Saviano ora si finge esule a Francoforte: «Alla Fiera del libro farò la resistenza»

Ieri, su Repubblica, Paolo Rumiz ha firmato un articolo molto coraggioso. In procinto di partecipare alla Fiera del libro di Francoforte, si è chiesto quale grande pensiero abbiano partorito negli ultimi anni gli scrittori e gli intellettuali di sinistra. «È un fatto», ha scritto. «Quasi ovunque i partiti cosiddetti moderati e di governo mancano di narrazione. La democrazia è diventata il regno dello sbadiglio. Essa rischia di estinguersi da sé per assenza di emotività e impulso narrativo. I partiti di centro sembrano rifugiarsi nella gestione del potere, stile amministrazione di condominio, o in una maldestra imitazione dei proclami etno-nazionalisti. Quanto alla sinistra, la sento insuperabile nel de-costruire o partorire raffinate analisi, ma incapace di indicare una direzione maestra. Gli esponenti-tipo della sinistra sono saccenti, irritano il popolo facendo discendere su di esso le loro verità rivelate». Radiografia impeccabile, rara e rivelatrice di notevoli capacità autocritiche.
Rumiz, amareggiato, si domanda come mai alcune parole chiave, fondamentali per il nostro tempo, siano divenute di esclusivo appannaggio della destra. Parole come patria, popolo, tradizione, identità, libertà, diritti sociali, fratellanza. Dove erano gli scrittori, dice Rumiz, mentre avveniva «lo scippo» delle parole? La risposta che egli si dà è la seguente: «Forse dormivano».
Esiste però almeno un’altra risposta possibile: gli autori italici erano impegnati a combattere il fascismo inesistente. A dimostrare quanto sia fondata tale ipotesi è sempre Repubblica, proprio nel pezzo che fiancheggia l’articolo di Rumiz. Si tratta di una robusta intervista a Roberto Saviano, anche lui ospite della Buchmesse. Attorno alla partecipazione dell’autore di Gomorra, nei mesi scorsi, si è sviluppato un grottesco psicodramma. Saviano non è stato selezionato da Mauro Mazza, organizzatore della delegazione italiana, e ne ha immediatamente approfittato per gridare alla censura. In realtà, il caro Roberto non è stato affatto censurato: non avendo un libro originale in uscita, gli editori non hanno richiesto la sua presenza (come confermato dalla associazione di categoria). In ogni caso, Saviano era comunque già nel programma, poiché era già stato invitato da tempo da editori e traduttori tedeschi.
Tutto ciò, in ogni caso, non rileva. Saviano si è dichiarato martire e praticamente tutti lo considerano tale. Tanto che Repubblica gli ha concesso di esprimersi come se fosse un dissidente sovietico a rischio Gulag. La sua presenza a Francoforte, ha detto, è «una forma di resistenza». Poi ha chiarito: «Vado alla Buchmesse per resistere all’Italia della democratura». Inappuntabile: poiché in Italia è tornato il fascismo, gli scrittori partigiani andranno a Berlino per ritrovare un pizzico di libertà. Tra i vari esuli ci sarà anche Antonio Scurati, il quale presenterà il nuovo capitolo della sua saga dedicata a Benito Mussolini, trasformata pure in una serie tv. Davvero interessante: nella nazione dominata dalla destra fascista e censoria gli scrittori si fanno belli romanzando la vita del Duce e presentando il tutto come un gesto di antifascismo militante. Sono così perseguitati, quegli scrittori, che appaiono su tutti i giornali e in tv, ricevono inviti a tutti i festival e a tutte le rassegne. Al contempo, però, si divertono a vendersi come perseguitati politici, cosa che alimenta ulteriormente il loro prestigio.
Legittimo, per carità. Si tratta, per altro, di un grande modello di business, che consente di aumentare le copie vendute e tenere alta l’attenzione sulle star culturali. C’è tuttavia una conseguenza: impegnati come sono a curare la propria immagine di resistenti, gli intellettuali progressisti si sono dimenticati di produrre pensiero e di sfornare idee nuove. Dediti al riciclaggio di pose ammuffite, non sono riusciti nemmeno a riciclare idee altrui. Ecco, allora, il deserto culturale di cui parla Rumiz. Ecco perché alcune parole sono sparite dal vocabolario della sinistra.
A nostro avviso, a differenza di ciò che sostiene Rumiz, non è avvenuto alcuno scippo: i concetti di patria, tradizione, libertà eccetera sono da sempre patrimonio della cultura conservatrice e tradizionalista (quella «di destra», per intendersi). Quel che è accaduto è che alcuni politici hanno saputo declinare le antiche parole in modo efficace, rispondendo alle richieste di popoli che la sinistra, semplicemente, ha smesso di ascoltare. Anzi, a dirla tutta esiste anche una sinistra che certe parole «conservatrici» le usa eccome, e infatti viene ferocemente demonizzata al pari della destra dagli illustri maestri del pensiero liberal. Ed è esattamente questo il problema principale dei nostri tempi, che anche Rumiz finge di non vedere. La sinistra mainstream non soltanto non ha prodotto un grammo di pensiero interessante e si è completamente scollata dal popolo. Ma non ha perso occasione per invocare mordacchie e repressioni degli avversari ideologici e di tutte le idee non conformi. Di fronte alle vere discriminazioni, da quelle sanitarie in giù, non ha proferito verbo e se lo ha fatto è stato per linciare, insultare e denigrare. Pure grandi pensatori non certo di destra come Giorgio Agamben e Massimo Cacciari ne hanno fatto le spese, e dire che appartengono a un livello che tutti gli altri autori sinistrorsi si sognano di poter raggiungere.
No, il problema della sinistra non è che abbia perso le parole. È che costantemente tenta di impedire agli altri di pronunciarle. È che pur non avendo niente da dire, si dichiara censurata da un regime che non c’è per fingere di avere ancora una ragione d’esistere.






