2022-09-10
Se lo chiede Lisbona, i tempi del Pnrr si possono rivedere. Da noi è un’eresia
Il governo portoghese vuole allungare le scadenze. E riceve il plauso di Paolo Gentiloni. Eppure in Italia il Piano resta intoccabile.Se volete che un’idea sia criticata e ostracizzata a Bruxelles, allora ditela in italiano: in particolare, specificate che l’ipotesi è sostenuta dalla destra italiana. Se invece volete che un’idea analoga sia presa in seria considerazione, ditela in portoghese: e soprattutto precisate che ad avanzarla è il governo socialista di Lisbona. Le reazioni cambieranno in modo spettacolare, come dal giorno alla notte.Tutto nasce dalla raffica di dichiarazioni, anzi di anatemi e scomuniche, scagliata da settimane contro la mera possibilità di discutere di una revisione del Pnrr, di un suo aggiornamento alla luce del mutato scenario europeo e mondiale. Già era discutibile di per sé un piano ultradirigista tutto centrato su green e digitale: ma, a maggior ragione dopo lo scoppio della crisi energetica, rimanere inchiodati a uno schema ormai superato dagli eventi parrebbe autolesionistico. Che si fa, si assiste inerti alla chiusura di una valanga di imprese, alla desertificazione di interi comparti produttivi, mentre si prosegue imperterriti con la realizzazione di opere a volte discutibili? O si fa finta di non sapere che i costi e i perimetri dei cantieri erano stati studiati con un’inflazione che era al 2%? Eppure, nonostante queste obiezioni di buon senso, fino a ieri c’era un muro invalicabile. Nemmeno l’evocazione dell’articolo 21 del regolamento istitutivo del fondo con cui è finanziato il Pnrr (articolo che prevede esplicitamente la possibilità di una revisione legata a «circostanze oggettive») sembrava smuovere i custodi dell’ortodossia. Ai quali - curiosamente - si era unito per primo lo stesso Mario Draghi, la primavera scorsa, in pieno Europarlamento: «Prima di parlare di modifiche del Pnrr, facciamolo funzionare. Non è vecchio, non è per niente vecchio». Ipse dixit. Deriva curiosa: proprio chi ama presentarsi come pragmatico, si mostra invece ideologico, perfino fossilizzato a difesa di una rigidità lontanissima dalla flessibilità richiesta dalla situazione presente. E invece? È bastato parlare in portoghese, con spiccato accento socialista, per determinare a Bruxelles tutt’altro atteggiamento. Il governo di sinistra di Lisbona ha infatti proposto di posticipare la data conclusiva per la realizzazione degli investimenti legati al Recovery fund: e ha formulato questa richiesta proprio con l’obiettivo di fronteggiare l’impennata dei costi. Il ministro delle Finanze portoghese, Fernando Medina, ha già inviato un memorandum sul tema alla Commissione europea. Primo effetto? Nessuna scomunica, nessun anatema, ma una netta apertura, ieri, per bocca del commissario italiano, Paolo Gentiloni, che ha definito la posizione lusitana «molto interessante». Dunque, ricapitoliamo. Fino a ieri, chiunque avesse evocato (in particolare da destra) la necessità di rivedere contenuti e cronoprogrammi era stato respinto a male parole, in nome di una difesa tetragona della tempistica stabilita (tutto entro il 2026) e dell’intangibilità del Pnrr. Ora che un governo socialista pone il problema, mettendo nero su bianco ciò che era evidente, e cioè che procedere secondo il calendario e la scaletta prefissati comporterebbe costi insostenibili, una delle massime personalità della Commissione, Gentiloni (esponente di quel Pd che in Italia attacca selvaggiamente chiunque osi chiedere una ridiscussione del Recovery plan), dice un primo mezzo sì, e aggiunge: «Ne ho discusso con il primo ministro, Antonio Costa».Del resto, sarà la realtà a imporsi. In termini di contenuti, proprio sulla Verità abbiamo già fatto osservare che sarà lunare assistere alla realizzazione di rotonde, oppure campi di padel, di tennis e di calcetto, mentre le aziende chiudono. Di più: a prescindere da ogni giudizio su ciascuna opera (su quelle effettivamente necessarie, importanti e strutturali, e invece su oggettivi sprechi e realizzazioni evitabilissime), l’impennata dei costi renderà tutto proibitivo. Non solo: l’inevitabile crescita esponenziale della domanda di alcune materie prime farà ulteriormente schizzare in alto i prezzi, versando altra benzina sulla fiamma (già di per sé non domata) dell’inflazione. Resta da capire se il memorandum portoghese avrà qualche effetto rispetto alla stesura, da parte di Ursula von der Leyen, di quel discorso sullo stato dell’Unione che la presidente della Commissione Ue pronuncerà tra qualche giorno. Sarebbe veramente paradossale, dopo il nulla di fatto dei vertici Ue di questi giorni sull’energia (con relativo rinvio a ottobre), se a questo stop facesse da pendant un no a qualunque rivisitazione del Recovery, sia sul lato dei progetti sia su quello della tempistica. Siamo sempre lì: alla presunzione fatale tipica dei dirigisti e dei costruttivisti, che pensano di poter plasmare la realtà, di modellarla secondo i propri schemi teorici, di procedere dall’alto verso il basso, anziché - con più umiltà - praticare il metodo induttivo, prendere atto delle cose e del loro mutare, e dunque procedere empiricamente e per approssimazioni successive. Su un altro piano, lo stesso Gentiloni ha anche riaperto un diverso dossier, quello relativo alla governance fiscale dell’Unione europea: «Il prossimo mese sarà il momento per la Commissione di mettere sul tavolo le proposte». Obiettivi dichiarati: «Avere stabilità finanziaria e sostenibilità del debito, ma allo stesso tempo mantenere un forte sostegno agli investimenti». Occorrerà vigilare: il rischio di un pilota automatico sempre più stringente, attraverso il famigerato Patto di stabilità (più o meno riformato), è sempre incombente.
Francesco Nicodemo (Imagoeconomica)
(Ansa)
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Carlo Nordio, Matteo Piantedosi, Alfredo Mantovano (Ansa)