
Si allarga l'inchiesta vaticana sugli investimenti in terra inglese dopo il caso dell'immobile da 40 milioni di euro a Sloane avenue.L'inchiesta vaticana sugli investimenti a Londra si allarga. Con nuovi immobili, commissioni di gestione abnormi e una segnalazione all'antiriciclaggio. Lo scorso giugno sono finiti nelle maglie dell'ufficio del promotore di Giustizia il broker molisano, Gianluigi Torzi, Enrico Crasso, celebre gestore e consulente della Segreteria di Stato, Fabrizio Tirabassi, responsabile dell'ufficio amministrativo della Segreteria e altre figure laterali. In quell'occasione gli inquirenti vaticani accusano il broker addirittura di estorsione, per via del tentativo di costruire una cresta da 15 milioni. In estrema sintesi la strategia di uscita dal fondo che faceva capo a Raffaele Mincione in relazione all'immobile di Sloane avenue sarebbe stata imbastita, a quanto avrebbero ricostruito i magistrati vaticani, con un'operazione che prevedeva da un lato che la Segreteria di Stato rilevasse l'immobile di Londra e dall'altro che la stessa Segreteria versasse a Mincione 40 milioni di euro a titolo di conguaglio. Successivamente la Segreteria, rappresentata da Tirabassi e da Enrico Crasso, avrebbe deciso di triangolare l'acquisizione dell'immobile di Londra attraverso la Gutt Sa di Torzi. Dando il via a una serie di altre operazioni che avrebbero poi portato agli arresti del broker e all'acquisizione dei telefoni e iPad di Mincione. La Verità apprende che almeno due nomi protagonisti del cronache di giugno compaiono in altre operazioni, adesso sotto il faro degli inquirenti. A febbraio del 2014 Tirabassi e Crasso si scambiano una serie di informazioni in merito a un conferimento di denaro nel fondo immobiliare Sloane & Cadogan investment management. Il funzionario vaticano nel confermare l'adesione monetaria all'operazione specifica che prima di firmare i termini, bisogna accordarsi sulle commissioni. Nel dettaglio Tirabassi suggerisce 2,5% di commissioni di gestione al netto delle tasse e degli altri costi di avvio del veicolo, mentre le fee di performance (cioè la percentuale che il gestore/fondo prende sulla differenza tra il conferimento iniziale e il valore finale) devono essere del 25%. Anche in questo caso, al netto delle tasse. L'investimento del 2014 (unitamente ad altri) si riferisce a quattro immobili londinesi e non si può non notare che le commissioni sono altissime. Il celebre D.E shaw è un hedge fund che chiede ai suoi clienti 3% di gestione e 30% sulla performance. Ma ha un track record da eccellenza, e soprattutto non è un fondo immobiliare. I fondi di questo settore viaggiano invece intorno all'1% di gestione e al 10/15 di performance fee. La domanda che le toghe si pongono è: perché? Perché sottoscrivere a tali condizioni? Ma gli interrogativi non finiscono qui. Nella comunicazioni tra Crasso e Tirabassi si inserisce anche un altro finanziere all'epoca nel gruppo Credit Suisse, Alessandro Noceti. Il quale avrebbe confermato a Tirabassi le condizioni di avvio. Va notato però che il nome di Noceti compare anni dopo legato a una società, Five Ruby red limited, ora attenzionata dal Vaticano. La vicenda, infatti, si infittisce circa tre anni dopo i conferimenti in Sloane & Cadogan. A dicembre del 2017 Consortia directors ltd, che gestisce questi quattro immobili vaticani a Londra, avrebbe dato disposizione a un'altra società intermediatrice di effettuare un bonifico da 700.000 sterline a Eight lotus petals ltd con sede alle Isole vergini britanniche. Il bonifico è stoppato dall'organismo di antiriciclaggio della banca della società intermediaria. Dello stop viene a conoscenza anche l'Aif, Autorità di informazione finanziaria, che successivamente informa monsignor Angelo Becciu. Secondo i pm d'Oltretevere, a ridosso di Natale sarebbe sta. A gennaio del 2018 SC Alpha, società londinese collegata a Sloane & Cadogan investment management, versa a Five Ruby red limited, riconducibile allo stesso Noceti, un importo di 700.000 sterline. La fattura ha come dicitura «servizi relativi al contratto d'investimento». E indica per il pagamento una filiale Barclays in uno dei paradisi del Canale. L'importo è solo una coincidenza? Oppure non lo è? L'ufficio del promotore di Giustizia, a quanto risulta alla Verità, si sta ponendo tali domande, e avrebbe aperto un altro filone d'indagine diverso, e forse nemmeno intersecato con la presunta truffa di Sloane avenue. Secondo informazioni in possesso della Verità, gli investimenti in Sloane & Cadogan non avrebbero alcun contatto con quelli inerenti l'ormai celebre fondo Athena e la holding di Mincione Wrm. Il dossier è delicatissimo perché - è bene ricordarlo - i fondi su cui stanno indagando i procuratori sono, almeno nel caso di Athena, quelli dell'Obolo di San Pietro e quindi soldi destinati ai poveri. In quanto tali, da gestire con oculatezza e un certo rispetto cristiano.
(Arma dei Carabinieri)
Ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 19 persone indagate per associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, rapina con armi, tentata estorsione, incendio, lesioni personali aggravate dalla deformazione dell’aspetto e altro. Con l’aggravante del metodo mafioso.
Questa mattina, nei comuni di Gallipoli, Nardò, Galatone, Sannicola , Seclì e presso la Casa Circondariale di Lecce, i Carabinieri del Comando Provinciale di Lecce hanno portato a termine una vasta operazione contro un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti che operava nella zona ionica del Salento. L’intervento ha mobilitato 120 militari, supportati dai comandi territoriali, dal 6° Nucleo Elicotteri di Bari Palese, dallo Squadrone Eliportato Cacciatori «Puglia», dal Nucleo Cinofili di Modugno (Ba), nonché dai militari dell’11° Reggimento «Puglia».
Su disposizione del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Lecce, su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia, sono state eseguite misure cautelari di cui 7 in carcere e 9 ai domiciliari su un totale di 51 indagati. Gli arrestati sono gravemente indiziati di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, rapina con armi, tentata estorsione, incendio, lesioni personali aggravate dalla deformazione dell’aspetto e altro, con l’aggravante del metodo mafioso.
Tutto è cominciato nel giugno del 2020 con l’arresto in flagranza per spaccio di stupefacenti avvenuto a Galatone di un giovane nato nel 1999. Le successive investigazioni avviate dai militari dell’Arma hanno consentito di individuare l’esistenza di due filoni parallel ed in costante contatto, che si spartivano le due principali aree di spaccio della zona ionica del Salento, suddivise tra Nardò e Gallipoli. Quello che sembrava un’attività apparentemente isolata si è rivelata ben presto la punta dell’iceberg di due strutture criminali ramificate, ben suddivise sui rispettivi territori, capaci di piazzare gradi quantitativi di droga. In particolare, l’organizzazione che operava sull’area di Nardò è risultata caratterizzata da una struttura verticistica in grado di gestire una sistematica attività di spaccio di stupefacenti aggravata dal tipico ricorso alla violenza, in perfetto stile mafioso anche mediante l’utilizzo di armi, finalizzata tanto al recupero dei crediti derivanti dalla cessione di stupefacente, quanto al controllo del territorio ed al conseguente riconoscimento del proprio potere sull’intera piazza neretina.
Sono stati alcuni episodi a destare l’attenzione degli inquirenti. Un caso eclatante è stato quando,dopo un prelievo di denaro presso un bancomat, una vittima era stata avvicinata da alcuni individui armati che, con violenza e minaccia, la costringevano a cedere il controllo della propria auto.
Durante il tragitto, la vittima veniva colpita con schiaffi e minacciata con una pistola puntata alla gamba destra e al volto, fino a essere portata in un luogo isolato, dove i malviventi la derubavano di una somma in contanti di 350 euro e delle chiavi dell’auto.
Uno degli aggressori esplodeva successivamente due colpi d’arma da fuoco in direzione della macchina, uno dei quali colpiva lo sportello dal lato del conducente.
In un'altra circostanza invece, nei pressi di un bar di Nardò, una vittima era stata aggredita da uno dei sodali in modo violento, colpendola più volte con una violenza inaudita e sproporzionata anche dopo che la stessa era caduta al suolo con calci e pugni al volto, abbandonandolo per terra e causandogli la deformazione e lo sfregio permanente del viso.
Per mesi i Carabinieri hanno seguito le tracce delle due strutture criminose, intrecciando intercettazioni, pedinamenti, osservazioni discrete e perfino ricognizioni aeree. Un lavoro paziente che ha svelato un traffico continuo di cocaina, eroina, marijuana e hashish, smerciati non solo nei centri abitati ma anche nelle località marine più frequentate della zona.
Nell’organizzazione, un ruolo di primo piano è stato rivestito anche dalle donne di famiglia. Alcune avevano ruoli centrali, come referenti sia per il rifornimento dei pusher sia per lo spaccio al dettaglio. Altre gestivano lo spaccio e lo stoccaggio della droga, controllavano gli approvvigionamenti e le consegne, alcune avvenute anche alla presenza del figlio minore di una di loro. Spesso utilizzavano automobili di terzi soggetti estranei alla compagine criminale con il compito di “apripista”, agevolando così lo spostamento dello stupefacente.
Un’altra donna vicina al capo gestiva per conto suo i contatti telefonici, organizzava gli incontri con le altre figure di spicco dell’organizzazione e svolgeva, di fatto, il ruolo di “telefonista”. In tali circostanze, adottava cautele particolari al fine di eludere il controllo delle forze dell’ordine, come l’utilizzo di chat dedicate create su piattaforme multimediali di difficile intercettazione (WhatsApp e Telegram).
Nell’azione delle due strutture è stato determinante l’uso della tecnologia e l’ampio ricorso ai sistemi di messaggistica istantanea da parte dei fruitori finali, che contattavano i loro pusher di riferimento per ordinare le dosi. In alcuni casi gli stessi pusher, per assicurarsi della qualità del prodotto ceduto, ricontattavano i clienti per acquisire una “recensione” sullo stupefacente e quindi fidelizzare il cliente.
La droga, chiamata in codice con diversi appellativi che ricordavano cibi o bevande (come ad es. “birra” o “pane fatto in casa”), veniva prelevata da nascondigli sicuri e preparata in piccole dosi prima di essere smerciata ai pusher per la diffusione sul territorio. Un sistema collaudato che ha permesso alle due frange di accumulare ingenti profitti nel Salento ionico, fino all’intervento di oggi.
Il bilancio complessivo dell’operazione è eloquente: dieci arresti in flagranza, il sequestro di quantitativi di cocaina, eroina, hashish e marijuana, che avrebbero potuto inondare il territorio con quasi 5.000 dosi da piazzare al dettaglio.
Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce ha ritenuto gravi gli elementi investigativi acquisiti dai Carabinieri della Compagnia di Gallipoli, ha condiviso l’impostazione accusatoria della Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce, emettendo dunque l’ordinanza di custodia cautelare a cui il Comando Provinciale Carabinieri di Lecce ha dato esecuzione nella mattinata di oggi.
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