2019-03-01
Se vuole una chance, Zingaretti deve liquidare il Bullo dal Pd
Non so come finiranno domenica le primarie del Pd. Da quel che leggo e sento dire, a trionfare sarà il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, cioè uno che appartiene alla vecchia guardia. Del trio in corsa, il fratello del commissario Montalbano infatti è l'unico che arrivi dal Pci e non dalle succursali della sinistra.Roberto Giachetti ha un passato fra i radicali ed è approdato nel Pd solo per caso, cioè passando per la Margherita di Francesco Rutelli. Maurizio Martina, invece, è spuntato che il comunismo era già morto e sepolto sotto il crollo del muro di Berlino, e se la passione per il teatro non lo avesse lasciato ce lo ritroveremmo attore. Al contrario, Zingaretti può vantare un solido curriculum politico iniziato come segretario romano della Federazione giovanile comunista, un cursus honorum che ha contribuito a creargli quella fama di rispettabilità all'interno di un partito che non rispetta nessuno. Già, perché oggi il Pd somiglia all'ex Jugoslavia dopo la morte di Tito: tutti si odiano e tutti si scannano. La balcanizzazione sarà senza dubbio il primo problema di cui dovrà occuparsi Zingaretti se verrà eletto. A prescindere dalle ragioni e dai torti, l'uomo che prenderà la guida del partito dovrà riuscire a pacificare le correnti e soprattutto sarà chiamato a stabilire quale direzione dovrà imboccare il principale gruppo della sinistra. Infatti, da almeno un anno nessuno ha chiaro che cosa sia il Pd, e soprattutto dove voglia andare. Mentre Matteo Salvini ingrossava le sue fila, conquistando anche l'Italia del Sud, nel Pd discutevano sulla sconfitta. Anzi no: perché ogni volta che ci hanno provato, l'uomo responsabile della disfatta elettorale del 4 marzo, ossia Matteo Renzi, lo ha impedito. Per evitare che si oscurasse la sua fama, l'ex presidente del Consiglio ha oscurato la discussione. Una volta lo ha fatto concedendo un'intervista al primo quotidiano italiano, un'altra presentando un suo libro o annunciando una sua iniziativa: sta di fatto che ogni direzione o assemblea si è conclusa senza nulla di fatto, perché l'ex segretario ha occupato la scena, evitando che altri lo facessero al posto suo.Il risultato è che a distanza di un anno dal voto che regalò la guida del Paese a 5 stelle e Lega, ancora il Pd pare non avere riflettuto su che cosa abbia indotto gli elettori a voltare le spalle a Paolo Gentiloni e compagni. Ci sono stati errori, sottovalutazioni, scarsa capacità di comunicare? Nessuno può dirlo, perché nessuno ha mai aperto un serio dibattito sul punto, neppure ora che i candidati si confrontano in tv nel tentativo di convincere iscritti e simpatizzanti a votarli. Il fatto che non ci sia stato un serio approfondimento su quel che è accaduto spiega però una cosa, e cioè che se Nicola Zingaretti non vuole essere archiviato in fretta, una delle scelte che dovrà compiere una volta alla guida del Pd sarà liquidare Renzi. Serve infatti un taglio secco con il passato, uno sminamento del terreno, una disinfestazione degli ambienti. Senza quelli, senza cioè aver reso inoffensivo il suo principale antagonista, il governatore del Lazio non potrà fare nulla. Soprattutto, non potrà andare lontano.Renzi oggi è un leone ferito, un capo inferocito che non si rassegna a mollare la preda, ossia il suo partito. Per quanto neghi di voler tornare a Palazzo Chigi, nonostante dica di volersi dedicare ad altro, l'ex presidente del Consiglio ha il chiodo fisso di riprendersi il Pd e di conseguenza il governo. È lì che vuole arrivare, e per raggiungere lo scopo non ha nessuna intenzione di farsi intralciare da uno Zingaretti qualsiasi. Lui è pronto, se servirà, anche a fondare un nuovo movimento insieme con la sua guardia pretoriana.Ovvio, il Renzi di oggi non è quello del 2014. Se un tempo si poteva scrivere: non si muove foglia che Renzi non voglia, ora tutto è cambiato. Le sconfitte politiche prima, le vicende giudiziarie dei genitori poi (ieri vi è stato il secondo rinvio a giudizio per la madre, con l'accusa di concorso in bancarotta, quasi una risposta al figlio che chiedeva i processi), lo hanno messo all'angolo. L'ex segretario abbaia, passando da una trasmissione all'altra, ma non morde. E tuttavia, anche battuto e privato di gran parte della sua corte, Renzi rimane ancora l'unico vero nemico che il neosegretario dovrà temere. O chiude la sua stagione, archiviando il Rottamatore una volte per tutte, o prima o poi sarà lui ad essere rottamato.
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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