2019-06-25
I 5 stelle preparano il disastro dell’Ilva
(e del Paese)
Ho la sensazione che la storia dell'Ilva finirà nel peggiore dei modi, ossia con la chiusura dello stabilimento e gli investitori stranieri che se ne vanno a gambe levate. Sbaglio? Me lo auguro, perché l'esito negativo del rilancio della più grande acciaieria nazionale rappresenterebbe una mazzata per l'Italia.Anzi: un atto di autolesionismo. Infatti non solo segnerebbe la fine della siderurgia nel nostro Paese, ma lascerebbe 10.000 famiglie senza lavoro e ci costerebbe un punto e più di Pil, perché tanto vale l'acciaio che esce dagli altiforni pugliesi.Insomma, se salta l'Ilva, prepariamoci a una catastrofe. Ma non soltanto per i tarantini, che da decenni convivono con il colosso accusandolo di avvelenarli, ma anche per il resto del Paese che produce. Spegnere l'acciaieria significherebbe fare i conti con il crollo dei consumi energetici (come è noto i forni vanno alimentati e quelli dell'industria siderurgica sono energivori per definizione), costringere le imprese italiane a rifornirsi di acciaio all'estero, pagare una penale di qualche miliardo (c'è chi dice 5) ai nuovi padroni. Perché è ovvio che gli indiani di Arcelor Mittal, se fossero indotti a fare le valigie, non lo farebbero gratis, ma ci chiederebbero i danni. E che dire poi dell'immagine nazionale nei confronti degli investitori stranieri, i quali avrebbero la riprova che di noi non c'è da fidarsi, perché al momento opportuno cambiamo le carte in tavola.Per quanto molti non si appassionino alla vicenda di questo reperto di archeologia industriale arrivato fino ai giorni nostri (l'Ilva sorse agli inizi del Novecento, passando poi nelle mani dell'Iri e successivamente - fino a quando non venne espropriata - in quelle del gruppo Riva), temo purtroppo che presto vi sbatteranno la faccia. L'ultima grande fabbrica italiana, una delle poche a essere sopravvissuta alla crisi, rischia infatti di sparire e vi spiego perché.Credo che tutti ricordino l'inchiesta della Procura di Taranto del 2012. Un bel giorno, dopo che lo Stato aveva deciso di vendere l'Ilva al gruppo Riva, una razza lombarda di imprenditori che nel dopoguerra trasformò il ferro in oro, i magistrati arrestarono tutti, dirigenti e azionisti, accusando i nuovi proprietari di disastro ambientale per non avere fatto nulla per impedire la diffusione delle polveri e la morte degli abitanti dei quartieri annessi. Accuse da ergastolo, che portarono al sequestro non solo dell'impianto, con divieto di produrre, ma anche del patrimonio della famiglia Riva, sospettata di aver accumulato i soldi invece di investirli per rendere più salubre l'area intorno all'acciaieria. Ma spegnere un altoforno - come avrebbero voluto i pm - non è come spegnere l'aria condizionata, perché una volta che hai chiuso il rubinetto ne hai praticamente decretato la morte. Dunque tutti i governi che da allora si sono succeduti si sono dati da fare per impedire che la fabbrica chiudesse e mettesse sul lastrico 10.000 lavoratori. Dal 2012 a oggi è iniziata una lotta contro il tempo per salvare l'Ilva, ma allo stesso tempo salvare i polmoni dei tarantini.Una volta espropriata l'azienda ai loro legittimi proprietari, lo Stato l'ha messa sul mercato, cercando di trovare qualcuno che fosse disposto a ristrutturare l'acciaieria, bonificando l'area e mantenendo i posti di lavoro. Vista la fine fatta dai Riva, ovviamente non c'è stata la fila di gente pronta ad aprire il portafogli e a rischiare l'osso del collo per investire. Uno però si è fatto avanti ed è il gruppo Arcelor Mittal, ossia un gigante indiano che già opera nel settore e che insieme con un partner italiano, il gruppo Marcegaglia, ha deciso di metterci i soldi.Prima di prendersi la patata bollente, i paperoni di New Delhi hanno però chiesto di essere tutelati dai rischi di azioni penali. In pratica hanno preteso una sorta di manleva: noi investiamo, ma la magistratura non ci deve mettere i bastoni fra le ruote. Quella degli indiani non è una richiesta di impunità, ma una legittima difesa. Perché in materia di inquinamento si fa presto a finire dietro le sbarre e Arcelor Mittal voleva avere il tempo per fare gli investimenti richiesti dalle regole imposte dall'Aja su polveri e diossine senza che nessuno finisse in galera. Prima che fosse firmato il contratto, ovviamente tutti hanno detto sì all'ombrello giudiziario, ma poi, quando è scoppiato il caso e i comitati ambientali hanno protestato, Luigi Di Maio e compagni hanno rinculato, rifiutando di assicurare la protezione. Risultato, mentre i lavori per coprire il parco dei minerali sono già avanzati e si è spesa la bella cifra di 300 milioni, per un cavillo rischia di saltare tutto, posti di lavoro compresi. Agli indiani forse in fondo conviene, perché non rischiano e ci guadagnano pure: oltre alla causa per danni, infatti, hanno già acquisito il parco clienti dell'Ilva e se l'azienda chiude lo riforniranno con uno degli altri impianti che hanno in giro per il mondo. A noi italiani invece conviene accendere un cero a San Cataldo, il patrono di Taranto, perché se l'Ilva spegne i forni si spengono anche le nostre speranze di ripresa.
Attività all'aria aperta in Val di Fassa (Gaia Panozzo)
Gabriele D'Annunzio (Getty Images)
Lo spettacolo Gabriele d’Annunzio, una vita inimitabile, con Edoardo Sylos Labini e le musiche di Sergio Colicchio, ha debuttato su RaiPlay il 10 settembre e approda su RaiTre il 12, ripercorrendo le tappe della vita del Vate, tra arte, politica e passioni.
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