2021-04-01
La Sardegna dice no a 300 milioni di euro
La Regione boccia l'installazione di pannelli fotovoltaici del colosso danese European Energy, pronto a creare mille posti di lavoro. L'ad Alessandro Migliorini: «Hanno impiegato nove mesi per darci una risposta. Questa incertezza allontana gli investitori stranieri dall'Italia».Con meno di un terzo della popolazione che ha un lavoro (circa 569.000 persone su un totale di 1,6 milioni di abitanti) e un'economia non certo florida, la Regione Sardegna dice no a un investimento da 300 milioni di euro e oltre nuovi mille posti di lavoro.Questa storia inizia nella primavera del 2020, quando il colosso danese European Energy, tra la fine di maggio e quella di giugno, avanza sei richieste alla regione guidata dal presidente Christian Solinas per l'installazione di pannelli solari nelle aree di Carbonia, Villacidro, Portoscuso, Villasor e Decimoputzu.L'obiettivo è quello di installare pannelli agrifotovoltaici in aree a basso interesse agricolo (per non sottrarre terreno coltivabile), ma particolarmente adatte per l'energia pulita in arrivo dal sole. Da notare che i nuovi pannelli sarebbero posti in alto e i terreni sarebbero comunque utilizzabili per far pascolare il bestiame. Nei piani dei danesi ci sono pannelli per 6 impianti per 367 megawatt complessivi per la cui costruzione, tra addetti diretti e indiretti, verrebbero impiegate circa un migliaio di persone, oltre alle diverse centinaia che lavorerebbero per gestirlo nell'arco della concessione che dura 30 anni. Il progetto è importante: l'impianto produrrebbe energia rinnovabile pari ai fabbisogni annuali di 250.000 unità abitative, circa 800.000 sardi, la metà della popolazione dell'isola. D'altronde, i danesi si sono fatti ingolosire dagli svariati proclami della giunta Solinas sulla necessità di avere una Sardegna a emissioni zero entro il 2030. A maggio, dunque, in piena pandemia da Covid-19, i vertici della European Energy tra cui l'amministratore delegato per i progetti italiani Alessandro Migliorini, si incontrano a Cagliari con l'ufficio ambiente della Regione Sardegna. A parole, i presupposti sono buoni. «Si era parlato anche dell'apertura della Regione di arrivare a fare autorizzare progetti di energia rinnovabile per tre o più Gw», spiega alla Verità Migliorini. Poi, però, il vuoto.Fino a febbraio del 2021 - e dopo circa nove mesi di attesa - dopo che la European Energy aveva già speso oltre 200.000 euro per depositare i progetti, i danesi non ottengono alcuna risposta. Alla fine del mese, e dopo che il gruppo aveva fatto muovere i suoi legali per sollecitare un responso, la Sardegna si pronuncia con parere negativo su quattro delle sei richieste presentate. Per due di queste, una sull'impianto di Villacidro e un'altra su Carbonia, tuttora non è arrivata alcuna risposta. Dopo dieci mesi di attesa, dunque, il colosso danese si trova con il cerino in mano. Come fa sapere Migliorini alla Verità, «il problema non sta nell'aver rifiutato il progetto, anche se a parole l'interesse era stato manifestato, ma nel far attendere senza risposta un gruppo disposto a investire diversi milioni di euro in una terra tradizionalmente povera». Dal canto suo, la regione Sardegna interpellata dalla Verità, fa sapere che «semplicemente il progetto non è stato ritenuto adatto a livello ambientale perché troppo impattante per il territorio. Se l'azienda non è d'accordo, può sempre fare ricorso al Tar».In effetti è proprio quello che European Energy intende fare. Il colosso danese ha intenzione di portare avanti la battaglia legale facendo leva sull'inerzia delle istituzioni che, anche quando sollecitate, non hanno risposto a tutte le istanze portate avanti dall'azienda per istallare i pannelli. «Un caso come quello della Sardegna è la prima volta che ci capita», dice Migliorini. «European Energy realizza progetti in tutto il mondo ed è in Italia da diversi anni, dove ha realizzato il parco fotovoltaico record italiano in Puglia», sottolinea. «In questo caso tecnicamente si tratta di un progetto di agrifotovoltaico con pannelli solari rialzati, che poi possano piacere o meno è un altro discorso, ma insiste su aree attualmente non coltivate e ai nemici di queste soluzioni varrebbe la pena ricordare che in Francia invece stanno cavalcando questa tecnologia. Al contrario, in Sardegna sono state avanzate perplessità persino su come si dovessero pulire i pannelli istallati. È chiaro che il dubbio venga: l'apertura verso la sostenibilità ambientale sembra solo di facciata. Poi, quando si viene ai fatti, la musica cambia». Quello che è certo è che questo non è il primo progetto ad energia pulita ad essere rigettato dalla regione Sardegna. Proprio come è avvenuto con la European Energy, la Erg sta portando avanti una battaglia legale per la creazione del parco eolico di Ploaghe e Nulvi (Sassari) e, anche in questo caso, il percorso burocratico non aveva mai visto la Regione opporsi durante l'iter di valutazione ambientale. «In Danimarca le tempistiche sono certe, dopo circa nove mesi si hanno tutte le risposte che servono. Mentre in questo caso, nello stesso lasso di tempo non è accaduto nulla, questa mancanza di certezza dei tempi legata al processo autorizzativo, qualunque sia l'esito, allontana i potenziali investitori stranieri e rende irraggiungibile per l'Italia i traguardi al 2030 indicati dall'Europa», conclude Migliorini.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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