2019-04-15
«Sangue e vendetta a colpi di machete». I pentiti raccontano la mafia nigeriana
La mattanza in corso nelle parole degli ex affiliati raccolte dagli inquirenti. Dalla testa impalata a Palermo a quella fracassata con attrezzi da body building a Torino, ecco come vengono massacrati i nemici dei clan.Una testa tagliata e impalata davanti al cancello di una scuola di Palermo nel 2006. Parte da quell'episodio il racconto di uno dei pentiti della mala nigeriana, considerata dalla Procura antimafia come la quinta mafia in Italia, che ha svelato i cruenti riti d'affiliazione della potentissima organizzazione degli Eiye e accompagnato per mano gli investigatori nell'incubo delle attività illecite della criminalità organizzata nera. Quella testa era di un suo amico che un Black Axe, il clan nigeriano contrapposto (che fino a qualche mese fa si contendeva il controllo di Ballarò, il mercato di Palermo) ed era stato assassinato probabilmente con un machete. Un metodo classico per la mala nigeriana, che predilige l'uso di armi bianche. Ma non disdegna le pistole. «Ogni affiliato ne ha sempre una con sé», ha detto il pentito. Ma a ogni sequestro saltano fuori asce e coltelli. La polizia un anno fa ne fermò addirittura uno, giovanissimo, alla stazione di Busto Arsizio con una spada giapponese di 85 centimetri. Durante la perquisizione saltò anche fuori una pistola. Ebhabha, così si chiamava il diciannovenne, minacciava di fare una strage di viaggiatori italiani. O come a Catania, in pieno centro, dove Ogbeide Errhauyi, 32 anni, se ne andava in giro a torso nudo impugnando due lunghi pugnali di tipo militare. Lo scorso 27 gennaio a Frassineto, in provincia di Alessandria, uno di loro aggredì perfino i carabinieri brandendo una pesante ascia che aveva addirittura il manico di metallo pieno. Sono spietati. È questo che emerge dagli atti delle inchieste avviate dalla magistratura antimafia dal Piemonte alla Sicilia. A gennaio uno di loro è stato assassinato nel Moi di Torino, l'ex villaggio olimpico occupato da anni da profughi che il Viminale sta facendo sgomberare manu militari. L'assassino gli ha fracassato il cranio con un bilanciere da palestra che poi ha abbandonato nella stanza accanto a quella in cui viveva la vittima. Per gli investigatori è un regolamento di conti nella mafia nigeriana. Anche perché, scavando nella vita di Andrew Yomi, così si chiamava il defunto, sono saltati fuori contatti con i gruppi cultisti che imperversano all'ombra della Mole. E siccome l'aggressore aveva lasciato le sue impronte digitali sull'arma del delitto, l'hanno beccato poco dopo a Rieti, dove si era rintanato. Michael Umoh Onoshorere, 23 anni, considerato dagli investigatori come vicino al gruppo degli Eiye, è stato subito arrestato. Lo stesso giorno, in via Pietro Micca, sempre a Torino, avrebbe ferito con un'accetta un altro nigeriano, anche lui occupante abusivo all'ex villaggio olimpico. E siccome dietro ai due eventi potrebbero nascondersi gli affari della mafia nigeriana, il caso non è ancora considerato chiuso. È uno dei pochi omicidi di nigeriani risolti però. Il registro dei cadaveri non riconosciuti del ministero dell'Interno è zeppo di uomini non identificati di origine africana. Molti di loro potrebbero essere nigeriani. E anche la cronaca italiana è piena di nigeriani massacrati. Casi isolati, che qualche giorno dopo cadono nel vuoto. Nelle acque di Calarossa, a Ortigia, provincia di Siracusa, è stato trovato il corpo Abdull Hadi Idriss, 29 anni, nigeriano. Il suo assassino non ha ancora un nome né un volto. Come la vittima di un'aggressione in piena notte in una palazzina occupata a Roma, in via Santa Croce in Gerusalemme. Era ancora in pigiama quando ha aperto la porta, probabilmente a persone che conosceva, ed è stato massacrato di botte. È stato ucciso a pugni da un connazionale anche un nigeriano trentaduenne a Modena lo scorso 7 gennaio. È prima finito in coma, poi ci ha lasciato le penne. Nella maggior parte dei casi, però, gli omicidi avvengono nelle aree in cui i clan cultisti, gli Eiye, i Black Axe, i Vikings e i Mephite, controllano il territorio. E infatti, a Castel Volturno, in provincia di Caserta, fortino della mafia africana, è stato assassinato Iheme Odestus, immigrato clandestino che viveva in una delle villette occupate sul litorale Domitio (l'area in cui l'Fbi sta indagando anche su un traffico internazionale di organi). Un agguato di stampo mafioso, lo definiscono gli investigatori. È stato freddato a colpi di fucile. Colpito al collo e al centro della schiena. Potrebbe quindi essere stato preso di sorpresa alle spalle. Il suo corpo è stato lasciato nella pineta. Stesso scenario a Villa Literno, altro comune della provincia di Caserta. Un nigeriano di 38 anni è stato lasciato agonizzante per strada, massacrato con un coltello da cucina. E per poco un anno fa non ci scappò il morto a Ferrara, dove due bande di nigeriani si confrontarono a colpi di bastoni e machete in un parco pubblico. Anche di risse tribali è piena la cronaca. Soprattutto nei centri d'accoglienza. L'epicentro è Foggia. Nell'ultimo anno si contano una decina di accoltellamenti tra nigeriani. E che il machete sia la loro arma preferita lo conferma anche un episodio avvenuto a Montecchio Maggiore, in provincia di Vicenza. Un anno fa due nigeriani bussarono alla porta di un loro connazionale vicino di casa, in una palazzina teatro di spaccio e prostituzione. Finì in manette il ventisettenne Emmanuel Eguabor. All'arrivo dei carabinieri due dei tre coinvolti cercarono di giustificarsi sostenendo che dalla casa del vicino, in piena notte, provenivano rumori fastidiosi. Il luogo in cui è avvenuto il fatto e l'uso del machete, però, qualche dubbio l'hanno lasciato. E c'è anche un'inchiesta giudiziaria partita da Padova e sbarcata a Roma che racconta di vendette tra bande nigeriane a colpe di machete. Il primo a riportare ferite gravissime è Aboidu, 31 anni nigeriano irregolare in Italia, che viveva a Roma. Pochi giorni dopo, a Tor Bella Monaca, viene registrata una seconda aggressione, con otto nigeriani coinvolti, armati di machete, ovviamente, di bastoni, catene e bottiglie. Rimase ferito Oliver O., 25 anni, anche lui senza permesso di soggiorno. Per tentato omicidio aggravato finirono in manette in undici. Nelle loro abitazioni gli investigatori sequestrarono coltelli, mazze da baseball, bastoni e, neanche a farlo apposta, foderi di machete. A volte, come hanno spiegato i pentiti, si tratta di punizioni all'interno dello stesso clan. Come per la mafia nostrana, anche Cosa nera punta sull'omertà e, per creare il giusto clima di intimidazione, vengono organizzate vere e proprie rappresaglie. L'indagine della Squadra mobile di Cagliari ribattezzata Calypso Nest racconta di durissime pene corporali, anche frustate, inferte agli affiliati che violavano codici e regole interne. In altri casi, invece, si è passati all'avvertimento. A Canicattì, ad esempio, è rimasta senza colpevoli l'esplosione di quattro colpi di pistola contro la porta di casa di un ventiquattrenne nigeriano, tra le 2 e le 3 di notte, avvertiti dai residenti del popolare quartiere di Borgalino. Si pensò all'intolleranza razziale. Ma il movente potrebbe essere di matrice mafiosa.
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Charlie Kirk (Getty Images)