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2023-05-08
Scienziati, intellettuali, istituzioni. Ecco chi vuole sdoganare i pedofili
Una immagine dalla serie Netflix Cuties, accusata di sessualizzare in modo pericoloso il corpo dei bambini
L’idea che un orrore come la pedofilia possa esser normalizzato è scioccante. Eppure sono decenni che, sotterraneamente, si rema in questa direzione. Un primo segnale in tal senso proviene dai cosiddetti rapporti Kinsey, due volumi intitolati Il comportamento sessuale dell’uomo e Il comportamento sessuale della donna, pubblicati rispettivamente nel 1948 e nel 1953 negli Stati Uniti dal controverso scienziato Alfred Charles Kinsey. Ebbene, nel suo primo rapporto Kinsey descrive i comportamenti di centinaia di bambini da quattro mesi a quattordici anni vittime di pedofili; una descrizione realizzata in qualche caso filmando e contando il numero di «orgasmi» e cronometrando gli intervalli tra un «orgasmo» e l’altro.
Nel secondo rapporto realizzato da Kinsey e collaboratori si trova poi un paragrafo sconvolgente, intitolato «Contatti nell’età prepubere con maschi adulti», contenente un vero e proprio sdoganamento della violenza pedofila. «Se la bambina non fosse condizionata dall’educazione», sono infatti le conclusioni redatte, «non è certo che approcci sessuali del genere di quelli determinatisi in questi episodi (contatti sessuali con maschi adulti, ndr) la turberebbero». Interpellato sul perché si siano studiati i pedofili senza denunciarli, Paul Gebhard, collaboratore di Kinsey e futuro direttore dell’omonimo istituto, dirà che «non avrebbe potuto esserci nessuna ricerca se li avessero arrestati». Come dire: in nome della scienza, ben vengano pure i mostri. Ma andiamo avanti perché quegli studi, pur sconvolgenti, non furono che il principio di un iter che ha avuto un seguito. Poi è infatti venuta l’onda lunga del ’68 e della liberazione sessuale.
Si pensi a quando, sul quotidiano francese Libération del 5-6 novembre 1978, accanto all’immagine di una fellatio praticata da un ragazzino a un adulto, comparve un titolo raggelante: «Apprenons l’amour à nos enfants», «Insegniamo l’amore ai nostri bambini». Prima ancora, nel maggio 1977, Libération annunciava compiaciuto la nascita del Flip, acronimo che sta per Front de libération des pédophiles, realtà espressamente volta alla promozione della pedofilia. Il gennaio di quell’anno il quotidiano francese Le Monde aveva inoltre pubblicato una petizione per abbassare la maggiore età sessuale ai dodicenni, una sorta di legittimazione ideologica alla pedofilia adolescenziale, con l’appoggio di intellettuali del calibro di Louis Aragon, Roland Barthes, Louis Althusser, Gilles Deleuze e Françoise Dolto, pioniera della psicologia infantile.
Il processo di normalizzazione degli abusi sui minori è continuato nel 1998 sulla rivista Psychological Bulletin dove uno studio di Bruce Rind, Philip Tromovitch e Robert Bauserman ha ridefinito l’«abuso sessuale sui bambini», affermando che «le esperienze sofferte da bambini, sia maschi sia femmine, che hanno subito abusi sessuali sembrano abbastanza moderate». Nel 2013, sul Dsm-5, il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali dell’associazione degli psichiatri americani (Apa), si è scritto che «il desiderio sessuale verso i bambini è un orientamento», dopo che dieci anni prima, sul Dsm-4, la pedofilia era già stata declassata da «malattia» a «disordine».
Non ci sono però solo discutibili pubblicazioni scientifiche, a spingere per l’accettazione della pedofilia. Un ruolo lo ha la stessa politica. Basti pensare a quanto riportato il 31 maggio 2006 dal Corriere della Sera, che dava la notizia della nascita, in Olanda, di Nvd, «il partito dei pedofili». Più recentemente, ma sempre in Olanda, ha fatto parlar di sé una dichiarazione dei Jonge democraten, letteralmente i Giovani democratici, l’ala giovanile «indipendente» dei Democraten 66 (D66), forza politica social-liberale olandese che fa parte della coalizione di quattro partiti che sostiene la premiership di Mark Rutte. Si tratta di un verbale interno secondo cui «pedofilia è un orientamento sessuale con cui si nasce» e «nelle scuole secondarie dovrebbe essere impartita un’istruzione sulla pedofilia come orientamento sessuale».
Come se non bastasse, anche le Nazioni Unite hanno da poco varato un documento quanto meno ambiguo rispetto al tema in parola. Si tratta degli 8 March principles, testo contenente 21 «principi» elaborato dal Comitato internazionale dei giuristi (Icj) con l’Unaids e l’Ufficio dell’Alto commissario per i diritti umani (Ohchr). Ebbene, il principio 16 afferma che «la condotta sessuale che coinvolge persone al di sotto dell’età minima di consenso al sesso prescritta a livello nazionale può essere di fatto consensuale, se non prevista dalla legge» e che «le persone di età inferiore ai 18 anni possono prendere decisioni in merito a comportamenti sessuali consensuali e hanno il diritto di essere ascoltate nelle questioni che le riguardano […] tenendo in debito conto della loro età, la loro maturità e il loro migliore interesse».
Come si può vedere, il cavallo di Troia attraverso cui si intende sdoganare i rapporti tra adulti e minori è quello del consenso. Se c’è il consenso, a quanto pare, tutto cambia e non si potrebbe più parlare di pedofilia né di pederastia. E di cosa? Secondo Rachel Hope Cleves, docente all’Università di Victoria, sarebbe auspicale iniziare a parlare di «sesso intergenerazionale». La tesi della Cloves è che pedofilia sia «un termine controverso perché, con gli standard del nostro tempo, non vediamo alcuna possibilità per il sesso tra adulti e bambini, lo vediamo come uno stupro, non nel quadro del sesso e della sessualità». Smettetela di parlare di pedofilia, è l’invito, e il problema non ci sarà più. È il marketing dell’orrore, bellezza.
«Sono ormai 30 anni che provano a banalizzare gli orchi»
Il tentativo in atto di sdoganare la pedofilia potrà sorprendere molti. Di certo però non coglie di sorpresa don Fortunato Di Noto, classe 1963, sacerdote fondatore dell’associazione Meter, realtà fondata nel 1989 e, da allora, in prima linea nella lotta contro la pedofilia e la tutela dell’infanzia in Italia e nel mondo. Nella prefazione all’ultimo report di Meter, questo prete siciliano è stato netto nel denunciare che, ormai, «non è possibile quantificare l’ingente mole di materiale pedopornografico che naviga nella rete Internet, così come non è possibile arrestare un fenomeno che avanza». Ciò nonostante, Meter e il suo fondatore non solo non si arrendono, ma restano in prima linea. In decenni di attività hanno segnalato alle autorità oltre 30 milioni d’immagini pedopornografiche, incluse situazioni di orrore indicibile, quali quelle degli stupri sui neonati e delle «pedomame», vale a dire gli abusi di donne, madri, ai danni di un minore. «Solo lo scorso anno ne abbiamo denunciate 2.692», spiega il sacerdote, che La Verità ha avvicinato.
Don Di Noto, come Meter intercettate un tentativo di sdoganamento della pedofilia?
«Innanzitutto, è da 30 anni che non solo intercettiamo questi tentativi, ma ne abbiamo più volte denunciati. Quindi non è che è un fatto nuovo. Si modifica, diciamo il messaggio, magari si attenua, ma di fatto ormai è quasi palese il tentativo continuato e spesso ripetuto, sostenuto ed evidente on line dello sdoganamento della pedofilia».
Come avviene?
«Basta andare nei portali che contengono migliaia link e siti dove si promuove questo sdoganamento, questa normalizzazione della pedofilia come - non lo dice don Di Noto, lo dicono loro -, “orientamento sessuale”. Sono a tal riguardo infinite le segnalazioni che sono state fatte anche alla polizia postale perché, lo sappiamo tutti, l’istigazione a pratiche di pedofilia è un reato in Italia e non solo in Italia, con la Convenzione di Lanzarote. Non è finita».
Prego.
«Impunemente, celebrano ancora oggi, sia pure in maniera diversa, la giornata dell’orgoglio pedofilo. Bisogna dirlo chiaro. Poi ci sono gruppetti e gruppettini e movimenti pro pedofilia. Oggi, tra l’altro, non vogliono più essere chiamate pedofili bensì “persone attratte da minori”, cambiando la terminologia. I pedofili poi dichiarano pubblicamente, rivolgendosi anche alla stampa: “Ma in fondo noi che male facciamo ai bambini?”».
Cercano così di accreditarsi come innocui?
«Sì, ma noi in 30 anni abbiamo denunciato il fronte di liberazione pedofilo, abbiamo denunciato una marea di movimenti - quello olandese ma anche molti altri -, e continuiamo a monitorare la realtà, che è sempre in evoluzione. Sa qual è il problema?».
Quale?
«Non c’è la stessa reazione sociale quando si dice che “i bambini non si toccano”».
L’orrore della pedopornografia è in espansione?
«Lo è in modo “inquantificabile”, come scriviamo nel nostro report. Il fatto è che il fenomeno è in evoluzione e richiede un cambio di prospettiva da parte nostra, andando oltre la logica del singolo. Come ha ben detto il dottor Ivano Gabrielli, direttore nazionale della Polizia postale italiana, alla presentazione del nostro ultimo report, “non parliamo soltanto di aggressioni singole, ma di forme di criminalità organizzata che lucrano sullo sfruttamento dei minori, e lì vanno colpite. E vanno colpite a livello internazionale perché parliamo di organizzazioni criminali che hanno spessore internazionale”. Non c’è tempo da perdere, aggiungo, perché sulla pedopornografia stanno lucrando a non finire».
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In principio furono i rapporti Kinsey, poi vennero le grandi firme sessantottine e ora persino partiti politici. La tendenza a minimizzare, o addirittura a legittimare, il sesso con i minori si fa strada in modo pericoloso.Parla don Fortunato Di Noto, il sacerdote fondatore dell’associazione Meter: «Fenomeno in aumento, dietro ci sono gruppi criminali».Lo speciale contiene due articoli.L’idea che un orrore come la pedofilia possa esser normalizzato è scioccante. Eppure sono decenni che, sotterraneamente, si rema in questa direzione. Un primo segnale in tal senso proviene dai cosiddetti rapporti Kinsey, due volumi intitolati Il comportamento sessuale dell’uomo e Il comportamento sessuale della donna, pubblicati rispettivamente nel 1948 e nel 1953 negli Stati Uniti dal controverso scienziato Alfred Charles Kinsey. Ebbene, nel suo primo rapporto Kinsey descrive i comportamenti di centinaia di bambini da quattro mesi a quattordici anni vittime di pedofili; una descrizione realizzata in qualche caso filmando e contando il numero di «orgasmi» e cronometrando gli intervalli tra un «orgasmo» e l’altro.Nel secondo rapporto realizzato da Kinsey e collaboratori si trova poi un paragrafo sconvolgente, intitolato «Contatti nell’età prepubere con maschi adulti», contenente un vero e proprio sdoganamento della violenza pedofila. «Se la bambina non fosse condizionata dall’educazione», sono infatti le conclusioni redatte, «non è certo che approcci sessuali del genere di quelli determinatisi in questi episodi (contatti sessuali con maschi adulti, ndr) la turberebbero». Interpellato sul perché si siano studiati i pedofili senza denunciarli, Paul Gebhard, collaboratore di Kinsey e futuro direttore dell’omonimo istituto, dirà che «non avrebbe potuto esserci nessuna ricerca se li avessero arrestati». Come dire: in nome della scienza, ben vengano pure i mostri. Ma andiamo avanti perché quegli studi, pur sconvolgenti, non furono che il principio di un iter che ha avuto un seguito. Poi è infatti venuta l’onda lunga del ’68 e della liberazione sessuale. Si pensi a quando, sul quotidiano francese Libération del 5-6 novembre 1978, accanto all’immagine di una fellatio praticata da un ragazzino a un adulto, comparve un titolo raggelante: «Apprenons l’amour à nos enfants», «Insegniamo l’amore ai nostri bambini». Prima ancora, nel maggio 1977, Libération annunciava compiaciuto la nascita del Flip, acronimo che sta per Front de libération des pédophiles, realtà espressamente volta alla promozione della pedofilia. Il gennaio di quell’anno il quotidiano francese Le Monde aveva inoltre pubblicato una petizione per abbassare la maggiore età sessuale ai dodicenni, una sorta di legittimazione ideologica alla pedofilia adolescenziale, con l’appoggio di intellettuali del calibro di Louis Aragon, Roland Barthes, Louis Althusser, Gilles Deleuze e Françoise Dolto, pioniera della psicologia infantile. Il processo di normalizzazione degli abusi sui minori è continuato nel 1998 sulla rivista Psychological Bulletin dove uno studio di Bruce Rind, Philip Tromovitch e Robert Bauserman ha ridefinito l’«abuso sessuale sui bambini», affermando che «le esperienze sofferte da bambini, sia maschi sia femmine, che hanno subito abusi sessuali sembrano abbastanza moderate». Nel 2013, sul Dsm-5, il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali dell’associazione degli psichiatri americani (Apa), si è scritto che «il desiderio sessuale verso i bambini è un orientamento», dopo che dieci anni prima, sul Dsm-4, la pedofilia era già stata declassata da «malattia» a «disordine».Non ci sono però solo discutibili pubblicazioni scientifiche, a spingere per l’accettazione della pedofilia. Un ruolo lo ha la stessa politica. Basti pensare a quanto riportato il 31 maggio 2006 dal Corriere della Sera, che dava la notizia della nascita, in Olanda, di Nvd, «il partito dei pedofili». Più recentemente, ma sempre in Olanda, ha fatto parlar di sé una dichiarazione dei Jonge democraten, letteralmente i Giovani democratici, l’ala giovanile «indipendente» dei Democraten 66 (D66), forza politica social-liberale olandese che fa parte della coalizione di quattro partiti che sostiene la premiership di Mark Rutte. Si tratta di un verbale interno secondo cui «pedofilia è un orientamento sessuale con cui si nasce» e «nelle scuole secondarie dovrebbe essere impartita un’istruzione sulla pedofilia come orientamento sessuale».Come se non bastasse, anche le Nazioni Unite hanno da poco varato un documento quanto meno ambiguo rispetto al tema in parola. Si tratta degli 8 March principles, testo contenente 21 «principi» elaborato dal Comitato internazionale dei giuristi (Icj) con l’Unaids e l’Ufficio dell’Alto commissario per i diritti umani (Ohchr). Ebbene, il principio 16 afferma che «la condotta sessuale che coinvolge persone al di sotto dell’età minima di consenso al sesso prescritta a livello nazionale può essere di fatto consensuale, se non prevista dalla legge» e che «le persone di età inferiore ai 18 anni possono prendere decisioni in merito a comportamenti sessuali consensuali e hanno il diritto di essere ascoltate nelle questioni che le riguardano […] tenendo in debito conto della loro età, la loro maturità e il loro migliore interesse». Come si può vedere, il cavallo di Troia attraverso cui si intende sdoganare i rapporti tra adulti e minori è quello del consenso. Se c’è il consenso, a quanto pare, tutto cambia e non si potrebbe più parlare di pedofilia né di pederastia. E di cosa? Secondo Rachel Hope Cleves, docente all’Università di Victoria, sarebbe auspicale iniziare a parlare di «sesso intergenerazionale». La tesi della Cloves è che pedofilia sia «un termine controverso perché, con gli standard del nostro tempo, non vediamo alcuna possibilità per il sesso tra adulti e bambini, lo vediamo come uno stupro, non nel quadro del sesso e della sessualità». Smettetela di parlare di pedofilia, è l’invito, e il problema non ci sarà più. È il marketing dell’orrore, bellezza.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/scienziati-intellettuali-istituzioni-sdoganare-pedofili-2659976082.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="sono-ormai-30-anni-che-provano-a-banalizzare-gli-orchi" data-post-id="2659976082" data-published-at="1683474486" data-use-pagination="False"> «Sono ormai 30 anni che provano a banalizzare gli orchi» Il tentativo in atto di sdoganare la pedofilia potrà sorprendere molti. Di certo però non coglie di sorpresa don Fortunato Di Noto, classe 1963, sacerdote fondatore dell’associazione Meter, realtà fondata nel 1989 e, da allora, in prima linea nella lotta contro la pedofilia e la tutela dell’infanzia in Italia e nel mondo. Nella prefazione all’ultimo report di Meter, questo prete siciliano è stato netto nel denunciare che, ormai, «non è possibile quantificare l’ingente mole di materiale pedopornografico che naviga nella rete Internet, così come non è possibile arrestare un fenomeno che avanza». Ciò nonostante, Meter e il suo fondatore non solo non si arrendono, ma restano in prima linea. In decenni di attività hanno segnalato alle autorità oltre 30 milioni d’immagini pedopornografiche, incluse situazioni di orrore indicibile, quali quelle degli stupri sui neonati e delle «pedomame», vale a dire gli abusi di donne, madri, ai danni di un minore. «Solo lo scorso anno ne abbiamo denunciate 2.692», spiega il sacerdote, che La Verità ha avvicinato. Don Di Noto, come Meter intercettate un tentativo di sdoganamento della pedofilia? «Innanzitutto, è da 30 anni che non solo intercettiamo questi tentativi, ma ne abbiamo più volte denunciati. Quindi non è che è un fatto nuovo. Si modifica, diciamo il messaggio, magari si attenua, ma di fatto ormai è quasi palese il tentativo continuato e spesso ripetuto, sostenuto ed evidente on line dello sdoganamento della pedofilia». Come avviene? «Basta andare nei portali che contengono migliaia link e siti dove si promuove questo sdoganamento, questa normalizzazione della pedofilia come - non lo dice don Di Noto, lo dicono loro -, “orientamento sessuale”. Sono a tal riguardo infinite le segnalazioni che sono state fatte anche alla polizia postale perché, lo sappiamo tutti, l’istigazione a pratiche di pedofilia è un reato in Italia e non solo in Italia, con la Convenzione di Lanzarote. Non è finita». Prego. «Impunemente, celebrano ancora oggi, sia pure in maniera diversa, la giornata dell’orgoglio pedofilo. Bisogna dirlo chiaro. Poi ci sono gruppetti e gruppettini e movimenti pro pedofilia. Oggi, tra l’altro, non vogliono più essere chiamate pedofili bensì “persone attratte da minori”, cambiando la terminologia. I pedofili poi dichiarano pubblicamente, rivolgendosi anche alla stampa: “Ma in fondo noi che male facciamo ai bambini?”». Cercano così di accreditarsi come innocui? «Sì, ma noi in 30 anni abbiamo denunciato il fronte di liberazione pedofilo, abbiamo denunciato una marea di movimenti - quello olandese ma anche molti altri -, e continuiamo a monitorare la realtà, che è sempre in evoluzione. Sa qual è il problema?». Quale? «Non c’è la stessa reazione sociale quando si dice che “i bambini non si toccano”». L’orrore della pedopornografia è in espansione? «Lo è in modo “inquantificabile”, come scriviamo nel nostro report. Il fatto è che il fenomeno è in evoluzione e richiede un cambio di prospettiva da parte nostra, andando oltre la logica del singolo. Come ha ben detto il dottor Ivano Gabrielli, direttore nazionale della Polizia postale italiana, alla presentazione del nostro ultimo report, “non parliamo soltanto di aggressioni singole, ma di forme di criminalità organizzata che lucrano sullo sfruttamento dei minori, e lì vanno colpite. E vanno colpite a livello internazionale perché parliamo di organizzazioni criminali che hanno spessore internazionale”. Non c’è tempo da perdere, aggiungo, perché sulla pedopornografia stanno lucrando a non finire».
Monterosa ski
Dopo un’estate da record, con presenze in crescita del 2% e incassi saliti del 3%, il sipario si alza ora su Monterosa Ski. In scena uno dei comprensori più autentici dell’arco alpino, da vivere fino al 19 aprile (neve permettendo) con e senza gli sci ai piedi, tra discese impeccabili, panorami che tolgono il fiato e quella calda accoglienza che da sempre distingue questo spicchio di territorio che si muove tra Valle d’Aosta e Piemonte, abbracciando le valli di Ayas e Gressoney e la Valsesia.
Protagoniste assolute dell’inverno al via, le novità.
A Gressoney-Saint-Jean il baby snow park Sonne è fresco di rinnovo e pronto ad accogliere i piccoli sciatori con aree gioco più ampie, un nuovo tapis roulant per prolungare il divertimento delle discese su sci, slittini e gommoni, e una serie di percorsi con gonfiabili a tema Walser per celebrare le tradizioni della valle. Poco più in alto, a Gressoney-La-Trinité, vede la luce la nuova pista di slittino Murmeltier, progetto ambizioso che ruota attorno a 550 metri di discesa serviti dalla seggiovia Moos, illuminazione notturna, innevamento garantito e la possibilità di scivolare anche sotto le stelle, ogni mercoledì e sabato sera.
Da questa stagione, poi, entra pienamente in funzione la tecnologia bluetooth low energy, che consente di usare lo skipass digitale dallo smartphone, senza passare dalla biglietteria. Basta tenerlo in tasca per accedere agli impianti, riducendo così plastica e attese e promuovendo una montagna più smart e sostenibile, dove la tecnologia è al servizio dell’esperienza.
Sul fronte di costi e promozioni, fioccano agevolazioni e formule pensate per andare incontro a tutte le tasche e per far fronte alle imprevedibili condizioni meteorologiche. A partire da sci gratuito per bambini sotto gli otto anni, a sconti del 30 e del 20 per cento rispettivamente per i ragazzi tra gli 8 e i 16 anni e i giovani tra i 16 e i 24 anni , per arrivare a voucher multiuso per i rimborsi skipass in caso di chiusura degli impianti . «Siamo più che soddisfatti di poter ribadire la solidità di una destinazione che sta affrontando le sfide di questi anni con lungimiranza. Su tutte, l’imprevedibilità delle condizioni meteo che ci condiziona in modo determinante e ci spinge a migliorare le performance delle infrastrutture e delle modalità di rimborso, come nel caso dei voucher», dice Giorgio Munari, amministratore delegato di Monterosa Spa.
Introdotti con successo l’inverno scorso, i voucher permettono ai titolari di skipass giornalieri o plurigiornalieri, in caso di chiusure parziali o totali del comprensorio, di avere crediti spendibili in acquisti non solo di nuovi skipass e biglietti per impianti, ma anche in attività e shopping presso partner d’eccellenza, che vanno dal Forte di Bard alle Terme di Champoluc, fino all’avveniristica Skyway Monte Bianco, passando per ristoranti di charme e botteghe artigiane.
Altra grande novità della stagione, questa volta dal respiro internazionale, l’ingresso di Monterosa Ski nel circuito Ikon pass, piattaforma americana che raccoglie oltre 60 destinazioni sciistiche nel mondo.
«Non si tratta solo di un’inclusione simbolica», commenta Munari, «ma di entrare concretamente nei radar di sciatori di Stati Uniti, Canada, Giappone o Australia che, già abituati a muoversi tra mete sciistiche di fama mondiale, avranno ora la possibilità di scoprire anche il nostro comprensorio». Comprensorio che ha tanto da offrire.
Sotto lo sguardo dei maestosi 4.000 del Rosa, sfilano discese sfidanti anche per i più esperti sul carosello principale Monterosa Ski 3 Valli - 29 impianti per 52 piste fino a 2.971 metri di quota - e percorsi più soft, adatti a principianti e bambini, nella ski area satellite di Antagnod, Brusson, Gressoney-Saint-Jean, Champorcher e Alpe di Mera; fuoripista da urlo nel regno imbiancato di Monterosa freeride paradise e tracciati di sci alpinismo d’eccezione - Monterosa Ski è il primo comprensorio di sci alpinismo in Italia. Il tutto accompagnato da panorami e paesaggi strepitosi e da un’accoglienza made in Italy che conquista a colpi di stile e atmosfere genuine. Info: www.monterosaski.eu.
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Dal foyer della Prima domina il nero scelto da vip e istituzioni. Tra abiti couture, la presenza di Pierfrancesco Favino, Mahmood, Achille Lauro e Barbara Berlusconi - appena nominata nel cda - spiccano le assenze ufficiali. Record d’incassi per Šostakovič.
Non c’è dubbio che un’opera dirompente e sensuale, che vede tradimenti e assassinii, censurata per la sua audacia e celebrata per la sua altissima qualità musicale come Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Dmítrij Šostakóvič, abbia influenzato la scelta di stile delle signore presenti.
«Quando preparo gli abiti delle mie clienti per la Prima della Scala, tengo sempre conto del tema dell’opera», spiega Lella Curiel, sessanta prime al suo attivo e stilista per antonomasia della serata più importante del Piermarini. Così ogni volta la Prima diventa un grande esperimento sociale, di eleganza ma anche di mise inopportune. Da sempre, la platea ingioiellata e in smoking, si divide tra chi è qui per la musica e chi per mostrarsi mentre finge di essere qui intendendosene. Sul piazzale, lo show comincia ben prima del do di petto. Le signore scendono dalle auto con la stessa espressione di chi affronta un red carpet improvvisato: un occhio al gradino e uno ai fotografi. Sono tiratissime, ma anche i loro accompagnatori non sono da meno, alcuni dei quali con abiti talmente aderenti che sembrano più un atto di fede che un capo sartoriale.
È il festival del «chi c’è», «chi manca» ma tutti partecipano con disinvoltura allo spettacolo parallelo: quello dei saluti affettuosi, che durano esattamente il tempo di contare quanti carati ha l’altro. Mancano sì il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio, il presidente del Senato e il presidente della Camera ma gli aficionados della Prima, e anche tanti altri, ci sono tutti visto che è stato raggiunto il record di biglietti venduti, quasi 3 milioni di euro d’incasso.
Sul palco d'onore, con il sindaco Beppe Sala e Chiara Bazoli (in nero Armani rischiarato da un corpetto in paillettes), il ministro della Cultura Alessandro Giuli, l’applaudita senatrice a vita Liliana Segre, il presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana accompagnato dalla figlia Cristina (elegantissima in nero di Dior), il presidente della Corte Costituzionale Giovanni Amoroso, i vicepresidenti di Camera e Senato Anna Ascani e Gian Marco Centinaio e il prefetto di Milano Claudio Sgaraglia. Nero imperante, quindi, nero di pizzo, di velluto, di chiffon ma sempre nero. Con un tocco di rosso come per l’abito di Maria Grazia compagna di Giuseppe Marotta («è un vestito di sartoria, non è firmato da nessun stilista»), con dettagli verdi scelti da Diana Bracco («sono molto rigorosa»). Tutto nero l’abito/cappotto di Andrée Ruth Shammah («metto sempre questo per la Prima con i gioielli colorati di mia mamma»). E così quello di Fabiana Giacomotti molto scollato sulla schiena («è di Balenciaga, l’ultima collezione di Demna»).
Ma esce dal coro Barbara Berlusconi, la più fotografata, in un prezioso abito di Armani dalle varie sfumature, dall’argento al rosso al blu («ho scelto questo abito che avevo già indossato per celebrarlo»), accompagnata da Lorenzo Guerrieri. Fresca di nomina nel cda della Scala (voluta da Fontana), si è soffermata con i giornalisti. «La scelta di Šostakovič - afferma - conferma che la Scala non è solo un luogo di memoria: è anche un teatro che ha il coraggio di proporre opere che fanno pensare, che interrogano il pubblico, lo sfidano, e che raccontano la complessità del nostro tempo. La Lady è un titolo "ruvido", forte, volutamente impegnativo, che non cerca il consenso facile. È un'opera intensa, profonda, scomoda, ma anche attualissima per i temi che propone». E aggiunge: «Mio padre amava l'opera e ho avuto il piacere di accompagnarlo parecchi anni fa a una Prima. Questo ruolo nel cda l'ho preso con grande impegno per aiutare la Scala a proseguire nel suo straordinario lavoro». Altra componente del cda, Melania Rizzoli, in nero vintage dell’amica Chiara Boni, arrivata con il figlio Alberto Rizzoli. In nero Ivana Jelinic, ad di Enit, agenzia nazionale del Turismo. In blu firmato Antonio Riva, Giulia Crespi moglie di Angelo, direttore della Pinacoteca di Brera. In beige Ilaria Borletti Buitoni con un completo confezionato dalla sarta su un suo disegno. Letteralmente accerchiati da giornalisti, fotografi e telecamere Pierfrancesco Favino con la moglie Anna Ferzetti, Mahmood in Versace («mi sento regale») e Achille Lauro che dice quanto sia importante che l’opera arrivi ai giovani. Debutto lirico per Giorgio Pasotti mentre è una conferma per Giovanna Salza in Armani e ospite abituale è l’artista Francesco Vezzoli.
Poi, in 500, alla cena di gala firmata dallo chef 2 stelle Michelin nella storica Società del Giardino Davide Oldani. E così la Prima resta quel miracolo annuale in cui tutti, almeno per una sera, riescono a essere la versione più scintillante (e leggermente autoironica) di sé stessi.
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Guido Guidesi (Imagoeconomica)
Le Zis si propongono come aree geografiche o distretti tematici in cui imprese, startup e centri di ricerca possano operare in sinergia per stimolare l’innovazione, generare nuova occupazione qualificata, attrarre capitali, formare competenze avanzate e trattenere talenti. Nelle intenzioni della Regione, le nuove zone dovranno funzionare come poli stabili, riconosciuti e specializzati, ciascuno legato alle vocazioni produttive del proprio territorio. I progetti potranno riguardare settori differenti: manifattura avanzata, digitalizzazione, life science, agritech, energia, materiali innovativi, cultura tecnologica e altre filiere considerate strategiche.
La procedura di attivazione delle Zis è così articolata. La Fase 1, tramite manifestazione di interesse, permette ai soggetti coinvolti di presentare un Masterplan, documento preliminare in cui vengono indicati settore di specializzazione, composizione del partenariato, governance, spazi disponibili o da realizzare, laboratori, servizi tecnologici e prospetto di sostenibilità. La proposta dovrà inoltre includere la lettera di endorsement della Provincia competente. Ogni Provincia potrà ospitare fino a due Zis, senza limiti invece per le candidature interprovinciali. La dotazione economica disponibile per questa fase è pari a 1 milione di euro: il contributo regionale finanzia fino al 50% delle spese di consulenza per la stesura dei documenti necessari alla Fase 2, fino a un massimo di 100.000 euro per progetto.
La Fase 2 è riservata ai progetti ammessi dopo la valutazione iniziale. Con l’accompagnamento della Regione, i proponenti elaboreranno il Piano strategico definitivo, che dovrà disegnare una visione a lungo termine con orizzonte al 2050. Il programma di sviluppo indicherà le azioni operative: attrazione di nuove imprese e startup innovative, apertura o potenziamento di laboratori, creazione di infrastrutture digitali, percorsi formativi ad alta specializzazione, incubatori e servizi condivisi. Sarà inoltre definito un modello economico sostenibile e un sistema di monitoraggio basato su indicatori misurabili per valutare impatti occupazionali, tecnologici e competitivi.
I soggetti autorizzati alla presentazione delle candidature sono raggruppamenti pubblico-privati con imprese o startup come capofila. Possono partecipare enti pubblici, Comuni, Province, camere di commercio, università, centri di ricerca, enti formativi, fondazioni, associazioni e organizzazioni del terzo settore. Regione Lombardia avrà il ruolo di coordinatore e facilitatore. All’interno della direzione generale sviluppo economico sarà istituita una struttura dedicata al supporto dei territori: un presidio tecnico incaricato di orientare, assistere e valorizzare le progettualità, monitorando l’attuazione e la coerenza con gli obiettivi strategici.
Nel corso della presentazione istituzionale, l’assessore allo Sviluppo economico, Guido Guidesi, ha dichiarato: «Cambiamo per innovare. Le Zis saranno il connettore dei valori aggiunti di cui già disponiamo e che metteremo a sistema, ecosistemi settoriali che innovano in squadra tra aziende, ricerca, formazione, istituzioni e credito. Guardiamo al futuro difendendo il nostro sistema produttivo con l’obiettivo di consegnare opportunità ai giovani». Da Confindustria Lombardia è arrivata una valutazione positiva. Il presidente Giuseppe Pasini ha affermato: «Attraverso le Zis si intensifica il lavoro a favore delle imprese e dei territori. Apprezziamo la capacità di visione e la volontà di puntare sui giovani».
Ogni territorio svilupperà la propria specializzazione, puntando su filiere già forti o sulla creazione di nuovi segmenti tecnologici. Il percorso non prevede limiti settoriali ma richiede sostenibilità economica e capacità di generare ricadute occupazionali misurabili.
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