2023-09-04
«La destra ha ancora complessi d’inferiorità sui valori in cui crede»
Lucetta Scaraffia (Imagoeconomica)
Lucetta Scaraffia: «Il libro del generale non è omofobo né razzista e ha spunti di buon senso. Eppure ha imbarazzato molti conservatori».Lucetta Scaraffia è un’editorialista e una voce critica del mondo femminista. Già docente di storia contemporanea all’Università La Sapienza. Parto dalla più stretta attualità. La indignano le parole del conduttore televisivo Andrea Giambruno, nonché compagno di Giorgia Meloni, a proposito di violenza sessuale ed eventuale ubriachezza?«Queste parole mi sono apparse imprudenti. Sembrava quasi che Giambruno volesse affermare che le donne devono limitare la loro libertà pur di evitare gli abusi. Questo è un problema che va risolto educando i maschi, non le ragazze che sono solo vittime. Ma penso non ne fosse consapevole, e considerasse le sue solo parole di buon senso, che non volevano certo essere un alleggerimento della colpa da parte maschile, come molti hanno voluto pensare. Ma purtroppo, dopo secoli in cui la colpa della violenza è stata sempre data alla donna, bisognava stare molto attenti».Lei ha scritto che il libro del generale Vannacci non va demonizzato, ma casomai discusso. Ha sorpreso molto questa sua posizione…«La vivace e pesante critica alle parole del generale mi è sembrato un tentativo di evitare il dibattito su questi temi. Anche se su molte parti del libro non sono assolutamente d’accordo penso che non sia questo il tema. Il punto è che bisogna entrare in un confronto dialettico e rispettoso con Vannacci. La scusa con cui questo confronto è stato evitato è che il suo punto di vista sarebbe omofobo e razzista: a me non sembra. Esprime piuttosto un pensiero conservatore, condiviso da moltissime persone e suffragato dal buon senso». La destra si è trovata in imbarazzo però a difendere Vannacci.«La destra si è effettivamente sentita in imbarazzo davanti a un punto di vista simile al suo, ma non del tutto condivisibile, e non ha saputo esprimere un giudizio articolato. Sono anni che la difesa di alcuni valori conservatori non è accompagnata da una elaborazione culturale approfondita. Spesso i partiti di destra si sono limitati a reagire con il rifiuto anche davanti a cambiamenti positivi e indispensabili. Non è nata una vera cultura alternativa a quella elaborata dai progressisti sui temi più sensibili del dibattito contemporaneo». In quanto esperta e docente di storia contemporanea, le chiedo: quando e come nasce la superiorità o comunque l’egemonia culturale della sinistra in Italia?«Questa egemonia è nata nel secondo dopoguerra dopo il crollo del fascismo, in risposta all’egemonia culturale esercitata dal regime. In gran parte per merito di Togliatti che, teorizzando la necessità dell’egemonia culturale, ha scelto di privilegiare il rapporto con gli intellettuali. Va anche considerato che il secondo dopoguerra è stato un periodo di intensa vivacità culturale, non solo a sinistra, ma anche fra i cattolici e i liberali. Oggi però complessivamente queste esperienze versano in una fase di decadenza».È corretto affermare che la destra ha un complesso di inferiorità nei confronti della sinistra?«Certo, l’egemonia culturale della sinistra ha generato un senso di esclusione e quindi di inferiorità negli ambienti politici di destra, rafforzato anche dal fatto che la sinistra si è impadronita rapidamente dei nuovi stili di vita. Questi hanno segnato i mondi dell’arte e della cultura. Hanno attratto così le personalità più intelligenti e brillanti. Non dico che non vi siano stati pensatori ed intellettuali a destra, ma raramente sono riusciti a entrare in confronto con gli altri mondi di pensiero. Si tratta di un fenomeno tipicamente italiano, in cui la differenza fra i due schieramenti è netta e paralizza ogni forma di discussione. Tanto per fare un esempio, in Francia si è svolto un dibattito intenso sul tema dell’utero in affitto, che ha travalicato nettamente gli steccati destra-sinistra. Molte personalità legate al mondo della sinistra hanno espresso contrarietà verso la maternità surrogata».Una donna costretta ad affittare il proprio utero deve bombardarsi di ormoni che fanno aumentare anche di otto volte la probabilità di insorgenza di tumori. Non solo per lei, ma addirittura per il nascituro. Lo ha scritto lei. Impressionante!«Molte notizie che riguardano la salute e l’integrità del corpo umano sono spesso sottaciute, come ad esempio quelle sugli effetti dei farmaci, perché vi sono dietro interessi forti. Ma la voglio correggere: una donna è costretta a questa pratica solo nei Paesi più poveri. In altre zone del mondo in cui questa pratica è consentita, come ad esempio nel Nord America, la donna lo fa per scelta, magari anche libera. Spesso per guadagnare soldi che servono alla famiglia, ad esempio per far studiare i figli».Marco Rizzo sostiene che l’utero in affitto sia una pratica razzista e classista. Concorda?«Sono d’accordo. E penso che i sostenitori di tale pratica, che dicono che può sussistere anche la fattispecie della donazione libera del proprio utero da parte di una donna, sappiano benissimo che si tratta di casi rarissimi. In genere solo fra consanguinee». Su aborto e divorzio l’opinione pubblica era molto più avanti della politica. Sull’utero in affitto?«C’è una differenza sostanziale. La pratica dell’utero in affitto in realtà coinvolge pochissime persone e per di più la maggioranza su questo è male informata. Anche se volesse capire meglio, troverebbe con molta difficoltà informazioni relative al pericolo delle terapie ormonali alle quali le donne sono sottoposte. Per di più, chi oggi vi ricorre è una minoranza, e lo fa andando all’estero. Ben diverso è il caso dell’aborto o del divorzio. Questi erano problemi che interessavano la maggioranza delle persone che, nei loro vissuti familiari quotidiani, si scontravano spesso con difficoltà coniugali gravi e necessità di abortire». Perché le femministe a proposito dell’utero in affitto non si fanno sentire?«Non è assolutamente vero. La maggior parte delle femministe è contraria all’utero in affitto, come provano gli articoli di una leader come Alessandra Bocchetti. E recentemente Adriana Cavarero, una delle più note filosofe femministe, in un intervento molto argomentato e convincente, si è espressa anche lei contro questa pratica. Ci sono invece altre donne, che pure si professano femministe, più attente agli interessi politici e partitici che la loro posizione implicherebbe».Professoressa, la provoco. Oggi abbiamo un premier donna e le femministe hanno vinto. Quindi non servono più. Che dice?«Il femminismo non è solo questione di potere. È necessario e centrale il loro sguardo critico sulla società. Fondamentale è il loro contributo al miglioramento della legislazione. Senza lo sforzo militante delle femministe, per esempio, non avremmo le leggi contro lo stupro che proteggono le vittime e danno valore alla loro parola. Ci sono ancora molti settori da riformare in questo senso».Secondo lei il Partito democratico un’identità ce l’ha? Se sì, qual è?«I partiti di sinistra in Italia hanno incontrato molte difficoltà a costruire una nuova identità e a generare un nuovo progetto politico dopo la caduta del comunismo europeo. Il Partito democratico l’ha fatto partendo dal programma delle femministe e da una prospettiva bioetica progressista, che però non sono condivise da tanti militanti come erano in passato le prospettive di rinnovamento sociale. Questo genera una confusione di base, in cui è difficile districarsi». Lei insiste spesso sul tema della difficoltà a dibattere su certi temi. E se io le dicessi che è una tendenza standard? Dal Covid alla guerra in Ucraina, passando per il cambiamento climatico e arrivando al cosiddetto gender? Su certi temi è impossibile esprimere posizioni critiche, pena la ghettizzazione da parte del mainstream.«Sì, in molti casi non è facile aprire la porta a un certo tipo di discussioni. Se si vogliono sostenere idee diverse da quelle del politically correct si viene spesso demonizzati, accusati di essere retrogradi, e la discussione si chiude senza possibilità di replica. È così che certi argomenti diventano quasi tabù e in molti li evitano, pur di non finire ai margini del mondo mediatico».