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Dieci tappe per il cenone di San Silvestro, tra piatti di pesce, tradizione e ricette accessibili, dall’antipasto al dopo mezzanotte. In abbinamento, una guida ragionata ai migliori rosati italiani e agli Champagne per il brindisi.
Per Mezzanotte tutto deve esser compiuto. Si viaggia verso il cenone di San Silvestro (con replica per Capodanno) con in testa alcune ricette che non devono mancare mai. Così l’anguilla, e poi il salmone e ancora per chi intende strafare il caviale, come se nella tradizione gastronomica italica non ci fossero preparazioni ottime e anche economiche. Ecco allora qui dieci idee di piatti che si possono fare senza spendere un’ira d’iddio ma allestendo una tavola molto saporita e a tratti sorprendente.
Gli antipasti

CORONA DI RUSSA E TROTA SALMONATA
Ingredienti – 4 carote grosse, 4 patate egualmente grosse, 400 gr di pisellini surgelati, 400 gr di trota salmonata se optate per l’affumicato ne basta la metà) mezzo bicchierino di aceto bianco di vino, 300 gr di maionese, un abbondante ciuffo di finocchietto selvatico, una melagrana o del ribes (facoltativi) sale e ghiaccio qb.
Procedimento – Mondate e sbucciate carote e patate e riducetele a cubetti di non più di 4 millimetri di lato. Mette a bollire una capace pentola piena d’acqua salata e che acidulate con l’aceto. Cuocete le verdure mettendo quando l’acqua bolle prima le carote, dopo cinque minuti le patate e dopo un quarto d’ora i piselli. Intanto piastrate o passate in padella in questo caso aiutandovi con un po’ di brodo delle verdure per la cottura prima dalla parte senza pelle poi dall’altra la trota che salerete ben bene all’ultimo. Scolate le verdure, tenendo da parte l’acqua di cottura: è un’ ottima base per un brodo vegetale, in una ciotola colma di ghiaccio e fatele freddare bene bene. Nel frattempo tritate finemente il finocchietto selvatico. Fate a cubetti o sfilacciate il pesce. Scolate le verdure e aggiungete la trota, aggiustate di sale e ora aggiungete la maionese mescolando ben bene. Prendete uno stampo a corona e sistemate nel mezzo un bicchiere in modo che si formi appunto l’anello. Versate e comprimete bene nello stampo l’insalata russa alla trota salmonata. Togliete la cerniera e il bicchiere e ora cospargete la corona in superfice con il finocchietto selvatico decorando se piace con la melagrana o con il ribes.
CROCCANTE DELL’ORTO
Ingredienti – 300 gr di verza, due carote, una cipolla bianca o rossa ma di buone dimensioni, 4 cucchiai di Parmigiano Reggiano, Grana Padano o altro formaggio da grattugia, 8 dischi di carta di riso, un cucchiaio di erba cipollina essiccata, olio extravergine di oliva, sale, pepe e salsa di soia qb.
Procedimento – Mondate le verdure poi fatele alla julienne o passatele al tritatutto senza però sbriciolarle. In una terrina mescolate tutte le verdure, il formaggio, l’erba cipollina, aggiustate di sale e di pepe. Ora prendete una padella antiaderente scaldatela bene, ungetela con l’olio extravergine. Inumidite i fogli di carta riso e mettetene quattro in padella ricopriteli con il mix di verdure e formaggio, poi sistemate sopra gli altri quattro dischetti sempre inumiditi e sigillate a mo’ di tortellone. Fate andare a fiamma delicata per 4 minuti, poi rigirate. Quando i croccantini hanno preso colore da entrambi i lati sistemateli in un piatto di portata e servire con salsa di soia.
CROCCHETTE DI BACCALÀ
Ingredienti – 500 gr di baccalà già ammollato, 500 gr di patate a pasta gialla, un mazzetto di prezzemolo, 4 uova, 200 gr di farina 00, 200 gr di pangrattato, mezza scamorza bianca, un litro di olio per friggere, tre cucchiai di olio extravergine, due spicchi d’aglio, sale e pepe qb.
Procedimento – Lavate le patate fatele lessare in abbondante acqua non salata. Nel frattempo mondate dalle lische e dalla pelle i filetti di baccalà e riduceteli a dadolata piuttosto fine. In una padella scaldate l’olio extravergine con i due spicchi d’aglio che eliminerete quando saranno dorati. Saltate per 5 o 6 minuti in padella il baccalà aggiustando di pepe. Fate a dadini piccoli la scamorza e tritate finemente il prezzemolo. Scolate le patate e ancora caldissime con lo schiaccia patate fatele cadere in una ciotola capiente. Unite il baccalà che avrete cura di sfibrare con una forchetta. Amalgamate il tutto, lasciate intiepidire, aggiungete il prezzemolo e l’uovo. Mescolate in modo da ottenere un impasto ben fermo. Ora con le mani fate delle crocchette prendendo un po’ d’impasto alla volta e mettendo al centro di ogni crocchetta alcuni cubetti di scamorza. Passate ogni crocchetta nella farina, poi nelle altre uova che avrete nel frattempo sbattuto aggiungendo un pizzico di sale, nel pangrattato, di nuovo nell’uovo e in ultimo ancora nel pangrattato. Ripetete l’operazione per ogni singola crocchetta. Ora scaldate l’olio per friggere in un’ampia padella - meglio se di ferro - e friggete le crocchette poche per volta. Devono avere un bel colore leggermente ambrato. Aggiustate di sale se necessario e servite. Potete anche cuocerle in forno: vi servirà una mezz’ora circa a 180 gradi. Ma fritte sono un’altra cosa!
I primi piatti

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I FUSILLI DEL PESCATORE
Ingredienti – 360 gr di fusilli o pasta corta da grano italiano (noi abbiamo usato quella di grano saragolla), 16 mazzancolle, 400 gr di cozze freschissime, due spicchi d’aglio, mezzo peperoncino fresco (oppure uno secco) 4 cucchiai di olio extravergine di oliva, un cucchiaio di concentrato di pomodoro, un generoso ciuffo di prezzemolo, sale qb.
Procedimento – Per prima cosa mondate le cozze, raschiatele e fatele aprire in una pentola coperta, con pochissima acqua e a fuoco moderato. Togliete alle mazzancolle i baffi e le zampette anteriori. Mettete a bollire una pentola con abbondante acqua salata per cuocere la pasta. In una padella molto capiente fate scaldare tre cucchiai di olio extravergine di oliva con i due spicchi d’aglio e il peperoncino. Quando l’aglio è dorato eliminatelo insieme al peperoncino. Fate cuocere la pasta. Mettete in padella le mazzancolle e il concentrato di pomodoro che avrete cura di sciogliere usando uno o due cucchiai di acqua di cottura delle cozze. Appena le mazzancolle prendono colore aggiungete le cozze (se volete potete sgusciarne alcune). Scolate la pasta ben al dente e tiratela in padella a cottura con il sugo di cozze e mazzancolle aggiustando se serve di sale. Tritate finemente il prezzemolo, lucidate la pasta con il restante extravergine a crudo e guarnite con il trito di prezzemolo ogni porzione.
PACCHERI CECI E POLPO
Ingredienti – 360 gr di paccheri da grano duro italiano 350 gr di polpo, 350 gr di ceci prelessati, due spicchi d’aglio, due foglie di alloro, un peperoncino, un ciuffo abbondante di prezzemolo, olio extravergine di oliva meglio se da miscela classica toscana frantoio leccino, moraiolo almeno 6 cucchiai, sale qb.
Procedimento – Nettate bene il polpo poi tagliatelo a pezzetti e passatelo al mixer sì da ottenere una sorta di battuto fine di polpo. In una padella ampia scaldate l’extravergine con l’aglio, l’alloro e il peperoncino. Quando l’aglio è dorato aggiungete il polpo, incoperchiate e andate avanti a fiamma dolce. Vedrete che il polpo rilascerà molta acqua fatela assorbire piano piano. Ora mettete a bollire in una pentola l’acqua per cuocere i paccheri. Mette poco sale perché il polpo è saporito di suo. Quando il polpo comincia a ritirare la sua acqua aggiungete in padella due terzi dei ceci. L’altro terzo frullatelo con il mixer a immersione aiutandovi con un po’ di acqua di cottura del polpo e un cucchiaio di olio extravergine e frullate a crema. Mettete a lessare i paccheri. Quando sono cotti al dente scolateli, ritirate dalla padella aglio, peperoncino e alloro e aggiungete la pasta e la crema di ceci. Tritate finemente il prezzemolo. Saltate mantecando magari aggiungendo ancora un po’ di extravergine e aggiustando di sale, guarnite col prezzemolo e servite.
RISOTTO DI CAPODANNO
Ingredienti – 360 gr di riso italiano Carnaroli, o Arborio o Vialone Nano, una cipolla, una carota, una costa di sedano, un pomodorino, due belle melegrane, due porri per circa 200 gr, 180 gr di Parmigiano Reggiano o Grana Padana grattugiato, 180 gr di burro salato, un bicchiere di vino rosato (noi abbiamo usato lo spumante), 2 cucchiai di olio extravergine di oliva, sale e pepe qb.
Procedimento – Per prima cosa preparate un brodo vegetale con carota, pomodorino, mezza cipolla, sedano e le parti verdi dei porri ben lavate che metterete a freddo in una pentola colma d’acqua. Ora sgranate le melegrane e tenete da parte i chicchi. In un padellino stufate i porri tagliati a rondelle fini in 50 gr di burro, olio extravergine e portateli a cottura aiutandovi con un po’ di brodo vegetale. Cotti che siano i porri frullateli aggiustando di sale e pepe con un paio di cucchiai di formaggio grattugiato e tenete la cremina di porro a parte Ora in una pentola fate soffriggere in 3 quarti del burro rimasto la cipolla fino a farla diventare trasparente, tostate in questa pentola il riso e poi bagnate con il vino rosato facendo sfumare tutto l’alcol. Aggiungete la cremina di porro e continuate la cottura del riso aggiungendo a poco a poco il brodo vegetale. Frullate tre quarti dei chicchi di melagrana (tenetene da parte un po’ per guarnizione) poi passateli al colino cinese in modo da estrarre il succo che aggiungerete mano a mano al riso. Assaggiate per evitare di aggiungere troppo suco e che il riso sia troppo aspro. Quando il riso è quasi cotto aggiustate di sale e pepe, togliete dal fuoco e mantecate per un minuto almeno col burro rimasto e tutto il formaggio residuo. Servite guarnendo con i chicchi di melagrana.
I secondi

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PESCATRICE AL TARTUFO
Ingredienti – Una rana pescatrice (o coda di rospo) di 1 kg, un tartufo nero pregiato da 40 gr, 4 o 5 foglioline di salvia, 6 cucchiai di farina tipo 1, 100 gr di burro di primo affioramento (noi abbiamo usato del burro al tartufo, ma è un per di più) sale e pepe qb.
Procedimento – Pulite, eviscerate la rana pescatrice e staccate dalla testa (tenetela da parte è ottima per fare il fumetto di pesce per un risotto!) il corpo che farete a tranci di circa 6/8 millimetri di spessore. Nel frattempo mondate bene il tartufo con l’aiuto di uno spazzolino duro e poi di un panno inumidito. Scaldate in una padella il burro con le foglie di salvia sì da aromatizzarlo. Quando il burro è fuso – ma non deve diventare nocciola – infarinate bene i tranci di pesce e fateli cuocere da tutti i lati in padella. Aggiustate di sale e generoso pepe. A un minuto dalla cottura slamellate senza risparmio il tartufo sul pesce. Fate prendere appena un po’ di calore, impiattate aggiungendo altro tartufo e servite.
FILETTI DI NASELLO
Ingredienti – 1 kg di Naselli freschissimi che sarebbe meglio farsi sfilettare dal pescivendolo, 400 gr di pomodori ciliegini, 100 gr di olive taggiasche, un mazzetto di erba cipollina e un mazzetto di maggiorana, due spicchi di aglio (facoltativi) un peperoncino fresco o del pepe, sale, mezzo bicchiere di vino bianco secco, 4 cucchiai di olio extravergine di oliva. Se volete alcune fette di pane raffermo da bruschettare.
Preparazione – Eviscerate, squamate e togliete le spine ai pesci e ricavatene dei filetti (tutte operazioni che potete far fare in pescheria) che avrete cura di mondare ben bene dalle lische e di sciacquare sotto acqua corrente. Ora tritate finemente le erbe aromatiche. Tagliate in due i pomodorini. In una capace padella scaldate l’olio extravergine con le erbe aromatiche e se volete anche con due spicchi d’aglio. Andate a fuoco dolce per non friggere le erbe. Eliminate l’aglio quando è dorato e aggiungete i pomodori aggiustando di sale e pepe o peperoncino. Fate stufare i pomodorini per 6 o 7 minuti, aggiungete i filetti di pesce dalla parte della pelle, innaffiate col vino e fate sfumare a fuco vivace. Coprite e fate cuocere 5 minuti. Girate i pesci aggiungete le olive taggiasche e fate cuocere per altri 5 minuti. In ultimo se serve aggiustate ancora di sale e pepe e servite. Se volete potete fare delle bruschette con le fette di pane leggermente agliate depositarle sul fondo del piatto e servire il pesce con i pomodori e il sughetto adagiato sul pane.
IL PESCE NELL’ORTO
Ingredienti – 1,2 kg di pesce bianco (spigola, orata, san pietro, coda di rospo, merluzzo, passera a vostro piacimento) 4 patate, 3 carote, due cipolle, 200 gr di olive verdi e nere, un mazzetto di prezzemolo, 150 gr di olio extravergine di oliva, sale e pepe qb.
Procedimento – Mondate il pesce lavatelo e lasciatelo da parte. Mondate le verdure, lavatele e con l’aiuto della mandolina fatele a fette sottilissime. Tritate finemente il prezzemolo. Pre-riscaldate a 180° il forno. In una capace ciotola condite le verdure con ¾ dell’extravergine, sale e pepe. Mescolate bene. Ora prendete una placca da forno e ricopritela con carta forno. Sistemate sulla placca uno strato di verdure, su queste adagiate il pesce. Salatelo e pepatelo leggermente e lascate cadere una “pioggia” di prezzemolo. Ricoprite il pesce irrorando di extravergine con le verdure rimaste. Infornate e cuocete per circa mezz’ora.
Per la tradizione

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COTECHINO IN CROSTA
Ingredienti – Un cotechino (prendete i precotti altrimenti mettete in conto due ore di bollitura), 250 gr di cavolo cappuccio, una cipolla bianca, 3 cucchiai di olio extravergine di oliva, una confezione di pasta sfoglia, un uovo, un cucchiaio di semi di papavero o sesamo, un mezzo bicchiere di vino bianco (facoltativo) sale e pepe qb.
Preparazione – Mettete a cuocere il cotechino in abbondante acqua. Fate a striscioline sottili il cavolo cappuccio, tritate finemente la cipolla che farete imbiondire in padella in olio extravergine di oliva. Appena la cipolla ha preso colore saltate in padella il cavolo cappuccio e fate stufare. Sfumate col vino bianco oppure aggiungete un po’ d’acqua e fate ammorbidire bene il cavolo cappuccio. A cottura aggiustate di pepe e di sale. Fate freddare. Scolate il cotechino (se è precotto cuocerà nei medesimi 20 minuti che servono a stufare il cavolo) e fate freddare. Stendete su una placca da forno ricoperta di carta forno la pasta sfoglia. Sbattete il rosso dell’uovo. Ora sistemate su metà della carta forno il cavolo e adagiatevi sopra il cotechino. Ricoprite a portafoglio con la pasta sfoglia, sigillate bene e pennellate con il rosso d’uovo guarnendo con i semi o di papavero o di sesamo. Andate in forno per una ventina di minuti a 180 gradi.
LENTICCHIE IN TEGAME
Ingredienti – 220 gr di lenticchie secche, 1 cipolla rossa, una carota, una costa di sedano, 2 foglie di alloro e uno spicchio d’aglio, 250 gr di passata di pomodoro, 4 cucchiai di olio extravergine di oliva un peperoncino (se piace) oppure pepe nero, sale qb
Procedimento – Mettete in ammollo le lenticchie in acqua fredda per un paio d’ore, scolatele e lessatele in acqua salata con le foglie di alloro. In un tegame scaldate con l’aglio e il peperoncino l’olio extravergine di oliva, quando l’aglio ha preso colore eliminatelo e aggiungete il trito fine di verdure. Fate prendere colore, ora aggiungete le lenticchie scolate, fate insaporire, aggiustate di sale e (se non avete messo il peperoncino) di pepe e aggiungete la salsa di pomodoro. Cuocete per circa 10 minuti.
Dopo la mezzanotte

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LINGUINE FREDDE ALLA PUTTANESCA
Ingredienti – Due pomodori San Marzano, 4 pomodori ciliegini, 4 datterini e 4 pendolini, 8 filettini di acciughe, due pugni di capperi sotto sale, 12 olive nere al forno o 24 taggiasche denocciolate, 8 foglie di basilico e 4 rametti di timo, almeno 100 ml di olio extravergine di oliva, 360 gr di linguine di grano italiano, sale e pepe qb.
Procedimento – Mentre aspettate che l’acqua, salata senza eccedere, dove cuocere le linguine prenda il bollore pulite i diversi pomodori e fateli a dadolata grossolana. Mettete a dissalare i capperi sotto acqua corrente. Lessate la pasta e nel frattempo denocciolate le olive e tritatele grossolanamente insieme ai filetti di acciughe. In una zuppiera capace di contenere tutta la pasta condite i pomodori con generoso olio extravergine di oliva aggiungendo le olive, i capperi, le acciughe, aggiustate di sale e pepe. Scolate la pasta e mantecatela in questa insalata di pomodori aggiungendo le foglie di basilico sminuzzate e il timo. Servite con un giro di olio extravergine a crudo.
TORTINI DI PATATE E CALAMARI
Ingredienti – 400 gr di patate, 800 gr di calamari, tre uova, 60 gr di pangrattato, un abbondante ciuffo di prezzemolo, uno spicchio d’aglio, 8 cucchiai di olio extravergine di oliva, sale e pepe qb.
Procedimento – Lessate le patate (potete farlo anche sbucciandole) e nel frattempo frullate nel mixer i calamari con il prezzemolo e l’aglio (facoltativo). In una bastardella unite calamari e patate schiacciate, salate e pepate e impastate in modo da ottenere una massa omogenea. Sbattete le uova. Con le mani formate delle polpette, non troppo generose di dimensioni per favorirne una completa cottura, con l’impasto di calamari e patate e passatele prima nell’uovo poi nel pangrattato ancora nell’uovo e ancora una volta nel pangrattato. Ora scaldate l’olio extravergine in una capace padella e cuocete a fuoco moderato le polpette in modo che si formi una consistente crosticina dorata girandole spesso da ogni lato. Aggiustate di sale e servite.
PLUMCAKE DI MELE
Ingredienti – 6 mele sode (noi abbiamo scelto quelle di montagna di Camerino), 100 gr di farina 00, 80 gr di zucchero semolato, 40 ml di olio di semi di girasole alto oleico, 120 ml di latte, 2 uova, un limone non trattato, una bustina di lievito per dolci, tre cucchiai di zucchero a velo, mezzo bicchierino di liquore alla mela (facoltativo), 4 o 5 noci sgusciate (facoltative)
Procedimento – Sbucciate e private del torsolo le mele, affettatele finemente con una mandolina. Sbattete le uova e aggiungete l’olio e il latte mescolando bene. Ora in una grande ciotola riunite tutte le polveri, zucchero a velo escluso. Mescolate bene poi incorporate i liquidi e infine le fettine di mela che avrete aromatizzato con il liquore alla mela (così evitate anche che si si ossidino). Se volete tritate finemente le noci e aggiungetele all’impasto. Sistemate l’impasto in uno stampo da plumcake, fate un’abbondante grattugiata di scorza di limone e infornate a forno statico a 190 gradi (180 se ventilato) per circa 20 minuti. Sfornate, lasciate intiepidire, spolverate con lo zucchero a velo e servite con panna montata o gelato alla vaniglia.
Un fiocco rosa alla cantina

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Sam Silvestro è il momento delle promesse d’amore, degli intenti di rinascita. E dunque appendiamo un fiocco rosa alla cantina e lanciamoci alla degustazione di un patrimonio di vini davvero unico che l’Italia vanta. I soliti francesi cercano di farci sentire in minorità colturale esaltando, i pur ottini, rosati di Provenza che vengono estratti con la tecnica a lacrima; si tratta di prendere le uve rosse, pressarle molto poco facendo percolare il mosto in modo che il contatto con le bucce sia limitato. Noi lavoriamo più spesso per macerazione rapidissima. Il fatto è che loro contano su Pinot Noir, Gamay, Grenache e poco d’atro per avere i rosati. Noi abbiamo una infinitò di declinazioni di vitigni autoctoni che ci consentono infinite variazioni sul tema. Il menù della fine dell’anno dovrebbe prevedere piatti di pesce e di carne e il rosato è un ottimo compromesso per accompagnare entrambi (a meno che non serviate cacciagione o carne in griglia) infine in rosa si trova dallo spumante al dessert tutto quello che ci serve. Le proposte qui citate sono solo suggerimenti potete spaziare dove e come volete, ma ho provato una selezione che spero sia soddisfacente. Tutto in rosa anche per il brindisi finale che deve essere lontano dai dolci e deve incarnare con la scelta di bottiglie di alto lignaggio il smel in anno.
Per cominciare – Partiamo con dei vini che spumano. Allora ecco un ottimo Valdobbiadene DOCG rosato che ci arriva da Canevel, sempre tra gli charmat con un’intonazione secca viene dalla Calle d’Aosta il Magie, rosato spumante di Caves de Donnas. Volendo andare su un metodo classico dall’Oltrepò il massimo è senza dubbio il rosato di Monsupello e sempre dalla Lombardia, ma stiamo sul Garda, ecco il Vezzola rosè di Costaripa, scendo in Puglia il Rosè di d’Araprì è veramente ottino e in Sicilia c’è il Brut Rosè di Donnafugata. Aurea Gran Rosè e Remole Rosè di Frescobaldi rendono onore alla Toscana mentre nelle Marche il Rose di Angiolina Velenosi è perfetto. Se volete strafare l’Extrabrut Rosè di Maso Martis oppure buonissimo è il Rosè Brut di Mosnel. Ottima la declinazione in jeans della Franciacorta del rosato di Contadi Castaldi.
Per seguitare – Qui si va verso i vini fermi. Cominciamo con il Rose di Masi che tiene altissimo il vessillo del Veneto. Il Traccia di Rosa di Matilde Poggi è il massimo tra i Bardolino Chiaretto (tutti ottimi). Dai colli orientali del Friuli il Rosé di Livio Felluga è commovente, il Lagrein Rosa di Hofstatter ottima espressione altoateisna. Sfumature di Rosa di Gajaudo parla ligure, eccelso è l’Occhio di Gallo di Villa Forano, un atelier del vino marchigiano con racconto di Lacrima, Sangiovese e Montepulciano. Sempre nelle Marche il Didì de Il Pollenza è superlativo, anche spumante e Garofoli a due passi dal Conero offre infatti il Rosè Brut spumante ma soprattutto il Komoraso da Montepulciano in rosa.
Per la struttura – Cominciamo con i due rosati abruzzesi di maggiore espressività: quello di Pepe e quello di Valentini. Sono bottiglie di altissimo pregio. Sulla dorsale adriatica arriviamo in Puglia e qui il rosato ha patria di elezione. Immancabile è il Five Roses di Leone de Castris, un monumento ai vini in rosa. Ottimo il Flarò di Vespa Vignaioli, impeccabile nonostante la cospicua tiratura il Kreos di Castello Monaci, incantevole l’EstRosa di Pietraventosa. In Sicilia applausi a scena aperta per il Rosato in accoppiata Donnafugata per Dolce&Gabbana, Ottimo il Ramusa Tenuta Ficuzza 2022 di Cusumano. Notevole l’Erse Rosato di Tenuta di Fessina. Il Rosè Rogito delle Cantine del Notaio (Basilicata, c’è anche spumante) è meraviglioso, così come in gran conto va tenuto Il Pescanera d’Ippolito in Calabria. Il Costa d’Amalfi di Marisa Cuomo nella versione in rosa è affascinante. Impeccabile il Rosato Soré (Lazio Famiglia Cotarella) mentre in Umbria debutta felicemente anche tra i rosati Marco Caprai con il Puntabella, gamay del Trasimeno. Arriviamo alla Toscana che è diventata, soprattutto in Maremma, la terra promessa dei rosati. Si parte col Fioreviola di Fiorella Lenzi, poi ecco Belvento di Petra e sempre dalla famiglia Moretti l’Acquagiusta della tenuta La Badiola. Si risale a Bolgheri con lo Scalabrone di Antinori e sempre in zona Bolgheri ecco il Sof Rosè di Lodovico Wine e il Rissoa di Campo di Sasso. Dall zona etrisca l’A di Antinori a base di aleatico vi sorpenderà. In Chianti Classico ecco il Rosato di Castello di Cacchiano. Dalla Sardegna una chicca assoluta: il Tre Torri di Cantina di Santadi da uve Carignano. L’Alghero Rosato di Sella & Mosca è un fiore di mare. Un discorso a parte meritano i Lambrusco. Quando arriva lo zampone o il cotechino la scena è tutta loro. Si parte col Radice di Paltrinieri (Sorbara) si aggiunge il Cadelvento di Venturini Baldini, si arriva a il Bruno e le Rose di Ceci, e si chiude col Rosè del Cristo di Cavicchioli.
Il dessert – Il primo che viene in mente è il Brachetto d’Acqui di Braida-Giacomo Bologna. Poi il Moscato Rosa di Franz Hass e quello di Marco Donati. Il Fiori di Rosa di Villa Oppi è un ottimo rosato da dessert. La Malvasia Rosè spumante di Cantine Povero può essere un sfizio dolce, come Elena di Cabanon che è uno spumante dolce da Moscato Rosa.
Fuochi d’artificio – Per il brindisi finale adottiamo un grande spumante italiano. Sono tantissimi tutti ottimi. Mi limito ai cinque tenori. Partiamo con Enrico Serafino Oudeis Rosè millesimato 2020, di classe superiore la Cuvé Anna Maria Clementi in Rosa di Cà del Bosco e restando in Franciacorta il Millesimato Rosè di Bellavista, inarrivabile il Giulio Ferrari Riserva Rosè (famiglia Lunelli) esaltante il Monsieur Martis rosè millesimato di Maso Martis.
E volendo Champagne – Almeno per la notte di San Silvestro cerchiamo di non essere del tutto sciovinisti. Ci sono alcuni Champagne (fra parentesi gli importatori) che vale la pena di approfondire. Partiamo con Pol Roger Rosé Vintage, seguitiamo con Blason Rosé di Perrier-Jouet (Antinori), col Grand Rosè di Gosset (Gaja), degustiamo il Grand Cru Rosé Brut di Paul Dethne (Cà di Rajo) per finire con Rosé de Saignèe di Geoffroy (Compagnia del Vino)
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2025-12-29
Il Brasile di Lula è stretto tra i dazi punitivi di Trump e gli aiuti interessati di Xi
Donald Trump e Xi (Ansa)
Il presidente ha aumentato i consensi dopo le tariffe Usa. Ma mezzo Paese pensa che il predecessore Bolsonaro, in carcere per tentato golpe, sia un perseguitato politico.
Mentre il Sudamerica abbraccia il libero mercato con le vittorie elettorali di Javier Milei in Argentina, Rodrigo Paz in Bolivia e José Antonio Kast in Cile, tra i grandi Paesi del subcontinente il Brasile resta l’ultimo fortino di una sinistra asfittica. Tra un debito pubblico fuori controllo, un apparato giudiziario sotto sanzioni Usa e il pesante processo all’ex presidente Bolsonaro, l'amministrazione di Luiz Inácio Lula da Silva tenta di sopravvivere agitando lo spauracchio dell’interferenza esterna.
Il panorama politico dell’America Latina sta vivendo un cambiamento generazionale senza precedenti. Il «pendolo» si è spostato drasticamente verso destra: dall’Argentina di Javier Milei, che ha ridotto l’inflazione dal 200% al 30%, alla Bolivia che ha chiuso vent’anni di socialismo, fino al Cile che ha decretato il «più chiaro ripudio della sinistra in quasi un secolo». In questo scenario, il Brasile di Luiz Inácio Lula da Silva appare come una vistosa anomalia ideologica, un’isola rossa che tenta di resistere a un’ondata conservatrice che invoca sicurezza, disciplina fiscale, mercato e sovranità.
Lula, giunto al suo terzo mandato da presidente, ha impostato una politica estera nel segno di un attivismo multilaterale, rafforzando la presenza del Brasile nei Brics e rilanciando i rapporti con Cina e Russia.
Tuttavia, la tenuta di Lula è tutt’altro che solida. All'età di 80 anni, il leader del Partito dei lavoratori (Pt) governa un Paese profondamente polarizzato, dove il consenso è fragile e i segnali di insofferenza crescono. Sebbene Lula guidi ancora i sondaggi per il 2026, la sua popolarità ha subito duri colpi, specialmente dopo aver definito i narcotrafficanti come «vittime» del sistema, una dichiarazione che ha scioccato una popolazione stremata dalla criminalità organizzata.
Il cuore della crisi brasiliana risiede nello scontro frontale tra i poteri dello Stato e l’opposizione bolsonarista. La condanna di Jair Bolsonaro a 27 anni di carcere per un complotto golpista ha spaccato il Paese in due. L’ex presidente è diventato un martire per milioni di brasiliani che vedono nella magistratura, in particolare nel giudice della Corte Suprema Alexandre de Moraes, un braccio politico dedito alla persecuzione dell’opposizione.
L’arresto di Bolsonaro, avvenuto dopo che l’ex leader ha ammesso di aver manomesso il suo braccialetto elettronico con un saldatore (con la bizzarra giustificazione di aver avuto allucinazioni causate da farmaci per il singhiozzo) ha ulteriormente radicalizzato le posizioni. Per i suoi sostenitori, si tratta di una caccia alle streghe orchestrata da un regime che usa il diritto come arma. Questa tensione ha paralizzato il dibattito pubblico, spostandolo dai temi economici alla sopravvivenza delle istituzioni democratiche.
In questo clima incendiario, l’amministrazione di Donald Trump ha deciso di intervenire con una forza d’urto che non si vedeva dai tempi della Guerra Fredda. Washington ha adottato quella che qualcuno, come abbiamo già visto, ha ribattezzato la «Dottrina Donroe», considerando il Sudamerica come il proprio dominio strategico e punendo severamente chi non si allinea.
L’attacco è stato duplice, giudiziario ed economico. Il Dipartimento del Tesoro Usa ha imposto sanzioni al giudice De Moraes e revocato i visti a otto degli undici membri della Corte Suprema brasiliana, accusandoli di gravi violazioni dei diritti umani. Ma il colpo più duro è arrivato sul fronte commerciale, allorquando Trump ha imposto dazi del 50% sulle esportazioni brasiliane, una tariffa punitiva senza precedenti motivata ufficialmente dalla «persecuzione politica» contro Bolsonaro. Nonostante il Brasile non abbia un surplus commerciale con gli Usa, Washington sta usando il commercio come leva esplicita per influenzare la politica interna e favorire un cambio di rotta nel 2026.
Schiacciato dalla pressione americana, Lula ha reagito rispolverando la retorica del nazionalismo populista. Il presidente ha dichiarato che «la democrazia e la sovranità del Brasile non sono negoziabili», cercando di trasformare l’aggressione di Trump in un «regalo» politico per rinsaldare le proprie file. Questa mossa ha effettivamente generato un effetto «rally around the flag» (raccolta attorno alla bandiera, tipica reazione nei momenti di difficoltà di un Paese), portando i sondaggi di gradimento del presidente brasiliano dal 24% al 33% in pochi mesi.
Tuttavia, questo scudo patriottico non può nascondere le difficoltà economiche che gravano sul Paese. Il settore dell’agrobusiness, storicamente vicino a Bolsonaro e vitale per il Pil, prevede perdite per un miliardo di dollari solo nella seconda metà dell’anno a causa dei dazi statunitensi. Anche i settori conservatori, inizialmente favorevoli a Trump, iniziano a vedere con sospetto un’interferenza che danneggia la competitività delle esportazioni nazionali.
Mentre i vicini argentini attuano cure da cavallo libertarie, il Brasile resta profondamente statalista. Il debito pubblico è previsto all’81,8% del Pil per il 2026, ma gli investitori temono che supererà l’83,8%. Il bilancio approvato per l’anno elettorale è un colabrodo di eccezioni: miliardi destinati alle poste statali, ai militari e ai sussidi sociali che trasformano il surplus primario promesso in un deficit reale. La spesa obbligatoria per pensioni e sussidi cresce al 10% annuo, ben oltre i limiti legali che il governo stesso si era imposto.
Per compensare l’ostilità di Washington, Lula sta accelerando l’allineamento con la Cina. Pur non avendo formalmente aderito alla Nuova Via della Seta cinese, per il Brasile Pechino è già il primo partner commerciale e sta occupando ogni spazio strategico, dai minerali critici (il Brasile ha le seconde riserve mondiali di terre rare) alla costruzione di una ferrovia transcontinentale per collegare l’Atlantico al Pacifico. Il Brasile punta sull’alleanza Brics per ridurre la dipendenza dal dollaro, ma rischia di scambiare una dipendenza con un’altra, diventando un satellite economico di Pechino in cambio di ossigeno finanziario immediato.
Mentre il ministro delle Finanze Fernando Haddad annuncia le dimissioni per preparare la campagna elettorale a sostegno di Lula, il centrodestra brasiliano cerca un erede credibile dopo Bolsonaro. Il governatore di San Paolo, Tarcísio de Freitas, è visto dal mondo finanziario come l’unica alternativa pragmatica capace di battere Lula. Tuttavia, il clan Bolsonaro oppone resistenza, con il senatore Flávio Bolsonaro che rivendica per sé il testimone del padre. Il giovane candidato si presenta come un «Bolsonaro moderato e vaccinato» (sic) per attirare i moderati. La spaccatura interna alla destra può essere l’unica vera ancora di salvezza per l’anziano Lula nelle elezioni che si terranno nell’ottobre 2026, tra meno di un anno. A quella data Lula avrà 81 anni, e chissà che da qui ad allora, per evitare un effetto Biden, il suo partito non decida di proporre un candidato alternativo, più giovane, in grado di dare maggiore slancio futuro. Al momento però tale candidato non si vede.
Il Brasile, dunque, si trova a un bivio carico di significati. Schiacciato tra un’amministrazione Trump che non fa sconti e una Cina che attende di incassare i suoi crediti, il Paese rischia di implodere sotto il peso del proprio debito e della polarizzazione sociale. Il governo Lula sta cercando di sopravvivere trasformando ogni dazio americano in una medaglia al valore nazionale, ma i fondamentali economici non mentono.
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Marco Tarchi (Ansa)
Il politologo: «Gli attacchi del ministro a Veneziani? I politici sono allergici al dissenso. Giuli stava dall’altra parte, ora si è adeguato. Ma la battaglia per l’egemonia è già persa».
Politologo, professore emerito della Cesare Alfieri di Firenze, direttore del mensile di cultura e «metapolitiche» Diorama, fondatore della Nuova destra italiana. Marco Tarchi è uno di quegli intellettuali che si definirebbero «d’area», ma che la destra di governo, da sempre un po’ allergica ai liberi battitori, tiene a debita distanza.
Professore, Alessandro Giuli ha contestato duramente Marcello Veneziani, che sulla Verità aveva mosso delle critiche alla maggioranza. Al di là del merito, non è bizzarro che un ministro della Cultura affermi che il ruolo di un intellettuale di riferimento sia quello di «incoraggiare» il governo?
«Ai politici - tutti, ma a quelli di destra in particolare - la libertà di pensiero degli uomini di cultura che pure sono considerati vicini al loro campo non è mai piaciuta. Li vorrebbero allineati e coperti, sempre d’accordo con il loro operato, e se devono registrare un dissenso si irritano e tirano fuori in automatico l’accusa di irriconoscenza, di rancore o di intelligenza col nemico. Un tempo Giuli era fra coloro che fustigavano questo atteggiamento. Ora è passato dall’altra parte e si è adeguato. Non me ne stupisco».
Questa destra è riuscita a incidere? Oppure, come sostiene Veneziani, «nulla di significativo e di sostanziale è cambiato nella vita di ogni giorno»?
«In effetti, non vedo grandi mutamenti. E il motivo c’è: la situazione che c’era nel settembre 2022 è quella che ha portato Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, e tutti i sondaggi da quel momento in poi hanno testimoniato una sostanziale tenuta del suo consenso, e di quello della coalizione che lo sorregge».
Cosa significa?
«Significa che ai settori dell’opinione pubblica disposti a votarla questa routine non dispiace. Quindi stop ai grandi progetti controversi (vedi il premierato)».
E sulla cultura? L’«amichettismo» della sinistra è finito? Si è molto discusso di tagli ai teatri e tax credit. Alla fine, la riduzione dei fondi per il cinema, almeno per adesso, sarà minima.
«Non si smantella un’egemonia ramificata e consolidata nell’arco di ottant’anni in un triennio, e soprattutto non lo si fa limitandosi a minacciare o creare ostacoli economici al grande meccanismo che garantisce la riproduzione ad ogni livello degli stereotipi culturali progressisti. Se, come accade, cinema, teatro, università, scuole, editoria diffondono a getto continuo una cultura ideologizzata e ostile a chi oggi governa, è sul terreno delle idee e della formazione di una classe intellettuale alternativa che occorre agire, da subito».
A che punto siamo?
«Non mi pare che questo stia avvenendo. Oggi come ieri, ci si illude che il politique d’abord sia la chiave del successo, e che un impegno “metapolitico” sia superfluo. Così la battaglia è persa in partenza».
Su certe riforme, vedi immigrazione, a bloccare la maggioranza però è una parte della magistratura apertamente schierata a sinistra. Vista la situazione, è ancora praticabile il progetto di costruire una «egemonia» di destra?
«Parlando di magistratura, la strategia del Pci di molti decenni fa - che mi è stata confermata da più di un diretto interessato, al di là delle ipocrite smentite - di convogliare molti dei suoi più brillanti giovani laureati in giurisprudenza in quella carriera ha dato i suoi frutti e aperto una via seguita da molti altri. La destra ha mai pensato di fare questo? No. Chi lo sosteneva, a suo tempo, all’interno del Msi, veniva sbeffeggiato. Le cose sono cambiate? Ne dubito».
Alla fine, la Meloni viene lodata all’estero per la sua posizione chiara sull’Ucraina, la stabilità politica che sta garantendo al Paese e l’affidabilità dei conti pubblici italiani. È vero, allora, che i cosiddetti sovranisti, una volta giunti al potere, sono costretti a tradire la loro agenda?
«Perlomeno fino a quando saranno una minoranza in sede europea, sì. E in ogni caso un loro futuro coordinamento su scala continentale, su taluni temi, sarà molto difficile, perché ciascuno guarda in primo luogo, se non soltanto, agli interessi del proprio Paese… pardon, nazione, ed è pronto ad accettare qualunque compromesso e soluzione gli sia favorevole. Già non riescono a raccogliersi in un unico gruppo all’Europarlamento, figuriamoci se giungeranno a formulare un’agenda comune».
Intanto, per tentare di sopravvivere - a parte la conventio ad excludendum che faticosamente tentano di mantenere in Francia e in Germania - all’estero i partiti di sistema stanno assorbendo un pezzo dell’agenda sovranista: basti vedere cosa fanno sull’immigrazione Emmanuel Macron, Friedrich Merz e Keir Starmer. L’establishment ascolterà le istanze del popolo e ne riguadagnerà la fiducia?
«Non lo penso. Sono espedienti tattici per cercare di contenere l’avanzata di populisti e sovranisti, che difficilmente possono convincere chi ha imparato a conoscere la loro doppiezza».
Cosa pensa del documento strategico di Donald Trump per l’Europa? C’è chi si indigna per il disprezzo degli alleati e la scelta di abbandonarli al loro destino. Il testo, però, precisa che gli Usa considerano l’Europa ancora strategica e che, proprio per questo, vorrebbero che abbandoni le sue derive autodistruttive. Quale versione è vera? Trump ci vuole suoi vassalli? Oppure diagnostica la nostra malattia e ci ammonisce?
«Non ho dubbi che l’America great again di Trump contempli un’assoluta subordinazione degli europei (e non solo) al ruolo egemone degli Usa, e di tracce del suo presunto isolazionismo ne vedo ben poche. Non per questo va negata la fondatezza dei rilievi quasi sprezzanti che la Casa Bianca, soprattutto per bocca di JD Vance e poi con questo documento, ha rivolto all’Unione europea, che del resto non ha mai immaginato un ruolo veramente e seriamente autonomo del Vecchio continente».
Intanto, l’Unione europea spinge sul riarmo, agitando lo spauracchio russo. È una mera questione di interessi economici del complesso militare-industriale? Oppure l’Ue, che a suo tempo rinunciò a rivendicare le proprie radici spirituali e che si è strutturata come un una specie di comitato burocratico-ragionieristico, fondato su regole e vincoli di bilancio, vuole cogliere la contrapposizione con Mosca come un’opportunità per darsi un’identità politica?
«L’isteria antirussa praticata e fomentata dall’Unione europea ha qualcosa di inspiegabile. E le scelte dei suoi governanti, e di molti di quelli dei suoi Stati membri, ricordano più il celebre quadro di Pieter Bruegel sui ciechi che, tenendosi per la spalla, procedono in fila indiana verso un baratro che una qualche strategia».
In un certo senso, sembra di leggere un saggio di Carl Schmitt: l’unità politica che si struttura per contrapposizione al nemico esterno.
«Ma anche i nemici vanno identificati bene, prima di designarli come tali. La storia ci ha fornito molti esempi ammonitori. Essersi prestati a un gioco pericoloso della Nato potrebbe rivelarsi un errore fatale. E Meloni non lo ha minimamente compreso».
L’iniziativa diplomatica di Macron è stata lodata da Bruxelles, ma in effetti rappresenta l’opposto di ciò che l’Ue ha fatto finora, visto che essa ha sabotato ogni tentativo di arrivare a una soluzione diplomatica. Pure il progetto dei volenterosi è un’idea di singole cancellerie e coinvolge un Paese, il Regno Unito, che è fuori dall’Unione. Se mai l’Europa avrà un ruolo nella fine del conflitto in Ucraina, ce l’avrà come Ue o, di nuovo, come sistema di Stati nazionali?
«Irritando sia Trump che Putin, l’Ue si è preclusa ogni possibilità di incidere sull’evoluzione delle trattative diplomatiche per chiudere, almeno in via provvisoria, il conflitto russo-ucraino. E se Ursula von der Leyen e alleati credono di riacquistare un ruolo significativo con le centinaia di miliardi investiti nel riarmo, si illudono. Su questo versante, il complesso militare-industriale è l’unico a trarre profitto da questa linea potenzialmente suicida. Ma cosa potrebbero fare i singoli Stati in questo contesto? Poco e nulla. La sinergia continentale resta l’unico orizzonte percorribile. Ma con una classe dirigente non disposta a piegarsi ad ordini altrui».
Come lo vede strutturato il futuro ordine internazionale?
«Malgrado le mai dismesse velleità egemoniche degli Usa, la logica multipolare è l’unica sulla cui base potrà organizzarsi il sistema internazionale di domani. Cina e India sono ormai attori di primo piano e, pur con tutti i suoi limiti, l’insieme dei Brics è destinato a pesare sugli equilibri planetari. Resta da chiedersi che ruolo avrà l’Europa in questo quadro».
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Giuseppe Conte (Ansa)
Natale teso per Olivia Paladino, compagna di Giuseppi. La sorella Cristiana, infatti, spaventata dai bilanci in rosso delle loro società, vuole cederle le sue quote in cambio di 150 milioni. Intanto, al fratellastro Shadow vanno liquidati altri 10,2 milioni.
Il giorno della vigilia di Natale, l’ex premier e leader del M5s, Giuseppe Conte ha pubblicato sul proprio profilo Instagram una foto che lo ritrae insieme alla compagna Olivia Paladino, nel suo studio, con accanto un albero di Natale addobbato con gusto.
La cosa che ha colpito è l’espressione della compagna Olivia. Una foto di rito. Una scocciatura. Non un sorriso di circostanza e, anzi, quel volto corrucciato lascia trasparire il momento difficilissimo che la donna sta attraversando, legato alle società di famiglia e al rapporto, ormai ai ferri corti, con la sorella Cristiana.
Cosa è successo tra loro e perché tanta tensione? La verità va ricercata proprio nel rapporto tra le due sorelle, il padre Cesare (l’immobiliarista in capo) e le aziende di famiglia, che stanno accumulando perdite considerevoli e un forte indebitamento con l’erario. Sullo sfondo il lungo contenzioso, per presunte promesse non mantenute, con il fratellastro maggiore di Olivia e Cristiana, Shawn John Shadow.
Non reggendo più a questa pressione, anche mediatica, Cristiana ha comunicato alla sorella Olivia la propria volontà di cedere le sue quote nelle società a un fondo (di cui non ha voluto rendere noto il nome) per una somma complessiva di 150 milioni di euro. In poche parole, ha offerto alla sorella la possibilità di esercitare il diritto di prelazione, invitandola a versarle quella cifra sul conto corrente per diventare proprietaria dell’intera holding di famiglia. Il problema è che Olivia non ha liquidità. Due delle tre società presentano bilanci disastrosi, con debiti milionari verso il fisco, e reperire in breve tempo 150 milioni di euro - oltre ai circa 10 necessari per chiudere il contenzioso con il fratellastro - appare un’impresa quasi impossibile. Far entrare un fondo nella holding di famiglia significherebbe, di fatto, perdere il controllo: basterebbero un paio di aumenti di capitale per mettere in ginocchio il vecchio imprenditore romano e la compagna di Conte.
Ora Olivia è davanti a una scelta: acquistare le quote della sorella Cristiana sborsando almeno 150 milioni, oppure affrontare il futuro con un fondo come socio al 50%, con la differenza che quest’ultimo, in caso di necessità, può ricapitalizzare senza limiti, mentre lei no. In alternativa, resta l’ipotesi più drammatica: portare i libri contabili in tribunale e svendere il patrimonio di famiglia, composto anche da numerosi appartamenti a Roma e in varie regioni d’Italia. In tutto questo c’è la posizione, inflessibile, della sorella Cristiana: non vuole sentire ragioni, vuole uscire dalla holding di famiglia. Non le importa chi le darà i soldi, la sorella Olivia o il fondo immobiliare, lei vuole i suoi 150 milioni di euro e vivere i prossimi anni senza più rogne.
E che le cose non stiano andando particolarmente bene sarebbe confermato da un intervento di maquillage societario che è stata messo in piedi proprio sotto Natale. Olivia Paladino e la sorella Cristiana hanno avviato un’operazione di facciata legata al palazzo di via Fontanella di Borghese - dove vive anche Giuseppe Conte - intestato alla Sorelle Fontana alta moda (Sfam) srl. Davanti alla notaia Silvana Masucci di Roma si è presentata Roberta Bichel, nella sua duplice veste di amministratrice unica sia della Unione esercizi alberghi di lusso (Ueal) sia della Immobiliare di Roma Splendido (Irs). Un dettaglio tutt’altro che secondario, perché l’operazione formalizzata riguarda una compravendita interamente interna allo stesso gruppo societario.
Ueal ha ceduto a Irs il 70% di Sfam per un valore nominale di 6 milioni di euro, da corrispondere in sei rate annuali da un milione ciascuna: la prima entro la fine dell’anno, l’ultima fissata al 31 dicembre 2030. Si tratta, però, di un passaggio puramente contabile: non c’è una reale uscita di cassa, né una vera circolazione di denaro tra soggetti indipendenti, ma solo uno spostamento di partecipazioni tra società riconducibili alle stesse proprietarie.
Sia la società venditrice sia quella acquirente sono infatti controllate dalle sorelle Paladino attraverso la Agricola Monastero Santo Stefano vecchio srl, che detiene anche il restante 30% di Sfam. L’operazione serve dunque a trasferire la proprietà di una società in grave difficoltà patrimoniale sotto una holding del gruppo con una situazione finanziaria più solida.
Sfam ha chiuso il 2024 senza alcun ricavo e con una perdita di 148.000 euro, che ha portato il patrimonio netto a un valore negativo di 1,67 milioni di euro. Una condizione che, per legge, impone la ricapitalizzazione o, in alternativa, la messa in liquidazione della società. Le perdite del 2020 devono essere coperte entro la fine di quest’anno, quelle del 2021 entro il 2026 e quelle del 2022 entro il 2027. In questo quadro, la cessione infragruppo non rappresenta un’operazione di mercato, ma uno strumento per ricollocare Sfam sotto una società del gruppo in grado di sostenerne il risanamento. Ultimo, ma non ultimo problema in casa Paladino, è quello che riguarda il fratellastro Shawn.
Quest’ultimo è in attesa che le sorellastre gli liquidino il compenso pattuito di 10,2 milioni di euro per la cessione delle sue quote nella capofila delle società di famiglia, la Agricola Monastero Santo Stefano vecchio, a fronte dei 250.000 euro già versati dopo l’accordo transattivo siglato davanti al Tribunale civile di Roma per la liquidazione del suo 5% del capitale delle società cointestate. Papà Cesare, negli anni scorsi, aveva suddiviso il capitale della Agricola, che ha in pancia pure la proprietà del Grand hotel Plaza di Roma, donandone il 47,5% ciascuna alle due figlie naturali Olivia e Cristiana, e lasciando il restante 5% al figliastro Shawn John.
Il lungo braccio di ferro tra le sorelle, il patrigno e Shawn sembrava essersi concluso con il già citato accordo. Ma non era così. Le sorelle Olivia e Cristiana hanno infatti versato solo la prima rata da 250.000 euro al fratellastro, come previsto dall’accordo messo a punto dal professor Guido Alpa (morto lo scorso marzo a Genova), maestro di Conte, che nel contenzioso ha assistito Cesare Paladino e le due figlie.
Dopo quel pagamento tutto si è bloccato e Shawn è stato costretto a ricorrere nuovamente alla giustizia per far valere l’accordo, facendo notificare un’ingiunzione di pagamento che verrà discussa, dopo quasi due anni, nell’ottobre del 2026. Nel frattempo Cristiana vuole lasciarsi alle spalle le beghe di famiglia, diventare multimilionaria e dedicarsi a una vita di agi senza questioni giudiziarie e problemi economici da gestire. Resta da capire se Olivia e papà Cesare vorranno continuare a combattere sulla tolda di comando dell’azienda di famiglia o se anche loro preferiranno incassare, concedendo a Shawn la sua parte. E Conte in tutto questo? Qualcuno dice, ironicamente, ma non troppo, che stia cercando casa. Anche perché la foto di Natale non promette nulla di buono neppure per lui.
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