2020-08-28
Scure Usa sulle società della Via della seta. E per l’Italia sono guai
Mike Pompeo (Getty images)
Pompeo durissimo: nella black list americana c'è Cccc, colosso cinese entrato in Italia (porti di Trieste e Genova) al tempo di Romano Prodi & C. Dobbiamo scegliere.Il Segretario di Stato Usa Mike Pompeo non ha davvero più voglia di scherzare. In Italia c'è ancora qualcuno che fa finta di non capire, ma il capo della diplomazia Usa ha messo il piede sull'acceleratore, annunciando il varo di sanzioni (restrizioni sulle esportazioni e pure sui visti) contro ventiquattro società cinesi e i loro dirigenti coinvolti nelle rivendicazioni territoriali di Pechino sul Mar Cinese Meridionale. L'iniziativa, assunta congiuntamente dai Dipartimenti di Stato e del Commercio dell'amministrazione Trump, impedirà alle compagnie Usa di dare tecnologia alle società finite nella black list; quanto ai dirigenti delle società cinesi, a loro non sarà più garantito il visto d'ingresso negli Stati Uniti. Le società sono molte di quelle coinvolte come appaltatrici nella nuova Via della seta, e il segretario di Stato Usa le ha definite «armi per imporre un'agenda espansionista» da parte di Pechino. E Pompeo, tra queste compagnie, ha esplicitamente citato in modo assai negativo la China Communications Constructions Co. (Cccc). Non occorre la traduzione dall'inglese all'italiano per capire le imputazioni - politiche e non solo - che Pompeo ha rivolto a Cccc: «corruption, predatory financing, environmental destruction, and other abuses across the world». Da quando è uscita la notizia, l'altra sera, un brivido ha percorso in giro per il mondo le schiene di coloro che hanno portato Cccc a fare affari in Occidente, visto il fortissimo segnale politico giunto da Washington. Qui in Italia, in particolare, ci sono stati investimenti e intese, a vario di titolo, rispetto ai porti di Trieste e Genova. E furono molto attivi, a suo tempo, uomini di ambiente ed estrazione prodiana, a partire dall'ex ministro Paolo Costa, anche se poi l'intesa con Cccc a Genova avvenne sotto la guida dell'autorità di sistema portuale Paolo Emilio Signorini.In altre parole, adesso Washington chiama tutti a una scelta di campo senza ambiguità, tracciando un'ideale linea sul terreno: o di qua, o di là. E, rispetto ai Paesi occidentali (Italia in testa), ciò che preoccupa gli Usa è sia lo scarrellamento pro Cina rispetto alle infrastrutture immateriali (5G e comunicazione) sia l'apertura a partnership e intese con Pechino rispetto agli snodi fisici, alle infrastrutture materiali, a partire dai porti. Nel caso italiano, poi, la posizione geografica dello Stivale garantisce un accesso diretto al cuore dell'Europa, quando già Pechino è ampiamente penetrata nell'area balcanica, determinando nuove dinamiche geoeconomiche nei porti slavi. Cosa sia successo quest'anno è già noto: l'irritazione Usa è fortissima per la questione 5G e per le posizioni di Giuseppe Conte e Luigi Di Maio. Ma vale la pena di ricordare, per rinfrescare la memoria a tutti, che già un anno e mezzo fa, nella primavera del 2019, ci fu una raffica di avvertimenti da parte statunitense, sempre mettendo in parallelo da un lato il 5G e dall'altro i porti, e comunque scoraggiando l'Italia a farsi ingabbiare nella Via della Seta.All'inizio di aprile 2019, fu potentissima la dichiarazione lasciata cadere, in un convegno sui 70 anni della Nato, dall'ambasciatore americano Lewis M. Eisenberg: «C'è rammarico perché l'Italia è il primo paese G7 a firmare l'accordo con la Cina sulla Via della seta. Gli Usa non possono condividere informazioni con Paesi che adottano tecnologie cinesi, ci saranno implicazioni a lungo termine, siamo seriamente preoccupati per le conseguenze sull'interoperabilità Nato. Tutti vogliamo fare affari con la Cina, ma ci sono minacce informatiche».Una botta tremenda: se la prima potenza al mondo ti dice che si prepara a tagliarti fuori dal circuito delle informazioni sensibili, che altro deve succedere, quale altra spia rossa deve accendersi sul cruscotto? Eppure, da allora, e sono passati 16 mesi, a Roma gli inquilini di molti palazzi istituzionali hanno fatto finta di non capire. Ma nei trenta giorni precedenti c'era già stato uno stillicidio di avvisi, in particolare tramite Garrett Marquis, portavoce del National Security Council. Il 5 marzo fece filtrare sul Financial Times l'irritazione americana per il possibile accordo Italia-Cina. Il 9 marzo twittò: «L'Italia è un'importante economia globale e una grande destinazione per gli investimenti. Non c'è bisogno che il governo italiano dia legittimità al progetto di vanità cinese per le infrastrutture».Lo stesso giorno, il 9, fatto più unico che raro, arrivò il tweet del National Security Council (@WHNSC): «L'Italia è una grande economia globale e un'importante destinazione per gli investimenti. Supportare la Via della seta dà legittimazione all'approccio predatorio cinese e non porterà benefici al popolo italiano».Il 12 marzo scese in campo direttamente Mike Pompeo, che definì l'accordo con Pechino «opaco» e aggiunse: «Gli Stati Uniti esortano l'Italia a vagliare con attenzione gli accordi sugli scambi, sull'investimento e sugli aiuti commerciali per essere certi che siano economicamente sostenibili, operabili in base ai principi dell'apertura e dell'equità del libero mercato, nel rispetto della sovranità e delle leggi».Il 13 tornò in scena Marquis, che consegnò al Corriere della Sera un messaggio esplicito, e cioè il possibile stop alla trasmissione di materiali sensibili, ad esempio attrezzature militari, nei porti di Genova e Trieste: «L'Italia è un pilastro della Nato. Se il vostro Paese firma il memorandum, non ci saranno conseguenze sull'alleanza atlantica. Tuttavia siamo seriamente preoccupati per le conseguenze dell'operatività dell'alleanza, specialmente con riguardo alle comunicazioni e alle infrastrutture fondamentali per sostenere le nostre iniziative miliari comuni».E, come si vede, si torna proprio ai porti di Trieste e Genova, quelli con intese con Cccc.