La benzina sfonda i 2 euro. Colpa della corsa del barile legata all’annuncio dell’embargo sul petrolio russo e del calo dell’euro provocato da Francoforte. Il Mef vuole extratasse al 40% per le big dell’energia.
La benzina sfonda i 2 euro. Colpa della corsa del barile legata all’annuncio dell’embargo sul petrolio russo e del calo dell’euro provocato da Francoforte. Il Mef vuole extratasse al 40% per le big dell’energia.Dopo una pausa di qualche settimana il prezzo dei carburanti torna a salire sopra i 2 euro al litro. Le quotazioni dei prodotti distillati scambiati all’ingrosso nel Mediterraneo, che sono il riferimento per il prezzo della benzina al consumo, hanno fatto segnare in questi giorni marcati rialzi. Con un petrolio Brent ancora alle prese con la soglia dei 124 dollari a barile, c’è preoccupazione per l’inizio effettivo dell’embargo petrolifero nei confronti della Russia, che dispiegherà in toto i suoi effetti a partire dal prossimo dicembre, ma che già ora sta provocando aggiustamenti importanti nei flussi commerciali. Lo sconto sulle accise di 30,5 centesimi al litro, introdotto ai primi di maggio dal governo per calmierare il prezzo e riportarlo sotto i 2 euro, scade il prossimo 8 luglio, ma il ministro delle finanze Daniele Franco sarebbe al lavoro per prolungarlo almeno sino a settembre. Per trovare le relative coperture, si ipotizza tra l’altro di alzare ulteriormente l’aliquota relativa al prelievo straordinario sui cosiddetti extraprofitti delle compagnie energetiche, portandolo dal 25% al 40%. Un rialzo dei prezzi del 4% alla pompa in una settimana è un brutto colpo per il portafoglio degli italiani perché contribuisce ad alimentare una spirale inflattiva che deriva dalle difficoltà dell’offerta. La domanda italiana di prodotti petroliferi ha ripreso vigore nei primi mesi di quest’anno. Da gennaio ad aprile sono stati consumati 2,3 milioni di tonnellate di benzina (+ 26% rispetto al 2021) e 7,6 milioni di tonnellate di gasolio per autotrazione (quasi +13% rispetto al 2021). Si tratta di valori comparabili con il 2019, in epoca pre Covid, quindi non particolarmente alti. La raffinazione però oggi stenta a reggere il ritmo. Questo è vero anche negli Stati Uniti, ad esempio, dove la benzina ha ormai superato il record dei 5 dollari al gallone, pari a circa 1,27 euro al litro: un prezzo che per noi sarebbe manna dal cielo, ma per gli americani è una sorta di oltraggio. Non sono solo le dinamiche concorrenti di estrazione e di raffinazione a influire sul prezzo. A innescare questo nuovo rialzo dei prezzi alla pompa hanno contribuito in maniera decisiva anche le parole del presidente della Bce, Christine Lagarde. Giovedì scorso le dichiarazioni sulla fine dei programmi di acquisto dei titoli pubblici dell’Eurozona, l’annuncio di un doppio aumento dei tassi di interesse e, soprattutto, l’assenza di indicazioni su un eventuale meccanismo anti spread hanno provocato uno scivolone della moneta unica. Nei confronti del dollaro, in quattro giorni l’euro è passato da 1,07 a 1,04. L’impatto sul prezzo della benzina alla pompa di questa settimana si spiega in buona parte proprio così. Dagli ambienti di governo italiani è filtrata, neppure troppo discretamente, una certa irritazione nei confronti di Francoforte e dei modi con cui la comunicazione è stata gestita dalla Lagarde, già soprannominata «Lagaffe» per una certa propensione alla topica in ambito pubblico. Tuttavia, forse è il caso di smettere di considerare le conferenze stampa del presidente della Bce come una sequela di spropositi e prenderla, invece, sul serio. L’effetto delle sue dichiarazioni è stato di far alzare i rendimenti dei titoli di Stato italiani, allargare lo spread rispetto ai titoli tedeschi e deprimere il cambio. Si può davvero pensare che non sapesse cosa stava facendo? Piuttosto, si tratta di messaggi chiari sul fatto che l’aria è cambiata e che si sta imboccando la strada dell’austerità, indicata dal manuale del bravo banchiere centrale (tedesco). Infatti, rispetto alla valuta di riferimento per gli scambi di petrolio e derivati, che è ancora il dollaro, la valuta europea ha perso circa l’8% dall’inizio dell’anno e il 15% dal gennaio 2021. Fa un certo effetto vedere l’euro barcamenarsi sul mercato dei cambi come una liretta qualsiasi. Eppure, la moneta unica avrebbe dovuto garantire la stabilità e difendere la nostra economia, proprio (o soprattutto) in casi come questi. quante volte ci siamo sentiti dire che senza l’euro le materie prime importate dall’estero avrebbero avuto un costo proibitivo? Eppure, oggi, proprio con l’euro, ci troviamo con la benzina a 4.000 lire! (Naturalmente, il controfattuale fantastico degli ultras della moneta unica recita in questo caso che senza l’euro sarebbe peggio. Ma confutare questo pio desiderio significherebbe inoltrarsi in una di quelle Città invisibili tratteggiate da Italo Calvino, perciò non andiamo oltre).Neppure hanno giovato alla tranquillità dei mercati i continui annunci di Bruxelles relativi a un imminente embargo petrolifero alla Russia, seguiti regolarmente da sussiegose ritirate di fronte ai no ungheresi. Quando poi è stato finalmente deciso, l’embargo si è rivelato essere una sorta di petardo a scoppio ritardato. I continui stop and go sulle politiche energetiche, la dichiarata intenzione di perseguire l’austerità, la generale impreparazione politica e tecnica di una classe dirigente aliena sono quello che l’asse Bruxelles-Francoforte sta offrendo al mondo. Decisamente, non un bello spettacolo.
Quest’anno in Brasile doppio carnevale: oltre a quello di Rio, a Belém si terrà la Conferenza Onu sul clima Un evento che va avanti da 30 anni, malgrado le emissioni crescano e gli studi seri dicano che la crisi non esiste.
Due carnevali, quest’anno in Brasile: quello già festeggiato a Rio dei dieci giorni a cavallo tra febbraio e marzo, come sempre allietato dagli sfrenati balli di samba, e quello - anch’esso di dieci giorni - di questo novembre, allietato dagli sfrenati balli dei bamba che si recheranno a Belém, attraversata dall’equatore, per partecipare alla Cop30, la conferenza planetaria che si propone di salvarci dal riscaldamento del clima.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Il 9 novembre 1971 si consumò il più grave incidente aereo per le forze armate italiane. Morirono 46 giovani parà della «Folgore». Oggi sono stati ricordati con una cerimonia indetta dall'Esercito.
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Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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Teresa Ribera (Ansa)
Il capo del Mef: «All’Ecofin faremo la guerra sulla tassazione del gas naturale». Appello congiunto di Confindustria con le omologhe di Francia e Germania.
Chiusa l’intesa al Consiglio europeo dell’Ambiente, resta il tempo per i bilanci. Il dato oggettivo è che la lentezza della macchina burocratica europea non riesce in alcun modo a stare al passo con i competitor mondiali.
Chiarissimo il concetto espresso dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti: «Vorrei chiarire il criterio ispiratore di questo tipo di politica, partendo dal presupposto che noi non siamo una grande potenza, e non abbiamo nemmeno la bacchetta magica per dire alla Ue cosa fare in termini di politica industriale. Ritengo, ad esempio, che sulla politica commerciale, se stiamo ad aspettare cosa accade nel globo, l’industria in Europa nel giro di cinque anni rischia di scomparire». L’intervento avviene in Aula, il contesto è la manovra di bilancio, ma il senso è chiaro. Le piccole conquiste ottenute nell’accordo sul clima non sono sufficienti e nei due anni che bisogna aspettare per la nuova revisione può succedere di tutto.









