2019-10-15
Scontri a Barcellona dopo le condanne ai leader separatisti
Pene dai 9 ai 13 anni per i politici che tentarono la secessione della Catalogna dalla Spagna. La polizia carica le proteste.Cent'anni di carcere (99,5 per l'esattezza) a nove dei dodici indipendentisti che nell'ottobre 2017 tentarono la secessione della Catalogna. La Corte suprema di Madrid li ha condannati per sedizione e malversazione, con pene da 9 a 13 anni. Al principale imputato, Oriol Junqueras, leader della formazione Esquerra republicana ed ex vicepresidente della Generalitat, i giudici hanno inflitto 13 anni. La Procura ne aveva chiesti 25 per ribellione, accusa decaduta per tutti gli imputati. Santiago Abascal, presidente del partito sovranista Vox, ha già annunciato ricorso perché quanto accaduto in Catalogna era stato un vero «colpo di Stato», tutti devono rispondere anche di ribellione.Dodici anni la condanna agli ex assessori del governo di Carles Puigdemont, Jordi Turull, Raül Romeva e Dolors Bassa. L'ex presidente del parlamento catalano, Carme Forcadell, è stata condannata a 11 anni e sei mesi, a 10 anni e sei mesi gli altri assessori Josep Rull e Joaquim Forn. Nove anni la pena per Jordi Sànchez, ex presidente dell'Assemblea nazionale catalana (Anc), e per Jordi Cuixart presidente dell'associazione Òmnium cultural (Òc), organizzatori di imponenti manifestazioni in favore dell'indipendentismo. Niente carcere da scontare, invece, per gli unici tre imputati in libertà, Santi Vila, Carles Mundó e Meritxell Borràs, che dovranno solo pagare una multa per disobbedienza di 200 euro al giorno per sei mesi e saranno interdetti dai pubblici uffici per quasi due anni.«Un processo esemplare», lo definiva ieri il capo del governo di Madrid, Pedro Sánchez, commentando alla Moncloa la sentenza e ripercorrendo le tappe di una vicenda giudiziaria che ha infiammato l'opinione pubblica, segnando pesantemente la politica spagnola degli ultimi due anni. I condannati dovranno scontare la loro pena, il leader del Psoe esclude qualsiasi indulto e fa appello a una nuova fase, nella quale si lascino da parte gli estremismi perché «torni la pace in Catalogna». Mentre Sánchez parlava, a Barcellona il presidente della Generalitat, Quim Torra, chiedeva invece ufficialmente l'amnistia per i condannati e l'impegno del governo a riconoscere la repubblica catalana. Vuole al più presto un incontro con il re e con Sánchez. La sindaca di Barcellona, Ada Colau, definisce «durissima la sentenza», invoca la libertà per i detenuti e sostiene che non è questione di essere o meno indipendentisti: «Sentiamo l'urgenza di alzare la voce perché non diventi normalità una situazione di ingiustizia». A scaldare gli animi contribuiva Junqueras, che dal carcere «di lusso» di Lledoners a Sant Joan de Vilatorrada, una sessantina di chilometri da Barcellona, ha promesso: «Torneremo più forti, più convinti e irriducibili che mai». Sulla condizione privilegiata dei sette detenuti uomini (le due donne Forcadell e Bassa sono in un carcere vicino a Girona), la stampa spagnola non ha risparmiato per mesi critiche e ironie, descrivendo le celle singole di cui dispongono, con doccia e bagno individuali. Tutti i condannati, ieri, utilizzavano i social per gridare «ingiustizia», «persecuzione contro i sostenitori della democrazia», per condannare la sentenza che fa torto a «2,5 milioni di catalani che parteciparono al referendum» (in realtà furono 2,2 milioni) , giudicato illegale dalla Corte costituzionale spagnola. Dal rifugio belga di Waterloo l'ex presidente della Generalitat, Carles Puigdemont, ha definito una «barbarie» i 100 anni di carcere inflitti e ha invitato a reagire «per il futuro dei nostri figli. Per la democrazia, per l'Europa, per la Catalogna». Puigdemont in realtà non è tranquillo, il giudice della Corte suprema Pablo Llarena ieri ha emesso un nuovo mandato di cattura internazionale nei suoi confronti, con l'accusa anche per lui di sedizione e malversazione.Solidarietà sembrava la parola d'ordine, nei messaggi che circolavano sulle reti sociali. Il primo ministro scozzese Nicola Sturgeon ha twittato: «Questi politici sono stati incarcerati per aver cercato di consentire al popolo catalano di scegliere pacificamente il proprio futuro. Qualsiasi sistema politico che porti a un risultato così terribile ha bisogno di cambiamenti urgenti». Anche il Futbol club Barcelona, che si considera «uno degli organismi di riferimento della Catalogna», ha voluto dire la sua con un comunicato dal titolo «Il carcere non è la soluzione». L'associazione sportiva, tra le più forti al mondo, invita tutti i leader politici a «un dialogo che possa risolvere il conflitto in seno alla società catalana e permetta di rimettere in libertà esponenti del mondo politico e civile». Per le strade i toni non erano affatto pacati. Dopo la sentenza, centinaia di persone hanno bloccato le principali vie del capoluogo, la ferrovia ad alta velocità per Girona, gli accessi all'aeroporto di Barcellona. Qui la polizia in assetto antisommossa ha caricato i manifestanti. A Tarragona, una donna è stata aggredita e gettata a terra da un giovane che le ha strappato dalle mani la bandiera spagnola. Da alcuni municipi la bandiera nazionale è stata tolta e poi rimessa. Lo scorso maggio, il Centro di ricerca, sondaggi e opinione (Ceo) ha rilevato che in Catalogna la percentuale dei contrari alla secessione era salita al 48,6%, contro il 47,2 dei favorevoli. Di certo, a un mese dalle elezioni politiche anticipate del 10 novembre, l'indipendentismo rimane una questione irrisolta.
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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