
La Commissione valuta in negativo tutti i nostri parametri: crescita giù, debito invariato e deficit oltre il 3%. I cervelloni di Bruxelles, però, sono abbonati all'errore. Nell'ultimo lustro ci hanno azzeccato solo una volta.È guerra di cifre tra la Commissione europea e il governo italiano. La pubblicazione delle consuete previsioni autunnali, caso mai ce ne fosse bisogno, ha segnato in maniera ancora più netta la crescente distanza tra Roma e gli euroburocrati. «Dopo la solida crescita registrata nel 2017», si legge in apertura, «l'economia italiana ha rallentato a partire dalla prima metà dell'anno per via del calo delle esportazioni e dell'indebolimento della produzione industriale». Per quanto riguarda l'anno in corso, la crescita del Pil è fissata all'1,1%, il debito pubblico al 131,1%, mentre il deficit è previsto attestarsi all'1,9%. Ma il peggio deve ancora venire. Nel 2019 il deficit dovrebbe schizzare al 2,9%, mentre la crescita dovrebbe rimanere stagnante all'1,2%. Tutta colpa, scrivono da Bruxelles, delle misure programmate dal governo. «La spesa pubblica», si legge nel focus dedicato all'Italia, «crescerà significativamente a seguito dell'introduzione del reddito di cittadinanza, di una maggiore flessibilità per i pensionamenti anticipati, e per l'aumento degli investimenti pubblici». Per effetto di questi provvedimenti, nel 2020 il rapporto deficit/Pil dovrebbe addirittura sforare il parametro previsto dal Patto di stabilità e crescita, attestandosi al 3,1%. Uno scenario che prende in considerazione «l'incremento dei rendimenti sui titoli sovrani, risparmi più bassi derivanti dalla spending review e l'aumento della spesa pubblica come conseguenza del rinnovo dei contratti dei dipendenti pubblici». Sul versante del debito pubblico, a causa del combinato disposto tra deterioramento fiscale e scarsa crescita, questo è previsto rimanere costante intorno al 131%. Nella giornata di ieri è intervenuto anche il Fondo monetario internazionale, confermando le stime per la crescita italiana all'1,2% per il 2018, all'1% per il 2019 e allo 0,9% per il 2020.Numeri totalmente diversi da quelli dichiarati dall'esecutivo nel Documento programmatico di bilancio (Dpb) inviato a Bruxelles lo scorso 16 ottobre. Secondo il Mef, infatti, la crescita dovrebbe attestarsi all'1,5% nel 2019 e all'1,6% nel 2020, mentre per l'anno prossimo il deficit rimarrebbe contenuto al 2,4%. Ma le previsioni Via XX Settembre risultano ottimistiche anche per ciò che concerne la prospettiva di riduzione del debito. Un calo che, seppur modesto, dovrebbe portare l'indebitamento al di sotto della soglia del 130% già nel 2020 (128,1%). Non meraviglia, dunque, la reazione del ministro dell'Economia, Giovanni Tria, che definisce le previsioni della Commissione europea relative al deficit italiano in «netto contrasto con quelle del governo italiano» e frutto di una «analisi non attenta e parziale del Dpb». Nel corso di una conferenza stampa svoltasi ieri, il commissario europeo per gli Affari economici e monetari, Pierre Moscovici, ha affermato che «bisogna rispettare le regole, la Commissione deve applicarle e non può fare altrimenti che agire nel quadro delle regole». «Spero in una soluzione comune, voglio un dialogo con l'Italia», ha aggiunto Moscovici, il quale pur dichiarandosi a «favore della flessibilità quando un Paese ha conosciuto catastrofi naturali», ha ribadito per l'ennesima volta che «esistono regole e dobbiamo farle rispettare». Come ha spiegato nei giorni scorsi La Verità, appellandosi alla violazione degli obiettivi per l'anno in corso, esiste la possibilità concreta che la Commissione applichi sin da subito le sanzioni previste dalla procedura per disavanzo eccessivo. Una multa pesante sia dal punto di vista economico (si parla di importi che variano dai 3,5 agli 8 miliardi di euro) che politico.Questo è il clima, giova ricordarlo, a soli cinque giorni dal termine fissato da Bruxelles per riformulare la bozza di bilancio in conformità alle regole europee. Le sciagure profetizzate nelle previsioni autunnali fanno parte della strategia del terrore messa in campo dai burocrati per aumentare la pressione nei confronti del governo. Non si può dire, però, che si tratti di un'arma particolarmente affilata. Come si legge nella tabella qui sopra, andando a ritroso negli anni, infatti, è facile osservare come nella stragrande maggioranza dei casi le ipotesi della Commissione si siano rivelate infondate. Mettendo a confronto i dati reali con le stime degli ultimi cinque anni relative a deficit, debito pubblico e crescita, si rileva che a Bruxelles hanno azzeccato una sola volta su quindici: eravamo nel 2017, con un deficit previsto, e poi confermato dalla realtà, al 2,4% del Pil. A volte l'errore è stato per difetto, altre per eccesso, ma si capisce bene che finché ci troviamo nel campo delle possibilità questi numeri lasciano il tempo che trovano. Sarà anche per questo motivo che, nonostante i consueti proclami e le ormai abituali minacce, anche ieri lo spread è rimasto stabile sotto quota 300, chiudendo a 294.
Ansa
Slitta a oggi il termine per le modifiche alla manovra. Spunta bonus per le scuole private.
Rush finale per gli emendamenti alla manovra. È slittato a oggi il termine per la presentazione dei cosiddetti segnalati. Significa che le 5.742 proposte di modifica del testo iniziale, saranno ridotte a 414. Sempre oggi si svolgerà un pre Consiglio dei ministri in vista del cdm di domani. Uno dei punti all’ordine del giorno è lo schema di disegno di legge che prevede l’istituzione del Registro unico nazionale dei dispositivi medici impiantabili. Sono poi previsti due schemi di decreto legislativo. Il primo su Terzo settore, crisi d’impresa, sport e Iva. Il secondo, introduce integrazioni per Irpef e Ires, tocca la fiscalità internazionale, le imposte sulle successioni e donazioni e di registro, con modifiche anche allo Statuto dei diritti del contribuente e ai testi unici delle sanzioni tributarie. Si affronterà poi l’adeguamento alla normativa europea. Vengono esaminati in via definitiva i decreti relativi alle sanzioni per chi viola gli obblighi sui carburanti sostenibili per l’aviazione (Saf).
Lucio Malan (Ansa)
La mossa di Lucio Malan ricorda che 275 miliardi di riserve sono del Paese. Anche se non ne può disporre per le regole europee.
Ci sono diversi modi per mandare frecciatine nemmeno tanto trasversali verso la Banca d’Italia, l’Eurosistema e la Ue. Uno è quello di voler stabilire in modo inequivocabile chi è il proprietario delle riserve auree detenute e gestite dalle stanze di Palazzo Koch.
Dopo un tentativo simile durante il governo Conte uno, a opera del senatore leghista Claudio Borghi, venerdì è stato il senatore Lucio Malan, capogruppo di Fdi al Senato, con altri quattro senatori del suo partito, ad apporre la propria firma su un lapidario emendamento alla legge di Bilancio 2026: «Le riserve auree gestite e detenute dalla Banca d’Italia appartengono allo Stato, in nome del popolo italiano».
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 19 novembre con Flaminia Camilletti
Roberto Calderoli e Luca Zaia (Ansa)
Attilio Fontana e Luca Zaia siglano le pre-intese su Protezione civile, professioni, previdenza integrativa e sanità. Il Doge: «Subito 300 milioni agli ospedali». Roberto Calderoli: «Federalismo fiscale entro marzo o saltano 32 miliardi di Pnrr».
Diciotto novembre. Data storica. Un anno dopo l’intervento della Corte costituzionale che ha fermato, di fatto, l’entrata in vigore della legge Calderoli sull’Autonomia differenziata, sono arrivate le prime storiche pre-intese tra i governatori di Veneto e Lombardia con il ministro degli Affari regionali su quattro materie: Protezione civile, professioni, previdenza complementare e gestione finanziaria della sanità. Nella Costituzione c’è scritto che sono 23 le materie che possono essere affidate in gestione alle Regioni, ma 15 sono «protette» dai Lep, ovvero bisogna fissare i Livelli essenziali di prestazione prima di procedere alla devoluzione. «Entro la legislatura», saranno fissati i criteri per i Lep ha annunciato Roberto Calderoli ieri mattina a Palazzo Balbi, la sede della Regione Veneto, durante la firma dell’accordo con Luca Zaia.






