiati su quattro, praticamente nessuno. Se si aggiungono quelli con sintomi lievi (tosse secca e febbre non alta), si arriva al 93% di un totale contagiati già sceso, e di molto. I pazienti critici sono invece il 7%. Ad aprile erano intorno al 20%-25% di un totale molto più alto. Un po' poco per suonare l'allarme rosso.
Focolai più che controllabili. Secondo l'Iss, il 40%-50% dei nuovi contagi si registra fra italiani che ritornano dall'estero o immigrati clandestini che entrano illegalmente nel nostro territorio. Niente di più semplice per mitigare la rischiosità di una situazione ad oggi sotto controllo: monitoraggio sistematico dei primi e chiusura dei porti. Due scelte per cui servono organizzazione e volontà politica.
Si tengono giustamente e temporaneamente segregati i 470 ospiti di un villaggio turistico alla Maddalena per un riscontrato caso di Covid in attesa dell'esito dei tamponi, ben sapendo che nel centro dell'accoglienza migranti di Treviso l'incidenza dei contagi è invece molto più alta: sette su 69 sui nuovi controlli di ieri. Ma tanto basta per far titolare a qualche agenzia «62 negativi su 69». Se un'incidenza superiore al 10% fosse riscontrata sull'intera popolazione italiana, allora si che conteremmo milioni di contagi.
Due conclusioni sorgono quindi spontanee: 1) non siamo, a oggi, in una situazione di emergenza tale da giustificare chiusure o provvedimenti che scoraggino le passeggiate sul lungomare a prendere il gelato, con ciò ulteriormente piagando un'economia già di per sé provata da chiusure indiscriminate che neppure il Comitato tecnico scientifico aveva mai proposto; però Giuseppe Conte se ne è preso la libertà, con i risultati che tutti vediamo; 2) qualora arrivasse davvero una seconda ondata, cosa che molti dentro alla maggioranza sembrano addirittura sperare, sono i pazienti più anziani a dover essere controllati, imponendo eventualmente a loro l'obbligo di non avvicinarsi ai più giovani, che invece dimostrano di avere gli anticorpi per difendersi. Su 35.000 morti col Covid, l'Iss ci dice infatti che i deceduti minorenni sono in tutto quattro. Numero che sale a venti se si arriva fino ai trent'anni e 86 fino ai quaranta. Non al giorno ma dall'inizio dell'epidemia. Quindi ad oggi non vi è nessun motivo di impaurire le persone, a meno che questo non sia veramente l'obiettivo ultimo per poter giustificare - ad esempio - l'adozione del Mes.
Visto che non è infatti attualmente possibile agitare la paura dello spread, dovendo la Bce per cause di forza maggiore fare il suo lavoro tenendo bassi i tassi di interesse, si fermano le discoteche oggi. E magari le elezioni domani?
Il modello che piace ai giallorossi: elezioni rinviate e scuole bunker
E chissà che l'Oceania non finisca per mostrare delle similitudini con il nostro Paese anche in riferimento al trattamento dei bambini sul fronte pandemico. Secondo quanto recita il Covid-19 Emergency response act 2020 dell'Australia meridionale, «un ufficiale autorizzato può […] rimuovere un bambino da qualsiasi locale, luogo, veicolo o nave fino al luogo di residenza del bambino o in un ospedale o in una struttura di quarantena, come il funzionario autorizzato ritiene opportuno (e può, così facendo, utilizzare tale forza secondo quanto ragionevolmente necessario)». Si tratta, a ben vedere, di qualcosa non poi così dissimile dal caso di cui ha trattato ieri su queste colonne Mario Giordano: il caso di un dirigente scolastico di un istituto lombardo che aveva stabilito come bambini eventualmente trovati con la temperatura superiore a 37,5 avrebbero dovuto essere prontamente isolati e consegnati all'autorità sanitaria, senza che i genitori avessero potuto prelevarli. Una disposizione successivamente revocata, a causa – ha dichiarato il dirigente – di «refusi».





