2025-07-10
Tre ceffoni a Sánchez: alleati in fuga, scandali e un miliardo di Pnrr in fumo
Il premier spagnolo non si dimette nonostante un’inchiesta per corruzione abbia travolto i suoi fedelissimi. Podemos e i nazionalisti baschi pronti a mollarlo. Bruxelles congela i fondi perché ha mancato obiettivi green.Stando alla martellante narrazione della sinistra, l’Europa è in sommo pericolo. Ormai da anni, ci dicono, la democrazia è costantemente minacciata dalle destre nazionaliste e populiste che mirano a instaurare regimi tirannici e xenofobi. In quest’incubo a occhi aperti, però, resiste come per magia un’isola felice, su cui il sol dell’avvenire non è mai tramontato: la Spagna di Pedro Sánchez. Al potere da sette anni consecutivi, il líder máximo del Partito socialista spagnolo (Psoe) è, anzi, diventato il vanto e, al contempo, l’ultima speranza di tutta la sinistra europea.Nel caso di Sánchez, del resto, non stiamo parlando di una sinistra qualsiasi, bensì di quella sinistra che vuole essere sia moderna che vintage: pacifista, green, immigrazionista e inclusiva, certo, ma anche vicina alle fasce popolari (non a caso il Psoe riporta, finanche nel nome, il termine «operaio»). In pratica, il sogno divenuto realtà di tutti i sessantottini con fusciacca e santino del Che nel portafoglio. Sarà per questo che, adesso, lo scandalo che ha travolto il presidente spagnolo minaccia di trasformarsi in un vero terremoto, sia a Madrid che a Bruxelles. Non si tratta, peraltro, di uno scandalo come un altro: qui abbiamo a che fare con un’inchiesta di corruzione che ha coinvolto i fedelissimi del presidente. Uno di loro, Santos Cerdán, è addirittura finito in carcere con l’accusa di corruzione, partecipazione a organizzazione criminale e traffico di influenze in relazione a tangenti su appalti pubblici da oltre 500 milioni di euro. E stiamo parlando del «numero tre» del partito, che segue Sánchez sin dal 2017 (anno delle primarie del Psoe) e che, proprio per la sua fedeltà, è stato piazzato dal leader ai vertici del partito con l’incarico di segretario organizzativo.Secondo la ricostruzione al vaglio degli inquirenti, Cerdán sarebbe il regista della distribuzione delle tangenti assieme a José Luis Ábalos, ex ministro dei Trasporti, e al suo consulente Koldo García (che ha dato il nome all’intero scandalo, ossia «caso Koldo»). Ma non è finita qui. Sebbene in un altro filone d’inchiesta, è finita al centro delle indagini la stessa famiglia di Sánchez: in primis la moglie, Begoña Gómez, esperta di marketing, che è accusata di traffico di influenze, corruzione, appropriazione indebita ed esercizio abusivo della professione. Il tribunale, inoltre, ha riaperto un fascicolo anche ai danni del direttore d’orchestra David Sánchez, il fratello del premier, per la sua assunzione, risalente al 2017, come coordinatore delle attività dei Conservatori del Comune di Badajoz, in Estremadura. Pure in questo caso si parla di abuso d’ufficio e traffico di influenze.Insomma, il quadretto è fin troppo chiaro: il líder máximo del Partito socialista è caduto proprio sulla «questione morale» tanto cara alla sinistra. Come c’era da aspettarsi, il caso Koldo si è presto tradotto in un crollo verticale dei consensi: secondo un recente sondaggio, ben il 60% degli spagnoli esige le sue dimissioni. Messo alle strette, però, Sánchez ha deciso di rimanere incollato alla poltrona. «Vengo qui con una sensazione di profonda delusione prima di tutto verso me stesso e soprattutto verso coloro di cui non avrei mai dovuto fidarmi, ma anche con la sicurezza di essere un politico pulito e con l’orgoglio di chi guida un partito esemplare», ha detto ieri in Parlamento. «Il tradimento di pochi», ha aggiunto, «non può macchiare il resto». Sánchez ha anche ammesso di aver valutato «la possibilità di dimettermi e convocare elezioni anticipate: nelle prime fasi di questa crisi mi sembrava la soluzione più semplice ma, dopo aver riflettuto e parlato con molte persone, ho capito che arrendersi non è mai un’opzione».Come se la situazione non fosse già abbastanza grottesca, il presidente spagnolo ha persino deciso di rilanciare, proponendo alla Camera un «piano statale di lotta contro la corruzione», elaborato insieme all’Ocse, che consiste in «15 importanti misure» e che permetterà a Madrid di «collocarsi all’avanguardia in Europa su questo argomento». Tra gli accorgimenti elencati dal capo del governo, figura anche l’uso dell’Intelligenza artificiale per individuare «segnali di frode» nella piattaforma di assegnazione degli appalti pubblici. Geniale: il buon nome dell’amministrazione pubblica sarà affidato direttamente agli algoritmi.Naturalmente, le opposizioni gli hanno replicato con estrema durezza. Per Alberto Núñez Feijóo, il leader del Partito popolare, la «cosa migliore» che Sánchez potrebbe fare è «confessare ciò che sa, restituire il bottino e convocare elezioni anticipate». Anche Santiago Abascal, il presidente dei sovranisti di Vox, ha dichiarato che «l’unico piano utile» che il governo può proporre contro la corruzione sono le dimissioni del premier. Ma non c’è solo la destra a far vacillare l’instabile maggioranza di Sánchez. Pure Podemos e i nazionalisti baschi (Pnv), il cui appoggio esterno è essenziale per la tenuta del governo, hanno fatto sapere che potrebbero non garantire più la fiducia all’esecutivo.Come se non bastasse, poi, ieri Sánchez ha ricevuto un colpo allo stomaco persino dalla Commissione europea, che ha deciso di congelare una tranche del Pnrr destinata alla Spagna: si parla di circa un miliardo di euro. Il motivo? Il governo di Madrid è accusato di non aver aumentato la tassa sul diesel e di essere in ritardo negli investimenti per la digitalizzazione delle amministrazioni locali. Insomma, alla fine il prode Sánchez è caduto pure sul green, altro intoccabile feticcio della sinistra. È ancora presto per dirlo, ma forse l’era sanchista sta davvero per arrivare al capolinea.
Nicolas Sarkozy e Carla Bruni (Getty Images)