Il Pd ha un problema. Anzi, a dire il vero, ne ha più d'uno, ma quello più urgente si chiama Enrico Letta, il quale, rinfrancato da un sondaggio che dà il Pd in risalita (uno solo, mentre tutte le altre rilevazioni lo danno inchiodato al 18 per cento, terzo dietro a Lega e Fratelli d'Italia), ormai si crede un gran leader, tanto da rilasciare interviste trionfanti, oltre ad apparire con frequenza in tv, dove riesce quasi sempre a deprimere gli ascolti.
Il Pd ha un problema. Anzi, a dire il vero, ne ha più d'uno, ma quello più urgente si chiama Enrico Letta, il quale, rinfrancato da un sondaggio che dà il Pd in risalita (uno solo, mentre tutte le altre rilevazioni lo danno inchiodato al 18 per cento, terzo dietro a Lega e Fratelli d'Italia), ormai si crede un gran leader, tanto da rilasciare interviste trionfanti, oltre ad apparire con frequenza in tv, dove riesce quasi sempre a deprimere gli ascolti. Invocato a gran voce per sostituire il dimissionario Nicola Zingaretti alla guida del partito, l'ex presidente del Consiglio doveva essere il pacificatore, l'uomo in grado di mettere ordine fra le correnti. Non solo: il mite Enrico avrebbe dovuto sviluppare il dialogo con le varie anime della sinistra, costruendo un ponte per predisporre un riavvicinamento e anche una futura alleanza in vista prima delle elezioni amministrative e poi di quelle politiche. Invece, niente di tutto ciò è accaduto, ma anzi le varie anime del Pd sono più di prima (se ne contano 11) e la linea sembra dettata da un marziano. Di fronte a un Paese piegato dal Covid, sia economicamente sia nello spirito, Letta si è presentato con proposte identitarie tipo ius soli, legge Zan contro la genderofobia, voto ai sedicenni. Il popolo della sinistra probabilmente condivide molte se non tutte queste battaglie, ma è difficile credere che le reputi le più importanti del momento. Eppure Letta, una volta rientrato dal suo esilio parigino, ha inanellato una serie di idee che sembrano più destinate agli elettori delle zone a traffico limitato, cioè dei quartieri chic, che a quelli delle periferie, a cui più realisticamente si dovrebbe rivolgere un partito che si dichiara di sinistra. Non bastasse tutto ciò, il leader voluto per acclamazione dei capi corrente del Pd ha lanciato la proposta di tassare i defunti, reintroducendo l'imposta sulle successioni e abbassando la quota delle esenzioni. Risultato, perfino un tipo come Mario Draghi, a cui le dichiarazioni dei politici che lo sostengono sembrano scivolare addosso come acqua fresca, si è sentito in dovere di rispondergli, dicendo che non è il momento di chiedere soldi agli italiani, ma semmai di darne. La replica secca del premier non è bastata tuttavia a silenziare il mite Letta, il quale forse in cerca di visibilità, ha insistito nel sostenere l'urgenza di una stangata sui patrimoni lasciati in eredità ai propri figli, rimanendo al contempo in silenzio su temi più stringenti, come le vaccinazioni e le misure per sostenere l'economia. Salvo poi recarsi a Taranto, dai lavoratori dell'Ilva, che certo non furono aiutati quando l'evanescente segretario era a Palazzo Chigi. Anche peggio è andata con le alleanze e con le candidature. Per quanto riguarda le prime, Letta si è messo a fare una corte serrata ai 5 stelle, in particolare coccolando Giuseppe Conte come non fa neppure Rocco Casalino. Risultato, è riuscito a irritare ancora di più gran parte del suo partito, che preferirebbe una certa equidistanza dai grillini, temendo che l'abbraccio si riveli mortale. È però sulle candidature in vista delle amministrative che il tenero Enrico ha realizzato il proprio capolavoro. A Roma non ha saputo trovare un accordo con Carlo Calenda, e avendo messo in campo Roberto Gualtieri per il Pd, nel caso l'ex ministro dell'economia non vada al ballottaggio, il rischio è di essere costretti a sostenere Virginia Raggi. A Napoli, invece, Letta non è stato capace di far ritirare Antonio Bassolino dalla corsa per la poltrona di Palazzo San Giacomo e così l'ex ministro Gaetano Manfredi se la dovrà vedere con l'ex sindaco, ma pure con i candidati sostenuti da Luigi De Magistris: una sfida che a sinistra vede in lizza ben quattro aspiranti contro l'ex pm anticamorra Catello Maresca per il centrodestra. Ma se nel capoluogo campano ha imposto Manfredi senza passare dalle primarie, a Torino invece gli è riuscito il capolavoro di fare il contrario. Infine c'è Bologna, dove l'uomo scelto dal Pd se la deve vedere con la donna voluta da Matteo Renzi, che a militanti e iscritti al partito piace più del candidato ufficiale, con il rischio dunque che mezzo Pd voti per l'avversaria. Tuttavia, il meglio di sé Letta lo ha dato in Calabria, regione in cui bisogna eleggere il governatore. Ai blocchi di partenza sembrava fatta con il consigliere Nicola Irto, ma poi una serie di mosse per allargare la coalizione hanno indotto il prescelto al passo indietro, con conseguente affannosa ricerca di un sostituto. Una settimana di discussioni e poi è arrivato il contrordine: riecco Irto. Ma all'ultimo, nuovo dietrofront: Irto si ritira e bisogna candidare qualcun altro. Insomma, l'andamento è a zig -zag, ma senza grandi risultati. L'unico ottenuto è stato quello di far arrabbiare quasi tutte le anime del Pd, tra cui i capigruppo in Parlamento, sostituiti in fretta e furia in nome delle quote rosa. Così, dopo appena tre mesi, c'è chi non vede l'ora di liberarsi del marziano, rispedendolo su Marte. Anzi, rimandandolo a Parigi con un biglietto di sola andata, sperando che almeno lì faccia meno danni.
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