2020-06-02
Scalata di Del Vecchio a Mediobanca. E i giallorossi restano in silenzio
Leonardo Del Vecchio (Ansa)
L'opposizione insorge a difesa anche di Generali, Pd e M5s tacciono: potrebbero pensare a un aiuto dell'imprenditore per i dossier Ilva e Alitalia. Il Copasir intanto si muove grazie al nuovo golden powerUrbano Cairo, impegnato contro Blackstone, pensa di cedere Rcs per concentrarsi sulle tv, ma prima deve restituire a Intesa 30 milioni di fido. Gli Elkann stanno alla finestra.Lo speciale contiene due articoliNiente è più inedito di quanto già scritto, si dice nel giornalismo. E questo è un po' il caso del tentativo di scalata di Leonardo Del Vecchio al fortino di Mediobanca (che ieri in Borsa ha chiuso a +8%). Intendiamoci, la notizia riportata da Repubblica in prima pagina è uno scoop, sebbene atteso da più di sei mesi. Lo mossa era già stata anticipata dal diretto interessato, ma i modi e le tempistiche con cui viene rimessa al centro delle cronache finanziarie insegnano tante cose. Le prime due riguardano l'agenda della settimana. Due grossi eventi in vista. Il primo coinvolge il governo e la famiglia Benetton. Il governo aveva promesso a breve una soluzione alla causa in corso sulle concessioni magari con annesso riassetto azionario di Aspi e Atlantia. La situazione è in alto mare e difficilmente quaglierà prima di settembre. Se la comunità finanziaria è impegnata a discutere del futuro di Generali, la cui porta d'ingresso si chiama Mediobanca, sarà più facile per il governo far passare sotto silenzio l'ulteriore slittamento e l'ennesima promessa non mantenuta. Discutere del futuro di Generali permetterà anche a Intesa di gestire la partita Ubi sotto traccia senza che un giorno sì e un giorno no i vertici della banca bergamasca finiscano con il dichiarare qualcosa sulle colonne dei quotidiani. Fatta la doverosa premessa, erano anni che i salotti, o quel che resta di essi, non erano così in fibrillazione. Consolidamento bancario e assicurativo in un solo colpo. Riassetto delle autostrade italiane e pure della rete di telecomunicazioni in vista del 5G. Appare comprensibile, dunque, che le mosse di Del Vecchio attraverso Delfin sembrino mirate non tanto a rilanciare le attività di Mediobanca, ma a fare di Piazzetta Cuccia una banca a sua immagine per poi passare a contare di più in Generali. Per farlo, il patron di Luxottica dovrà affrontare lo schieramento di Alberto Nagel e di Carlo Messina che in questa partita si muovono allineati e godono pure del sostegno (indiretto) di Carlo Cimbri, le cui assicurazioni Unipolsai potrebbero non apprezzare un cambio imprevisto negli equilibri delle polizze italiane. Stiamo parlando della stessa compagnia di via Stalingrado che è scesa al fianco di Intesa nell'Ops su Ubi. Perché l'Italia è sempre stata piccola e il consolidamento sta riavvicinando i salotti che contano. Motivo in più per accendere i fari sulla grande cassaforte di Generali. Del Vecchio porta con sé qualcosa in più di un pregiudizio, porta con sé l'alleanza strategica con i francesi. Cosa che ha subito fatto scattare l'allarme da parte del Copasir, il comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica. «Recenti notizie accentuano le preoccupazioni già espresse dal Copasir in merito al possibile controllo fuori dai confini nazionali di primari istituti bancari e assicurativi già riconosciuti per altro tra i maggiori detentori di debito sovrano italiano», ha commentato ieri il presidente, Raffaele Volpi, aggiungendo che «essendo le notizie pubbliche pensiamo possa esservi una autonoma attivazione degli organismi di controllo. Non si può depauperare il sistema Paese di capisaldi strategici in favore di attori che proseguono interessi diversi da quelli nazionali», ha concluso. Della stessa idea esponenti di Fratelli D'Italia, come Adolfo Urso, e della Lega. «Dobbiamo valorizzare i nostri asset strategici che sono Mediobanca e Generali», ha detto il tesoriere del Carroccio Giulio Centemero chiudendo il cerchio del centro destra. Nel frattempo, a muoversi con una certa assiduità al governo c'è la figura di Riccardo Fraccaro, sottosegretario alla presidenza del Consiglio. A lui si deve l'inserimento nel dl Liquidità della nuova versione del golden power, il veto di governo sulle aziende sensibili, e pure la pubblicazione del recentissimo Dpcm che estende il medesimo scudo anti scalate a una serie di settori (energia, acqua e infrastrutture) e alle società quotate. La vera novità sta nella possibilità di imporre uno stop (al momento di un anno) anche a investitori comunitari. Tradotto: francesi. Eppure non si può non notare che gli unici esponenti politici che hanno fiatato a favore di Mediobanca e di conseguenza del Leone di Trieste sono stati quelli dell'opposizione. Il governo da un lato rafforza le difese (seguendo i consigli dell'intelligence), ma dall'altro sembra tacere sulla partita. Pd e 5 stelle non vogliono esprimersi. Forse vedono in Del Vecchio un possibile partner per uscire dalle mille secche in cui si sono cacciati. Alitalia è in coma, Arcelor Mittal è pronta ad andarsene e pagherà un cippino di 1 miliardo. E Taranto seppur nazionalizzata avrà bisogno di nuovi capitali oltre che di un partner cosiddetto industriale. Nel 2016 Il patron di Luxottica era in campo assieme ad Arvedi nella cordata opposta ad Arcelor. Chissà se la maggioranza tace su Generali e Mediobanca perché spera di poter chiedere aiuto a Del Vecchio altrove. Giuseppe Conte dovrebbe però fare due conti opportunistici. Saprà sicuramente che la banca di sistema è una sola e che assieme al nuovo asse finanziario contribuisce alla stabilità del debito pubblico. E di rimando della sua poltrona. Se sulla partita Generali avesse idee esterofile, prima o poi dovrà dirlo. Non si può tenere il piede in due scarpe troppo a lungo.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/scalata-di-del-vecchio-a-mediobanca-e-i-giallorossi-restano-in-silenzio-2646147052.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="dentro-la-partita-finanziaria-si-riapre-il-gioco-delleditoria-occhi-puntati-sul-corriere" data-post-id="2646147052" data-published-at="1591086627" data-use-pagination="False"> Dentro la partita finanziaria si riapre il gioco dell’editoria. Occhi puntati sul «Corriere» Anni fa un docente universitario chiese a Giovanni Bazoli quale fosse stata la bussola della sua attività di banchiere. Il professore bresciano rispose, senza esitazione, di essere stato guidato dall'obiettivo di far rinascere e crescere l'istituto che gli era stato affidato, ma anche, nello stesso tempo, dall'intento di concorrere allo sviluppo sociale e culturale del Paese. Sviluppo che è passato anche dalle pagine del Corriere della Sera, il quotidiano della borghesia lombarda, e dal destino del gruppo Rizzoli, poi diventato Rcs, specchio della storia dell'ultimo trentennio, tra appetiti, scontri politici e finanziari, trappole evitate e subite, come se tutto il capitalismo italico ruotasse intorno a questo eterno oggetto del desiderio. Il controllo della Rizzoli - e soprattutto i debiti - facevano parte della pesante eredità del Banco Ambrosiano che Bazoli doveva rilanciare nel suo doppio ruolo di primo azionista ma anche di principale creditore. Per salvare la casa editrice dalla bancarotta il banchiere chiese, e ottenne, l'aiuto della Fiat e di Gianni Agnelli con cui instaurò un rapporto significativo. Tanto da ricevere dall'Avvocato, poche settimane prima della sua morte avvenuta a gennaio 2003, una sorta di «mandato morale» per vigilare sulle sorti del Corriere. «Ascoltate anche in futuro quello che vi propone il professor Bazoli», disse Agnelli al suo legale di fiducia, Franzo Grande Stevens. E così è stato. Quasi 13 anni dopo, nell'estate del 2016, l'Intesa presieduta da Bazoli e guidata da Carlo Messina è scesa in campo per finanziare l'Opa lanciata dalla Cairo communication di Urbano Cairo contro la cordata antagonista di cui facevano parte Mediobanca, Unipol, Diego Della Valle e Marco Tronchetti Provera. Oggi gli equilibri sono profondamente cambiati: Fiat, diventata Fca, è uscita da Rcs e ha negoziato con Intesa un maxi prestito da 6,3 miliardi garantito dalla Sace per sostenere la filiera italiana dell'automotive, e nel frattempo il nipote dell'avvocato, John Elkann, ha preso il controllo di Repubblica, Espresso e Stampa con il gruppo Gedi. Non solo. Intesa ha Mediobanca e Unipol come alleate nell'Ops su Ubi che però tenta di guadagnare tempo portando l'offerta in tribunale per altro seguendo le strategie legali dell'avvocato d'affari Sergio Erede che ai tempi dell'Opa del 2016 giocava invece con il team di Intesa. Lo stesso Erede che, come ha ricordato un articolo della Verità a fine febbraio, per conto di Cairo adesso sta combattendo anche la battaglia contro il fondo americano Blackstone sulla vendita della sede del Corriere della Sera in via Solferino e che al fianco di Leonardo Del Vecchio sta gestendo l'avanzata del patron di Luxottica su Mediobanca. Il mondo è cambiato, alcuni attori delle sfide finanziarie di un tempo sono finiti a bordo pista oppure giocano con una nuova maglia e appetiti stranieri si affacciano all'orizzonte. Eppure Rcs resta un crocevia dei nuovi assetti di potere – non solo editoriale - in questo Paese che nuove alleanze possono condizionare, soprattutto alla luce delle ultime grandi manovre sul fronte bancario e assicurativo. In molti hanno notato il titolone sfornato da Repubblica in prima pagina sulla richiesta inviata formalmente da Del Vecchio alla Bce per poter salire al 20% di Mediobanca in chiave «non ostile» verso l'ad Alberto Nagel ma con un occhio alle Generali. Notizia gustosa, sia chiaro, e data in anteprima. Ma le mosse dell'imprenditore veneto su Piazzetta Cuccia erano note da mesi, perché dargli così tanta evidenza aprendoci addirittura il giornale? Di certo, nell'attuale scacchiere delle relazioni, gli Elkann sono gemellati con il «team Messina» cui può far comodo se l'attenzione mediatica si sposta dalla partita su Brescia a quella di Del Vecchio su Trieste. Tenendo d'occhio l'altra corazzata editoriale, ovvero il Corriere, di cui Intesa è ancora creditore per 30 milioni sui 100 di debito. L'indebitamento finanziario netto consolidato dell'intero gruppo Cairo communication è infatti di 108,9 milioni ed è riferibile a Rcs per 108,1 milioni. I rapporti tra Urbano Cairo e Messina non sarebbero più saldi come un tempo. E l'imprenditore, secondo indiscrezioni raccolte in ambienti finanziari, starebbe valutando un possibile disimpegno da Rcs per rafforzarsi sul mercato televisivo con La 7 e tenersi le mani più libere come editore. Solo rumors? Chissà. Sta di fatto che, negli accordi presi con Intesa in cambio del finanziamento dell'Opa del 2016, è previsto il rimborso anticipato della linea di credito concessa dalla banca «qualora Cairo communication cessi di detenere, direttamente o indirettamente, una partecipazione almeno pari al 35% del capitale sociale di Rcs». Insomma, se davvero l'imprenditore volesse uscire dal Corriere, dovrebbe prima saldare i debiti. E comunque fare i conti con le reazioni di Messina e Nanni Bazoli, ora presidente emerito di Intesa, deciso a mantenere la promessa fatta anni fa all'Avvocato. Il patron del Torino è pronto a finire in guerra contro Intesa, Elkann, che pur essendo editore concorrente segue le orme del nonno, e pure contro Mediobanca? Cairo è avvisato.
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