2019-06-20
Sarkozy non ride più. L’ex presidente finirà alla sbarra per corruzione
I fatti risalgono al 2014: avrebbe tentato di avere informazioni sul caso Bettencourt in cambio di raccomandazioni a un giudice.Ci sarebbe Khalifa Haftar, l'uomo forte di Tobruk dietro il raid di Tajoura, che ha danneggiato anche un magazzino legato all'Eni in Libia. Un messaggio al Paese che più sostiene Fayez Al Serraj?Lo speciale contiene due articoli.L'ex presidente francese Nicolas Sarkozy sarà processato per «corruzione»: lo ha stabilito la Corte di cassazione transalpina. Secondo quanto rivelato l'agenzia di stampa France Presse, il processo dovrebbe svolgersi nei prossimi mesi a Parigi. Dalla fondazione della V Repubblica francese a oggi, questo è il primo caso in cui un ex capo dello Stato è oggetto di un processo con questo capo d'accusa. La nuova procedura non è però l'unico guaio giudiziario che vede come protagonista l'ex uomo forte di Parigi. Varie vicende che hanno attirato l'attenzione dei magistrati si intrecciano in questa storia. Per capire meglio la situazione, bisogna tornare alla campagna per le elezioni presidenziali del 2007. Da anni i giudici francesi cercano di chiarire se l'allora candidato Sarkozy avesse ricevuto dei finanziamenti per la campagna, dal colonnello Muammar Gheddafi. Proprio nel quadro di questa inchiesta i giudici hanno disposto, anni fa, delle intercettazioni a carico dell'ex inquilino dell'Eliseo. Dalle registrazioni delle conversazioni è emerso che nel 2014 Sarkozy, tramite il suo avvocato Thierry Herzog, avrebbe cercato di ottenere elementi su un'inchiesta: quella relativa alle vicende che sembravano collegare Liliane Bettencourt - ereditiera del gruppo L'Oréal, già donna più ricca di Francia e del Mondo, deceduta nel 2017 - e l'ex ministro delle finanze sarkozista, Eric Woerth. L'inchiesta aveva portato anche al sequestro di alcune agende appartenute all'ex presidente francese. Proprio in merito alle agende, l'avvocato Herzog aveva chiesto informazioni ad un giudice della Corte di cassazione, Gilbert Azibert. A quest'ultimo era stato promesso un prestigioso incarico nel Principato di Monaco, che poi non è arrivato. Le intercettazioni hanno anche permesso ai magistrati di scoprire che, per comunicare con il proprio avvocato, l'ex leader transalpino, utilizzava anche dei numeri cellulari «segreti» intestati identità fittizie come quella di un inesistente Paul Bismuth. In seguito l'avvocato dell'ex presidente e il giudice della cassazione sono stati rinviati a giudizio per «violazione del segreto professionale». Numerosi ricorsi sono stati presentati dai legali del marito di Carla Bruni, per contestare l'uso delle intercettazioni. Tuttavia, nel maggio 2015 la corte d'appello di Parigi ha convalidato l'uso di queste conversazioni telefoniche. Una decisione analoga è stata presa dalla Corte di cassazione nel marzo del 2016. Poi, nel marzo del 2018, Nicolas Sarkozy è stato rinviato a davanti al tribunale per «corruzione» e «traffico d'influenza». Un rinvio che è stato appunto convalidato anche dalla corte di cassazione con la decisione di ieri. Oltre alle vicende legate alla Libia e all'ex proprietaria di L'Oréal, Nicolas Sarkozy è coinvolto anche nell'affaire «Bygmalion», dal nome di una società di comunicazione che ha collaborato con lo staff dell'ex numero uno transalpino, durante la campagna presidenziale del 2012. Una vicenda spinosa e complessa che ruota attorno a false fatture. Secondo l'ex direttore della campagna elettorale ed ex deputato europeo, Jérome Lavrilleux, sarebbero state emesse per evitare il superamento della soglia autorizzata dalle regole francesi sulla contabilità elettorale. Nel febbraio del 2016, l'ex presidente francese è finito sotto inchiesta per «finanziamento illegale di una campagna elettorale». Un anno dopo è stato rinviato a giudizio con lo stesso capo d'accusa. A quel punto Sarkozy ha tentato di impedire lo svolgimento del processo. Ma, nel maggio di quest'anno, il Consiglio Costituzionale francese ha respinto il ricorso dell'ex capo di Stato.In aggiunta ai procedimenti in cui Nicolas Sarkozy risulta essere indagato, ce ne sono altri relativi a fatti avvenuti quando era l'inquilino dell'Eliseo. Per questa ragione è quasi certo che l'immunità presidenziale possa proteggerlo. Tra questi vanno ricordati l'affaire Bernard Tapie. L'ex proprietario della squadra dell'Olympique Marseille, aveva beneficiato di un arbitrato privato per chiudere un litigio legato all'acquisizione del Crédit Lyonnais. Come ricorda l'edizione francese dell'Huffington post, le agende dell'ex presidente - che non è inquisito in questa vicenda - hanno confermato numerosi passaggi all'Eliseo da parte di Tapie, mentre era in corso l'arbitrato. Poi c'è il caso dei «sondaggi dell'Eliseo». Un'inchiesta partita da presunte consulenze d'oro, commissionate, senza gare d'appalto, a società vicine all'entourage sarkozista. Infine, tra le inchieste potenzialmente neutralizzate dell'immunità presidenziale ce n'è una che porta in Kazakhstan. I magistrati indagano su commissioni sospette che sarebbero state versate in aggiunta a contratti siglati da Parigi e Astana, durante la presidenza Sarkozy. Il nome dell'ex capo di Stato francese è citato anche nell'inchiesta legata a quello che i media d'Oltralpe chiamano «l'affaire Karachi». Una vicenda nella quale si intrecciano un attentato avvenuto in Pakistan nel 2002 e sospetti di finanziamenti illeciti per delle campagne elettorali.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/sarkozy-non-ride-piu-lex-presidente-finira-alla-sbarra-per-corruzione-2638923347.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="adesso-haftar-ci-bombarda-pure" data-post-id="2638923347" data-published-at="1758064064" data-use-pagination="False"> Adesso Haftar ci bombarda pure Colpire l'Eni per avvertire l'Italia. Pare esserci il generale Khalifa Haftar dietro l'attacco aereo che martedì ha colpito a Tajoura, sobborgo a Est della capitale libica Tripoli, alcune strutture militari causando un incendio che ha coinvolto un magazzino di proprietà della Mellitah oil & gas (Mog), joint venture tra il colosso italiano e la National oil corporation (Noc, la compagnia petrolifera statale libica). Tre persone sono state ferite. Le attività di Eni in Libia procedono regolarmente, ha spiegato un portavoce del cane a sei zampe. Si tratta di «un forte segnale di attacco all'Italia», ha invece dichiarato Michele Marsiglia, presidente di FederPetroli Italia, in un comunicato: «È una notizia che ci lascia non indifferenti e ci costringe a questo punto a bloccare qualsiasi tipo di operazione in Libia». «È un'altra tragica perdita causata da questo conflitto non necessario», ha dichiarato in una nota il presidente della Noc, Mustafa Sanallah, senza specificare però che cosa ci fosse all'interno del deposito di Tajoura, dove sono presenti diversi avamposti militari. Secondo Agenzia Nova il magazzino della Mog conteneva attrezzature e pezzi di ricambio appartenenti alla joint venture. È il primo attacco a un impianto petrolifero straniero da quando le forze di Haftar hanno avviato, lo scorso 4 aprile, una campagna via terra e via aerea per prendere il controllo della capitale, in mano al governo di Fayez Al Serraj. È invece il quarto attacco alle strutture Noc dall'inizio dell'offensiva: l'ultimo è datato 24 maggio quando un raid ha colpito una struttura che fornisce servizi sanitari ai dipendenti della compagnia energetica statale libica e ai cittadini libici nella regione di Gargour, a Sud Ovest di Tripoli. In quell'occasione, come ricorda l'Agenzia Nova, la Noc di Sanallah, uomo poco gradito a Haftar, aveva parlato di «un crimine di guerra». Il tutto avviene a pochi giorni dall'annuncio da parte di Serraj di voler organizzare una conferenza nazionale sotto l'egida delle Nazioni Unite per mettere fine agli scontri per la capitale. Obiettivo: elezioni entro l'anno. Un «forum libico» aperto a «tutti i partiti e membri libici di ogni area che chiedono una soluzione pacifica e democratica», ha detto il premier tripolino prima di avvertire il rivale Haftar promettendogli di non tirarsi indietro di fronte ai suoi attacchi e di fatto escludendolo dalla conferenza. Il primo governo occidentale a commentare l'annuncio era stato quello italiano, attraverso un tweet del ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, che aveva confermato il «convinto sostegno italiano all'azione conciliatrice in Libia dell'inviato Onu» Ghassan Salamé «per l'iniziativa di una conferenza nazionale». Un endorsement seguito dalla missione del segretario generale della Farnesina Elisabetta Belloni in Turchia, che assieme al Qatar è il principale sostenitore di Serraj. Haftar vive un periodo complicato: è stato scaricato dalla Russia che sogna il ritorno di Saif Gheddafi, secondogenito dell'ex rais Muammar; la Camera di Tobruk l'ha delegittimano votando, riunita a Tripoli, l'abolizione della carica di comandante generale dell'esercito creata nel 2015 ad hoc per lui; la Francia ha ripreso a collaborare con il governo di Serraj; le cui forze, nel frattempo, hanno riconquistato l'aeroporto internazionale di Tripoli. Così Haftar ha pensato di mandare un messaggio all'Italia, primo Paese occidentale a sostenere Serraj e, assieme alla Francia, quello che ha in ballo i maggiori interessi petroliferi.