2022-09-19
Ci salverà il coraggio, non la superstizione
La battaglia di Lepanto (Getty Images)
«Né di Venere né di Marte non si sposa e non si parte»: il venerdì ricorda la morte di Cristo, ma era un martedì il tragico giorno in cui cadde Costantinopoli. L’avanzata islamica sembrava inarrestabile, eppure la cristianità seppe reagire respingendo la minaccia.Comincia con questo numero una nuova serie: Scripta manent. Proverbi, modi di dire e superstizione, la cultura dei poveri germogliata spontanea come i fiori selvatici tra i sassi delle strade. Oltre agli scritti ci sono rimasti anche oggetti, il cornetto rosso per esempio. Il nostro cervello ha due emisferi, apparentemente simmetrici, in realtà diversissimi. Entrambi hanno lo scopo di raggiungere la conoscenza della realtà, di intuire le possibilità di modificarla a proprio favore, permettendo così la sopravvivenza. L’emisfero sinistro, che controlla la parte destra, è pragmatico, razionale, logico; quello destro usa la metafora e l’analogia. Dalla loro interconnessione nasce la vita, la cultura, l’arte, la musica e, soprattutto, la capacità di raccontare storie e trarne significati.Per comprendere la storia possiamo studiare saggi, ricostruire le date, leggere diari, epistolari, bollettini di guerra, proverbi e detti, o anche analizzare i miti, le fiabe, le regole scaramantiche. Dalla nostra capacità analogica nasce il mito, la fiaba e anche la superstizione, che è la versione pezzente dell’arte della divinazione, dall’oroscopo ai tarocchi, peraltro altrettanto illogica. La superstizione è il regno dell’impotenza. Essere impotenti è tragico, meglio fare qualcosa di assurdo che non fare nulla, l’assurdità ci dà un’illusione di avere un qualche controllo sulla realtà e questo evita la paralisi. La superstizione è quindi un mezzo povero ma potente per illudersi di avere una qualche capacità di conoscere la realtà e modificarla. Questa illusione è fondamentale per evitare la disperazione. È interessante notare come nella nostra epoca di apparente amore per la scienza si moltiplichino in maniera vertiginosa le pratiche divinatorie. Anche la superstizione germoglia dalla capacità analogica dell’emisfero di destra e può considerarsi quindi una parte della letteratura fantastica. La letteratura fantastica, superstizione inclusa, è il luogo dove teniamo i mostri. Quando qualcosa è troppo atroce per guardarlo in faccia perché ci brucerebbe gli occhi per l’orrore, lo nascondiamo nelle volute d’oro e d’argento della fiaba, dove, protetto da lieto fine e dall’ambientazione fantastica, diventa raccontabile. Nelle grandi fiabe classiche è contenuta la persecuzione di bambini: assassinati (Biancaneve), massacrati di lavoro (Cenerentola), a rischio di incesto (Pelle d’Asino), a rischio di essere mangiati: Hansel e Gretel e Pollicino ci ricordano l’esistenza del cannibalismo. Nelle grandi carestie, nella Germania della guerra dei trent’anni, come secoli dopo nell’Ucraina di Stalin, si arriva sempre al cannibalismo. Dopo che ci siamo mangiati morti, però, non osiamo più guardarci in faccia, quindi il cannibalismo è stato negato, ma è rimasto incastonato nelle fiabe. Il cornetto rosso portafortuna, paradigma della superstizione, è in realtà un simbolo fallico. L’eruzione di Pompei ci ha consegnato il reperto straordinario di una città romana con le sue strade, i mercati, le ville, gli affreschi. I falli sono ovunque, enormi, dipinti o scolpiti, non solo nei postriboli, dove la loro presenza è prevedibile, ma anche nelle case comuni. L’impero romano è morto di denatalità. La liberalità dei costumi sessuali, il diritto dei padroni di far subire alle schiave, ma anche agli schiavi, qualsiasi atto erotico, ha scatenato una diffusione spaventosa di malattie, una serie infinita di prostatiti e annessi senza contare la tragedia della gonorrea, con conseguente malattia, morte e sterilità. A questo si aggiunge la vanità femminile. Un incarnato perfetto veniva raggiunto grazie alla biacca, a base di piombo, mentre le labbra vermiglie venivano ottenute con un composto a base di mercurio. Analizzando i denti degli scheletri di Pompei sono evidenti i depositi di metalli pesanti, soprattutto piombo, ben più gravi nelle donne. Il primo sintomo dell’intossicazione da metalli pesanti è l’aspetto avvizzito della pelle, motivo per cui aumentavano l’uso della biacca; il secondo è l’infertilità. I romani vedevano in faccia la propria morte, l’estinzione. Non riuscivano più a mettere al mondo abbastanza bambini, e i bambini sono il futuro, la bellezza, la speranza di un popolo. Disperati e impotenti, si rifugiarono nella superstizione, che è la scappatoia verso l’inutile. Riempirono le case di inutili falli. Privato dei suoi figli l’Impero romano non ebbe più abbastanza uomini per l’esercito. Usò quindi i figli di altri popoli, i barbari, che poi, ovviamente, rovesciarono dal trono di imperatore incipriati bambolotti per sostituirli con i loro generali. Nessun popolo è in grado di sopravvivere alla perdita della morale sessuale. Solo la castità, la fedeltà e la bellezza naturale avrebbero garantito la sopravvivenza di un impero avvizzito su sé stesso, lasciandoci magnifici vestigia e inutili falli, ingentiliti nel cornetto rosso portafortuna. Un esempio di catastrofe storica finita nella superstizione è il detto: «Né di Venere né di Marte non si sposa non si parte, né si dà principio all’arte». Venerdì è il giorno della crocifissione di Cristo. Martedì cosa avrebbe di disastroso? Venerdì e martedì sono i due giorni in cui si recita il rosario dei misteri dolorosi, teoricamente dovrebbero anche essere giorni di magro se non di digiuno. Tutto questo però non giustifica per il martedì un giudizio così severo: evitare il matrimonio, le partenze, addirittura l’inizio di una qualsiasi attività. In realtà questa filastrocca ricorda una delle grandissime tragedie europee. Martedì 29 maggio 1453 cadde Costantinopoli, odierna Istanbul. Era la terza città santa della cristianità. In questo cosmico piagnisteo, in questa trionfale mistica della penitenza tutti mostrano le proprie inconsolabili cicatrici su quanto la storia li ha presi a calci, pretendendo che la storia sia riscritta. Qualcuno ha chiesto giustizia per Costantinopoli? Era una città magnifica, capitale di un impero fiorente di arte, cultura, scienza e filosofia. Era il luogo dove la cristianità, grazie a Costantino, era uscita dal buio catacombale dell’illegalità per cominciare il suo trionfo. Qualcuno si è inginocchiato per Costantinopoli? I racconti cristiani della caduta sono atroci, ma anche quelli turchi lo sono. «Quando per il favore divino la fortezza fu espugnata, il nemico perdette ogni forza e fu incapace di reagire. Il popolo fedele non incontrò più ostacoli e pose mano al saccheggio in piena sicurezza. Si potrebbe dire che la vista della possibilità di poter fare bottino di ragazzi e belle donne devastasse i loro cuori e i loro animi. Trassero fuori da tutti i palazzi, che uguagliavano il palazzo di Salomone e si avvicinavano alla sfera del cielo, trassero nelle strade strappandole dai letti d’oro, dalle tende tempestate di pietre preziose, le belle dai morbidi capelli, uguali alle chiome degli idoli, appartenenti alle razze più diverse, e i giovinetti che suscitavano turbamento, incontri paradisiaci». Questa è la descrizione della presa di Costantinopoli fatta da Maometto II. Il brano è tratto da Storia del signore della conquista di Tarsun Beg Kemal: è il racconto ufficiale, quello su cui i bambini turchi studiano la storia. Hanno signorilmente sorvolato sui bambini decapitati nella chiesa di Santa Sofia con le loro madri, sui crocifissi e gli impalati, e si sono limitati agli stupri. La storia della Turchia comincia così: abbiamo stuprato le donne e i ragazzini, e l’abbiamo scritto serenamente perché nella nostra religione questo è permesso. La cristianità già spazzata via dal Nord Africa, dalla Siria, dal Medio Oriente, si trovò accerchiata su questo scoglio che è l’Europa. Il Mediterraneo diventò un mare islamico. Poi venne la spallata. Caterina d’Aragona riconquistò la Spagna. Conquistammo l’Atlantico. E poi seguirono Lepanto e Vienna. Quindi, non abbiate paura. Quando vi mettono con le spalle al muro lasciate perdere superstizione, quello che vi salverà è il coraggio.