
L'ad e lo stilista del gruppo: «Basta guardare un capo per capire se è fatto in Italia oppure no. Cresciamo in Russia e in Cina, dove puntiamo sull'apertura di nuove boutique. Non esistono sarte disoccupate: dobbiamo spingere i giovani verso questi lavori».Entrambi non avrebbero potuto fare altro mestiere. Tenacia, spirito di sacrificio, ostinazione e voglia di farcela sono le loro caratteristiche fotocopia. Ermanno e Toni Scervino. Due menti, un'anima. Dove l'anima è la loro creatura, la Ermanno Scervino, marchio famoso nel mondo. «In ogni momento bisogna essere ricettivi agli stimoli e praticare una vita quasi ascetica: la moda è divertente, ma quello dello stilista è un lavoro faticosissimo», ha detto Toni Scervino, l'ad, durante un incontro con gli studenti dello Ied. Se Toni è quello che fa quadrare i conti, Ermanno è la creatività pura. T.S. «Durante il lockdown, Ermanno si è rifugiato ancora di più nella fantasia, con collezioni straordinarie. Ci siamo detti: cosa si può fare in questa situazione drammatica? Quello che ci viene più naturale, lavoriamo di più, facciamo muovere la fantasia».E.S. «La ricerca della bellezza e del sogno sono anche in un cappotto, in un pullover. Magari compri meno ma quello che prendi deve essere un'evasione, qualcosa che va oltre la necessità. Sono molto concentrato, quasi più esigente che agli inizi del mio lavoro». L'approccio alla vita è cambiato per tutti.E.S. «Lo vediamo in ogni momento. Non mi faccio travolgere dalla televisione, dalle notizie cattive, dalla negatività. Guardo solo film. Penso che il lavoro dello stilista serva a fuggire da questo momento».La creatività è la chiave di volta?T.S. «Sì, insieme a un altro concetto importante: il fatto di essere italiani, di lavorare in Italia, in Toscana, a Empoli e Santa Croce, uno sede del tessuto e l'altro della produzione di pellami. L'essere così legati al nostro territorio e così vicini ai fabbricanti ci ha permesso nonostante le difficoltà legate ai lockdown di ottenere risultati importanti con collezioni molto forti. Abbiamo investito in qualità e creatività».E.S. «Devi fare un prodotto giovane. La gente viene da noi alla ricerca di qualcosa di diverso. Puntare sulla bellezza è vincente, una bellezza che non ha età, al massimo subentra un certo pudore ma non si nasconde. Non ci siamo accontentati. E abbiamo venduto molto di più».Artigianalità e territorio sono stati fondamentali fin dall'inizio.E.S. «L'artigianalità dà un senso di lusso. Basta guardare il prodotto senza vedere l'etichetta e capisci che è made in Italy, dove non c'è la mano italiana si vede. La nostra è una vera eccellenza». Collezioni sempre preziose, mani uniche per lavorazioni straordinarie. C'è un ricambio generazionale? T.S. «Non è facile ma stiamo riuscendo a mettere i giovani a fianco di chi è più maturo. E pensare che non c'è un modellista o una sarta senza lavoro... Fanno innumerevoli scuole di cucina in tv ma nessuno promuove la sartoria fra i giovani». Il luogo dove si trova la vostra vostra azienda ha aiutato la vostra crescita? E.S. «Noi siamo a Bagno a Ripoli, le colline di Firenze. La nostra terra era famosa per il ricamo. Buckingham Palace e i ricchi signori inglesi commissionavano qui i loro corredi. Poi sono arrivati gli arabi ad apprezzare queste manualità meravigliose». Un successo ormai conclamato che trova conferma nelle ultime numerose aperture.T.S. «Nel 2021 abbiamo aperto altre tre nuove boutique in Cina a Dalian, Wuhan e Nanjing e stiamo per inaugurare la quarta a Shenzhen, portando a 13 i negozi aperti in quattro anni in Cina. Sono in programma almeno due nuove boutique nel 2022 e altre cinque l'anno successivo per arrivare a 20 monomarca entro il 2023. La Cina rappresenta un mercato in forte espansione e prevediamo che chiuderemo il 2021 in crescita del 47% rispetto al 2020. La Cina si contraddistingue per l'amore verso il lusso, le cose belle e ben fatte, l'italianità. Conoscono il prodotto e la qualità. Questo per noi è un vantaggio».E.S. «Visto che non si può più viaggiare, il consumo interno è aumentato sia in Cina sia in Russia. Il nostro partner russo Bosco dei ciliegi ci ha confermato un aumento enorme di fatturato».Le vendite online cosa hanno rappresentato?T.S. «Stiamo potenziando il nostro sito anche per vendere ai negozi che non possono venire a fare gli ordini. L'online è stato fondamentale. Senza questo supporto la maggior parte delle case di moda sarebbe rovinata. La pandemia ha messo in evidenza la necessità di avere un online ben strutturato, bisogna adeguarsi ai tempi nuovi. Ci deve essere sia lo shopping fisico sia il digitale. Per noi non ha ancora lo stesso valore di quello fisico ma nella percezione del brand è determinante, dato che dopo la donna va in negozio». E.S. «L'online è importante ma penso che lo shopping del futuro sarà uscire, andare a pranzo, entrare nei negozi. In America sono più preparati, hanno meno contatti diretti con il negozio. Ma non capisco come si possa comprare un abito da sera su Internet. Sento la necessità di riappropriarmi del contatto fisico, della piacevolezza di entrare nei negozi con serenità».Vedete la luce in fondo al tunnel?E.S. «Sì, almeno io che sono un sognatore». T.S. «Non sono un sognatore ma la luce la vedo anche se siamo ancora nel tunnel. Ci sono Paesi più indietro di altri e non si capisce che piega prenderà la pandemia. Se si parla di quarta ondata si semina incertezza. Non so se nel 2022 sarà tutto finito, certo che un plauso all'Italia mi sento di farlo. Non so se questo vaccino è perfetto o meno ma è la risposta migliore che abbiamo».
Ansa
Josep Martínez stava andando ad Appiano quando ha travolto per cause da chiarire il disabile: è indagato per omicidio stradale.
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Francesco Buzzella: «L’anno scorso in Europa hanno chiuso impianti che fruttavano 11 milioni di tonnellate. Che oggi compriamo per lo più dall’Asia». Emanuele Orsini batte cassa in Ue: «Servono gli eurobond per sostenere l’industria».
Beatrice Venezi (Imagoeconomica)
Un deputato attribuisce alla vicinanza a Fdi la nomina al Teatro Colon di Buenos Aires. Il sovrintendente reagisce: «Qui la vogliono gli artisti». Rischio incidente diplomatico.
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Rifugiato, aveva già compiuto diverse rapine e terrorizzava Porta Venezia. Le persone erano costrette a cambiare strada.






