2023-01-28
Finito Sanremo resterà il festival della guerra
Anche gli ambienti liberal-progressisti criticano Volodymyr Zelensky alla kermesse. Il problema per loro, però, non è che vada a chiedere i jet, ma che lo faccia in quel contesto. Il dramma per gli italiani, invece, è che un dibattito serio sulla corsa agli armamenti rimanga tabù.Il problema non è Sanremo in sé, ma Sanremo in noi. O, meglio, la sanremizzazione del dibattito pubblico sul conflitto in Ucraina e sulla nostra partecipazione in qualità di fornitori di armi e supporto politico. Una deriva che va avanti da diversi mesi, e prescinde da quanto succederà fra poco al festival della canzone. Da qualche giorno, come noto, si sta allargando il fronte dei contrari all’apparizione di Volodymyr Zelensky all’Ariston, che avverrà probabilmente tramite videomessaggio preregistrato. Dei dubbi espressi in proposito da Matteo Salvini, al quale - sul fronte opposto - si è unito ieri Giuseppe Conte, e delle istanze della variegata compagine pacifista (chiamiamola così per semplificare) abbiamo già dato conto. Leggermente più sorprendente risulta il fatto che anche dal fronte liberal-progressista qualcuno abbia sollevato perplessità. Due nomi su tutti: Carlo Calenda e Gianni Cuperlo. Quest’ultimo è stato piuttosto netto: «Zelensky a Sanremo? No. È una guerra. La gente muore. La Rai vuole dare voce al presidente di un paese invaso che si difende? Mandi in onda un messaggio del presidente dell’Ucraina alle 20.30 di una sera a reti unificate. Ma non confondiamo la tragedia con l’audience. Per pietà», ha dichiarato il candidato alla segreteria del Pd. Appena più austero il portabandiera del Terzo polo: «Ci sono pochi dubbi sulla nostra linea di sostegno all’Ucraina», ha twittato Calenda. «Ritengo tuttavia un errore combinare un evento musicale con il messaggio del presidente di un Paese in guerra». Entrambi hanno ottime e sacrosante ragioni. L’idea di far apparire Zelensky al festival è, semplicemente, grottesca, persino offensiva per le popolazioni impegnate nel conflitto. Ma le ragioni che dovrebbero spingere l’opinione pubblica e i politici a chiedere la cancellazione dell’intervento certo non si esauriscono qui: sono molto più ampie e profonde. Ecco perché la posizione dei contrari dell’ultima ora suscita qualche sospetto. Proviamo a spiegare. I Cuperlo, i Calenda e i vari commentatori (Gabriele Romagnoli di Repubblica su tutti) che in queste ore hanno deprecato la carrambata zelenskyana all’Ariston ritengono che le serissime e nobili istanze del presidente ucraino non dovrebbero mescolarsi con vallette, lustrini, vippetti e maneskini. Come a dire: non è dignitoso costringere un eroe a esibirsi nel circo. Costoro, però, fanno finta di non vedere che il circo ha aperto gli spettacoli da circa un anno, e le frequentissime apparizioni di Zelensky sono state una parte fondamentale del cartellone. I vippetti e le vallette partecipano da mesi e mesi alla discussione sulla guerra, e non è semplice distinguerli dai numerosi esperti che ripetono gli stessi slogan preconfezionati sulla «vittoria necessaria» e su Putin novello Hitler. Il carrozzone, dunque, è operativo da ben prima di Sanremo, e ci ha fornito ampie anticipazioni di ciò che potremmo vedere all’Ariston. Per essere più chiari: l’intero confronto pubblico sulla guerra è stato ridotto a spettacolo televisivo. Non c’è mai stato un vero confronto, le opinioni critiche non hanno mai ottenuto cittadinanza: tutto lo spazio è stato occupato da uno show con l’obiettivo dichiarato di orientare il pensiero. Questa spettacolarizzazione delle informazioni è di natura squisitamente pubblicitaria, dunque propagandistica. E la propaganda, soprattutto a questi livelli, risulta francamente intollerabile. Tanto più se - come nel caso di Sanremo - ci si trova di fronte a un triplice livello di mascheramento: si presenta come nobile causa a cui aderire una operazione propagandistica che a sua volta nasconde un mero interesse commerciale (si crea polemica così da spingere gli ascolti). Giungiamo dunque al nocciolo della questione. Chi, sul fronte progressista, non vuole Zelensky a Sanremo non sta realmente chiedendo un dibattito più serio e più libero. Al contrario, sta semplicemente stabilendo nuovi paletti alla discussione, e dimostrarlo è fin troppo facile. Se fino a qualche settimana fa ogni sospiro di velata critica veniva bollato di putinismo, ora è concesso esprimersi sulla questione Ariston. Ma solo su quella, e su niente altro. Se si prova ad allargare appena il ragionamento, si ritorna immediatamente nel girone dei reietti, si viene accusati di essere «rossobruni», cioè putiniani, cioè nazisti (o comunisti, che ormai è la stessa cosa). Ancora una volta, e con la consueta arroganza, i padroni del pensiero stabiliscono che cosa sia accettabile e che cosa non lo sia. Il problema, dunque, non è evitare che Zelensky si mescoli a nani e ballerine. Il punto, semmai, è levare tutti i suddetti teatranti dalla scena, e impedire che vada in onda l’ennesimo spot a favore della fornitura di materiale bellico. Anche perché - come è ormai evidente - le armi non bastano mai. Quasi un anno fa ci venne detto che, se le avessimo fornite, avremmo prodotto una rapida cessazione delle ostilità. E invece la guerra è proseguita eccome, e l’Ucraina non ha vinto. Ora ci viene ripetuto che bisogna mandare i tank così Zelensky finalmente trionferà. Vedrete: quando sarà evidente che i mezzi corazzati non bastano, arriverà qualche espertone (già i primi si affacciano) a dire che servono più tank, e più armi, e aerei o altre diavolerie assortite.Esiste una differenza radicale fra chi pone questi temi sul tavolo e chiede almeno di temperare il bellicismo imperante e chi invece avanza critiche sulle minuzie per ritagliarsi una collocazione appena diversa rispetto ai partiti concorrenti, con i quali fondamentalmente concorda. Per quanto ci riguarda, se Zelensky volesse presentarsi all’Ariston per cantare o regalarci qualche sketch come un celebre attore fra i tanti, non avremmo nulla da obiettare. Anzi, lo riterremmo addirittura appropriato. A infastidirci è la consapevolezza che andrà a fare altro, cioè a chiedere più armi. E sinceramente di spot a favore della guerra sulle reti pubbliche (e private) ne abbiamo già abbastanza.